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Medici senza frontiere a Gaza: «Gli aiuti non arrivano e le persone muoiono»

Medici senza frontiere a Gaza: «Gli aiuti non arrivano e le persone muoiono»

«Si muore per una semplice bronchite. Tutto il sistema dell'assistenza primaria è crollato», racconta Enrico Vallaperta, coordinatore di Medici senza frontiere. Testimonianze e storie di chi ha scelto l'impegno umanitario al fianco della popolazione palestinese

Mentre si assiste ad una escalation della guerra a Gaza e in Israele sale la protesta contro la politica di Netanyahu – i parenti degli ostaggi hanno fatto irruzione nel Parlamento, i laburisti vogliono sfiduciarlo – nella Striscia i bombardamenti e lo stato d’assedio hanno causato oltre 25 mila vittime, di cui la maggior parte donne e bambini. Una dramma testimoniato da Left nel libro di gennaio La strage dei bambini con i contributi della relatrice Onu Francesca Albanese, di Tina Marinari di Amnesty International, Giovanni Russo Spena, Suad Amiry e molti altri. In questa lingua di terra in cui la popolazione vive sotto occupazione dal 1967, in un regime di apartheid come documentato da Amnesty International, è intenso il lavoro delle organizzazioni umanitarie.

Fondamentale il focus di osservazione da parte di Amnesty International, altrettanto essenziale l’aiuto fornito da Ong come Medici Senza Frontiere alla popolazione decimata. Alcuni di questi eroici medici hanno trovato il tempo per mandare notizie in modo sintetico, come testimonianza di una realtà difficilmente immaginabile da qui. Mentre 100 camion con gli aiuti umanitari devono soddisfare le esigenze di due milioni di persone che hanno lasciato le loro case senza portare nulla via con sé, i bisogni della popolazione diventati estremi sono testimoniati da chi sta in prima linea. Dalla corrispondenza con l’associazione Msf abbiamo pensato di pubblicare quelli che sono gli avvenimenti di cronaca ma anche qualche storia personale, i pensieri, le emozioni di chi lavora ed è a stretto contatto con quell’avamposto di umanità così tormentata.

Enrico Vallaperta, coordinatore medico Msf a Gaza, 9 gennaio 2024.
Gaza, 3 mesi dopo. (il riferimento è al 7 ottobre 2023, data dell’attacco sferrato da Hamas contro Israele prendendo di mira contemporaneamente la città di Sderot, una ventina di villaggi del Sud del Paese, due installazioni militari e un festival di musica che si svolgeva nell’area). «A Gaza – dice il dottor Vallaperta – definire la situazione disastrosa non è sufficiente. È qualcosa di inimmaginabile. Nessuno aveva pensato di potersi trovare di fronte ad un diktat che non permette agli aiuti di arrivare dove c’è bisogno. Le persone muoiono per questo. Mi sento impotente come tutti quelli che in questo momento sono qui per dare aiuto, non siamo in grado di lavorare perché non c’è lo spazio per farlo, per mettere una tenda, dei teli di plastica dove potersi riparare, non c’è un fazzoletto di terra dove poter mettere una clinica, gli aiuti continuano ad essere fermi al di là della frontiera. Mancano l’acqua, il cibo, le cose essenziali, i prezzi sono alle stelle, quindi le poche cose reperibili sono inaccessibili alla popolazione locale. Si muore di diarrea, per una semplice bronchite, tutto il sistema di assistenza primaria è crollato». Il tono è davvero desolato, continua: «Abbiamo deciso di evacuare l’ospedale di Al-Aqsa perché la situazione stava diventando troppo pericolosa per il personale che veniva a lavorare. Per due giorni i cecchini hanno sparato a medici e infermieri che stavano venendo verso l’ospedale, per fortuna senza colpirli. Solo un proiettile si è infilato nel muro di terapia intensiva, ma nessuno stava passando in quel momento. Due giorni fa (il 7 gennaio ndr) è arrivato un ordine di evacuazione per la nostra area. A malincuore abbiamo dovuto decidere di lasciare l’ospedale, la stuazione era troppo pericolosa».

10 gennaio 2024 : Maurizio Debanne, capo ufficio stampa Msf: Maurizio (il dottor Debanne) scrive dall’aereo che lo sta portando a Gerusalemme, dove si occuperà di comunicazione per Msf. Mandando la sua mail opera una suggestione: pubblica una pagina bianca intitolata “L’articolo che ho rinunciato a scrivere” e quasi come sottotitolo aggiunge «questa era la pagina 3 della mia tesi di laurea». Bianca sì, ma speriamo di scriverla presto diciamo noi. La dedica, spiega era per le nipotine che oggi a loro volta frequentano le aule universitarie. «Per loro il tempo è passato, per israeliani e palestinesi le lancette scandiscono ancora un tempo di guerra».
La dedica dice: «Alle nipotine Alice e Sofia nella speranza che un giorno non troppo lontano possano sentir parlare di israeliani e palestinesi come di due popoli in pace». Dopo l’Università Maurizio ha seguito come giornalista il conflitto israelo-palestinese fino a quando ha dovuto rinunciare a quello che definisce il suo sogno: scrivere finalmente l’articolo che comunica al mondo la firma di un accordo di pace. Ma a quanto pare la strada è ancora lunga; la sua invece lo ha portato a lavorare per Medici senza frontiere, decisione dovuta alla volontà di allargare i suoi orizzonti sul mondo, con una prospettiva umanitaria. «Il destino – conclude – oggi mi riporta indietro nel tempo, in questa terra martoriata da un conflitto unico». Grazie Maurizio: aspettiamo tutti quell’articolo!

13 gennaio : da Gerusalemme Maurizio Debanne.
«Al mio arrivo a Gerusalemme, una delle prime persone che conosco è Paul, originario del Canada. Trascorro con lui gran parte della mia prima giornata di missione. In poche ore memorizzo la suoneria del suo telefono. Appena suona (spesso) risponde, si alza, sparisce per un po’, e quando torna capisci dal suo sguardo se la situazione è grave».
Paul è un operatore umanitario Msf dagli Anni Novanta, a Gaza gestisce la sicurezza degli spostamenti dei team presenti sul territorio. Quando diventa impossibile restare in un ospedale, perché fuori si combatte, è lui che coordina le evacuazioni. «Siamo sempre in una condizione di evacuazione da un posto ad un altro. Come la popolazione, che soffre ancora più di noi – dice -. La sofferenza umana è uguale dovunque, ma questa di ora è probabilmente la mia missione più difficile, certamente quella emotivamente più coinvolgente». Squilla il telefono e la tensione subito sale, ma questa volta non sono brutte notizie. Suo figlio dal Messico vuole sue notizie. Un piccolo raggio di sole. Poi Paul racconta dell’attacco al convoglio di Msf avvenuto lo scorso novembre, un mese dopo il raid di Hamas. «Ero al telefono con i colleghi, ho sentito le urla, gli spari, l’angoscia, poi la comunicazione si è interrotta». Qualche giorno fa Paul ha gestito l’evacuazione dei colleghi dall’Ospedale di Al-Aqsa. I combattimenti a pochi metri. Adesso si sta occupando di riportare i medici in quell’ospedale, così come in altri che hanno dovuto abbandonare.
A sera Paul e Maurizio cucinano la pasta e parlano di ricette di ragù. Un momento di leggerezza in mezzo al dramma.

Foto dal sito di Medici senza frontiere (© Mohammad Masri)

23/01/2024

da Left

Di Federica Taddei