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Vendetta ufficiale a Gaza e coloni ebrei scatenati nel West Bank

bambino e armati

Vendetta ufficiale a Gaza e coloni ebrei scatenati nel West Bank

Gaza, addio ospedali. Fermo lo Shifa, quasi fermo l’Al Quds. Nella Striscia 11.240 morti. E i soldati alzano le bandiere israeliane nel parlamento palestinese.

                                               

Gli americani guardano, sempre più preoccupati, a Gaza, ma cresce l’allarme per il Libano del sud e la Cisgiordania. Soprattutto quest’ultima dove la diplomazia Usa deve conciliare il sostegno di Biden a Israele la realtà sempre più sgradevole dei coloni ebrei, che vanno indiscriminatamente all’attacco dei residenti palestinesi, spesso uccidendo, per spingerli a lasciare i loro piccoli villaggi. Pulizia etnica e democrazia israeliana nelle mani di invasato religiosi armati, denuncia ora la stessa stampa israeliana.

Gli ammazzamenti quotidiani in Cisgiordania

Nell’indifferenza generale, a partire dallo ‘Shabbat nero’ di Hamas, in Cisgiordania sono stati uccisi quasi 180 palestinesi. Tutti terroristi? Certamente no, e a Washington come a Tel Aviv lo sanno bene. Alla fine di ottobre, si è sentito in dovere di intervenire lo stesso Presidente Biden, ammonendo Netanyahu sulla necessità di fermare l’ondata di aggressioni. Più recentemente, anche l’Alto commissario Onu per i Diritti umani, Volker Turk, ha sostenuto che «è dovere di Israele che tutti gli episodi di violenza siano indagati tempestivamente ed efficacemente e che alle vittime siano forniti gli adeguati rimedi. La continua e diffusa impunità per tali violazioni – ha aggiunto il Commissario – è inaccettabile, pericolosa e in chiara violazione degli obblighi di Israele ai sensi della legge internazionale riguardante i diritti umani».

Integralismi ebraici

La pericolosità di ciò che succede in Cisgiordania per la causa israeliana, è testimoniata dagli stessi giornali di Tel Aviv e di Gerusalemme, che hanno preso coscienza di una debolezza che può risultare distruttiva per l’immagine del Paese, ammettendo ci sia ancora qualcosa da salvare. Addirittura, il prestigioso quotidiano Haaretz ospita un commento di un giornalista arabo, titolando: «Mentre bombarda Gaza, Israele ora spara per uccidere i palestinesi in Cisgiordania». Mohammed Daraghmeh, caporedattore della tv Ashraq News scrive: «Tra i coloni violenti e l’IDF (esercito n.d.r.) i palestinesi in Cisgiordania stanno subendo un numero di vittime senza precedenti. Mentre la macchina di morte israeliana miete la vita di civili indifesi a Gaza, i palestinesi della Cisgiordania affrontano punizioni collettive e vendette per il 7 ottobre».

I coloni vogliono la guerra in Cisgiordania

Il giornalista descrive poi un attacco subito dalla sua troupe a Ramallah: «Anche quelli di Al Arabiya stavano trasmettendo dal balcone in quel momento. Il loro cameraman ha cercato di puntare l’obiettivo sui soldati. Uno di loro lo ha visto e ha aperto il fuoco». E ancora: «Bilal Saleh, 40 anni, è stato ucciso da un colono. L’obiettivo è chiaro. Diffondere la paura nei cuori di tutti gli agricoltori e i raccoglitori di olive palestinesi della Cisgiordania e spingerli a lasciare i loro campi». Per gli analisti israeliani di Haaretz, riflessivi e moderati, ma soprattutto con una visione ‘strategica’ della crisi, la valutazione che dev’essere fatta è una sola: «I coloni – titolano in un loro editoriale – stanno cercando di trascinare Israele in una guerra in Cisgiordania». E la situazione che sta sfuggendo di mano a Netanyahu è talmente seria che anche un giornale di centro-destra come il Jerusalem Post lancia lo stesso allarme di Haaretz.

Allarme anche a destra

Scrive, molto significativamente, il Post: «Non solo il terrore ebraico – un termine usato dai massimi capi della difesa del Paese per descrivere il fenomeno – è semplicemente sbagliato, e non solo non trova posto nello Stato ebraico, ma inquina e delegittima anche i residenti ebrei di Giudea e Samaria (la Cisgiordania, n.d.r.). Un vasto territorio nel quale la maggior parte dei cittadini sono rispettosi della legge». E proprio considerando la esplosività della situazione e i danni potenziali che ne potrebbero derivare, il Jerusalem Post conclude: «Mentre continuano ad agire con risolutezza contro il terrorismo mortale palestinese, le forze di sicurezza israeliane devono fare anche tutto il possibile per affrontare il terrorismo ebraico alla sua radice. Gli istigatori devono essere identificati e interrogati, mentre i colpevoli devono essere contrastati, arrestati e processati».

Il terrorismo non solo a Gaza

Quindi, oltre al peso devastante delle immagini della Striscia di Gaza spianata dai bombardamenti, il Segretario di Stato Usa, Antony Blinken, sa bene che proprio le notizie che arrivano anche dalla Cisgiordania, sulla feroce tracotanza dei coloni ebrei, possono contribuire a isolare la posizione israeliana (e americana) nel mondo. La sua inaspettata visita a Ramallah, dove si è incontrato con il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, ne è la conferma. E il parere espresso dall’Amministrazione Biden, sulla futura sistemazione di Gaza e della Cisgiordania, probabilmente è frutto proprio di questa ‘shuttle-diplomacy’, il va e vieni di Blinken. Capace di andare su e giù, come una trottola, per tutte le capitali del Medio Oriente.

L’Abracadabra dei ‘Due Stati’

Dai colloqui di Ramallah è uscita rafforzata la visione americana di uno scenario che prevede ‘due Stati’ e il no assoluto ai trasferimenti forzati dei palestinesi, pulizia entica, purtroppo in corso da tempo su cui gli Usa si sono molto a lungo ‘distratti’. Quanto di questa ‘dottrina’ (che tenendo conto degli insediamenti ebraici, riguarda soprattutto la Cisgiordania) è stata fatta propria dal governo Netanyahu? Tra la non risposta e lo zero di fatto. Nessuno sa (e meno di tutti Biden) fino a che punto, nell’attuale strategia militare di Israele, confluiscano pesanti fattori di politica interna che decideranno anche le sorti personali di molti attuali governanti a rischio di futura galera. Insomma, il ‘day-after’ della guerra di Gaza non c’è e Netanyahu si rifiuta di tracciarlo. Il suo è un ‘work in progress’, sul modello ucraino: intanto si combatte, vediamo dove arriviamo e domani è un altro giorno.

Per l’America elettorale non va bene

Così, però, per gli americani non funziona. Già stanno perdendo rovinosamente pezzi, dal punto di vista geopolitico. Mettendosi il mondo contro e tirandosi appresso un Occidente mai così recalcitrante. Insomma, «il tempo sta scadendo» dicono le solite voci bene informate e Netanyahu deve darsi una mossa, per chiudere la partita, senza fare altre migliaia di vittime.

Perché, dicono a Washington nelle segrete stanze, l’autodifesa è sacra, come la sicurezza nazionale. Ma le offensive che lasciano solo terra bruciata si chiamano in un altro modo. E se va avanti così, gli Stati Uniti dovranno ricomprarsi, a suon di miliardi di dollari, quei quattro amici che avevano prima che scoppiasse la crisi.  

14/11/2023

da Remocontro

Piero orteca

 

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