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Israele a tutta guerra, anche in casa, ma con le casse quasi vuote

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La guerra non è solo vite sprecate ma anche un enorme giro di soldi. Tanti, quasi più delle bombe che volano, in questo caso su Gaza. E Israele in guerra semina assieme bombe e soldi: soldi e armi tue, soldi e armi americane, tra tutti e due tante armi a tanti soldi. Ma ad insistere troppo, anche il tanto prima o poi dà problemi prima di finire. E per Israele si prospetta già ora una gravissima crisi politico-economica sul tagliere cosa e a chi, oltre alla forse irrisolvibile crisi morale sugli obiettivi finali della guerra in corso.

I costi del conflitto, dalle vite umane ai soldi

La Direzione ricerca della Banca centrale israeliana, con un bollettino di guerra contabile, ha fatto sapere quali sono le previsioni per i costi del conflitto. Solo per il 2023 ci vorrà uno scostamento di bilancio di 31 miliardi di shekel (grosso modo, quasi 8 miliardi di dollari): 22 miliardi per spese militari e 9 da destinare al settore civile coinvolto collateralmente (i civili mandati al fronte). Avvertendo che bisognerà tagliare almeno 4 miliardi da capitoli ‘non urgenti’, se si vorrà rispettare un minimo di cautela finanziaria. E questo è il colpo più duro.

Tagli spesa su cosa e contro chi?

Come scrive Haaretz, i soldi da sforbiciare sono quelli programmati per i gruppi ‘duri e puri’ degli ultra-ortodossi. Quelli che in guerra non ci vanno per studiare la Torah, e coloro che stanno mettendo la Cisgiordania a ferro e fuoco, facendo perdere persino la pazienza a Biden. Quindi, una seconda battaglia logorante, per Netanyahu -fin che non lo cacceranno-, si sposta dai calcinacci di Gaza alle aule della Knesset, dove l’opposizione laica meno forcaiola rumoreggia contro i programmi oltranzisti della destra religiosa, sostenuti da Bezalel Smotrich. Che, guarda caso, è anche Ministro delle Finanze, oltre a essere il sottosegretario per gli Affari dei territori occupati.

Chi ingrassa nella guerra

Haaretz informa che, nel mirino della critica politica, ci sono i miliardi di shekel stanziati per i seguaci dei partiti più estremisti. E titola: «Il Ministro di estrema destra non sembra preoccuparsi dei costi della guerra a Gaza». E qui parte l’accusa più pesante, del quotidiano liberal di Tel Aviv, rivolta a Smotrich e più in generale alla politica finanziaria del governo Netanyahu: «A maggio sono stati approvati 14,3 miliardi di shakel sotto la voce ‘stanziamenti della coalizione’. I miliardi erano destinati principalmente agli haredim (ebrei ultra-ortodossi n.d.r.), ma anche ai coloni e alle cause di estrema destra. Gli importi non hanno precedenti, perché il governo ha riorientato le sue priorità verso gli ultra-ortodossi e i coloni a scapito del resto del Paese».

Faziosità politica di bilancio

L’analisi dei giornalisti israeliani, sulla faziosa politica di bilancio dell’esecutivo, prosegue dicendo che per perseguire le sue finalità Netanyahu e Smotrich «hanno drenato risorse dal settore tecnologico, attraverso l’imposizione fiscale, impiegandole a vanvera». Naturalmente la guerra ha fatto deragliare tutte le previsioni macroeconomiche, complicando adesso la formulazione del bilancio per il prossimo anno. Quest’anno il Pil aumenterà solo del 2% (era previsto il 3,4%), mentre il deficit arriverà al 4% del Pil. Fin qui niente di catastrofico.

La mazzata 2024

Ma la vera mazzata è prevista per il prossimo anno, quando, secondo le stime del Ministero delle Finanze, la spesa pubblica aumenterà del 17%, fino a raggiungere la cifra record di 600 miliardi di shekel. Con un deficit che dovrebbe toccare il 5% del Pil. Sperando, avvertono alla Banca centrale di Tel Aviv, che questo macello finisca presto. Perché più dura la guerra e più si svuotano i salvadanai. Basti solo pensare, dicono gli economisti, al peso di 360 mila riservisti, richiamati dalle loro occupazioni. In questo momento l’apparato produttivo israeliano soffre e la divisione del lavoro, soprattutto dal punto di vista qualitativo, ne risente

I colpi delle società di Rating

La difficile situazione del ‘sistema-Israele’, e non poteva essere altrimenti, è entrata nel mirino delle società di rating. Standard and Poor’s, recentemente, ha rivisto la previsione, l’Outlook, a ‘negativo’, pur mantenendo una classifica alta. La ragione, che sicuramente porterà al rialzo dei tassi di interesse israeliani, è stata attribuita a ‘rischio geopolitico’. Cioè, la definizione più tangibile del fatto che, spesso, le guerre si possono vincere sul campo di battaglia, ma poi si perdono agli sportelli delle banche. Israele è in guerra, ma questa guerra, furiosa e senza esclusione di colpi, divampa anche nella sua società e nelle aule del suo Parlamento.

L’estremismo ebraico in casa israeliana

«I coloni estremisti sono impegnati in una campagna per scacciare i palestinesi dalle loro case -denuncia Haaretz- e consolidare il controllo israeliano sulla Cisgiordania. Il Ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, sta distribuendo armi ai civili con scarsa supervisione. Ma l’estrema destra e gli Haredim sono altrettanto impegnati al Ministero delle Finanze».

E così, torniamo a quello che dicevamo all’inizio. La crisi di Gaza, prima o dopo, finirà. Ma già si cercano le risorse per preparare nuovi confronti, in un ciclo infinito. Dove, scomparsa la ragione della tolleranza, resta solo quella dell’odio. 

24/11/2023

da Remocontro

Piero Orteca