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Pausa ostaggi, e dopo? Uscire dal massacro Gaza per arrivare a cosa?

Macerie

Pausa ostaggi, e dopo? Uscire dal massacro Gaza per arrivare a cosa?

Ingovernabilità della crisi e caos diplomatico. Israele per prima e gli Usa a seguire. Tempo. Tempo per passare dalla ‘pausa umanitaria’ a un vero e proprio ‘cessate il fuoco’. Di questo hanno bisogno gli Stati Uniti, per costruire un minimo di strategia del ‘day after’ per Gaza, per Israele dell’ormai urgente dopo Netanyahu, per il futuro della questione palestinese, e per la sconvolta democrazia israeliana minacciata da tentazioni di teocrazia ebraica

               

L’ingovernabilità della crisi

Gaza, sotto l’aspetto militare, è una bomba a orologeria quasi impossibile da disinnescare. Ma, politicamente, forse, è ancora peggio: rappresenta l’esempio di un folle teorema istituzionale, di cui però nessuno riesce a trovare la formula, per dimostrarne l’esistenza. Cioè, si sta facendo una guerra brutale senza sapere ciò che potrà succedere il giorno dopo. E le sorprese non mancano e, anzi, sono clamorose. Perché, contraddicono tutte quello che si sta dicendo in queste ore e smentiscono, sul nascere, scenari troppo ottimisticamente vagheggiati dalla diplomazia. Di fatto, l’apparente ingovernabilità dell’attuale crisi mediorientale è anche frutto di un sempre più evidente caos diplomatico.

Nel caos e sulla strategia, i primi segnali

Ieri, i segnali sono arrivati tutti in una volta e sono stati inequivocabili. Ha cominciato Biden, dicendo che «il nostro obiettivo è mantenere questa pausa nei combattimenti oltre domani». A patto che Hamas s’impegni a rispettare i termini degli accordi, e cioè che ne liberi altri 10 per ogni giorno in più di tregua. Il Consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, ha chiarito di aspettarsi una risposta in tempi brevi da Hamas. «Dipende da loro», ha detto. La proposta sarebbe già stata accettata da Netanyahu, al quale Biden l’avrebbe sottoposta nel corso di una ‘accalorata telefonata’ svoltasi ieri.

Trattative segrete oltre gli ostaggi

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, che rivela alcuni dettagli delle delicate trattative, una delegazione di diplomatici del Qatar, su istruzioni della Casa Bianca, si trova da sabato a Tel Aviv, proprio per mediare un allungamento della tregua. Dal canto loro, fonti vicine ad Hamas, hanno replicato dicendo che l’accordo si potrà fare «se gli israeliani continueranno a rilasciare i detenuti palestinesi».

Chi si vuol prendere le macerie di Gaza? E per farne cosa?

Se Biden cerca di guadagnare tempo, per trasformare la ‘pausa umanitaria’ in un ‘cessate il fuoco’, i veri problemi per lui e per tutti gli altri cominceranno nel momento in cui tacciono le armi. Chi amministrerà Gaza? Tutti gli indizi portano a un’unica risposta: nessuno vuole farlo. Nemmeno Israele, che non spenderebbe più manco uno shekel per quella Striscia di terra ormai ridotta a un cumulo di rovine. E l’Autorità nazionale palestinese? Risposta: un’organizzazione di facciata, che viene risuscitata solo quando fa comodo alle Cancellerie internazionali.

Le complessità palestinesi

Come ricorda meticolosamente Haaretz, fino allo scorso luglio Hamas e l’Anp, cioè Haniyeh e Abu Mazen si sono cordialmente incontrati in Egitto, a El Alamein, sotto gli auspici di El Sisi. L’obiettivo era quello di arrivare a una sospirata unione palestinese, sulla base di un programma ambizioso, ma che bandisse il terrorismo. Non se n’è fatto niente, anche se è proseguita l’ambiguità dei contatti e se Abu Mazen ha parlato di «un primo passo importante per completare il nostro dialogo». I due gruppi si erano già visti in Turchia, quella volta con la benedizione di Erdogan, dove avevano creato i presupposti per l’incontro egiziano di El Alamein.

Ministri istigatori e coloni braccio armato

Il motivo era dovuto alla crescente ‘frattura’ tra la dirigenza dell’Anp e la popolazione palestinese della Cisgiordania, sempre più frustrata per l’arroganza e la violenza dei coloni ebrei, protetti o addirittura aizzati dall’azione estremista di Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, entrambi autorevoli ministri del governo Netanyahu.

Crisi generalizzata

Secondo Haaretz, anche Hamas stava perdendo ‘presa’ nella Striscia di Gaza, ma per motivi diversi, legati alla crisi economica e alla qualità dei servizi pubblici offerti. In generale, quindi, anche l’universo palestinese era in crisi, con diverse sfaccettature, da Gaza ai Territori occupati. Così. come lo stesso Israele viveva una difficile fase di politica interna. Il problema, però, è che parliamo solo di qualche mese fa e che, questi problemi, non solo restano aperti, ma si sono persino aggravati.

Le entità che si confrontano e che dovrebbero dialogare per arrivare a un accordo, sono assolutamente indefinite. Può sembrare un paradosso, ma la guerra potrebbe anche durare “per sempre”, semplicemente perché non si sa con chi fare la pace.

27/11/2023

da Remocontro

Piero Orteca