ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

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L’autonomia differenziata non differenzia. Rende disuguali

L’autonomia differenziata non differenzia. Rende disuguali

Il Ddl Calderoli frantuma l'unità nazionale, crea un caos normativo, mette a repentaglio diritti universali e incomprimibili dei cittadini, fa collassare il Ssn. E non solo. Ecco perché è una riforma da respingere in toto

Nell’ambito della campagna di Left contro l’autonomia differenziata pubblichiamo il testo dell’audizione del costituzionalista e giurista Giovanni Russo Spena da parte della Prima Commissione Camera dei Deputati

Come membro dei comitati contro ogni autonomia differenziata e come attivista dei giuristi democratici esprimo valutazioni radicalmente e scientificamente critiche contro il disegno di legge Calderoli, che rischia di diventare legge tra pochissimi giorni. Ci battiamo da anni contro questa grave eversione costituzionale e continueremo a farlo in tutte le forme istituzionali, sindacali, conflittuali possibili. Non credo, infatti, che sia costituzionale trasformare, di fatto, il diritto di cittadinanza in “ius domicilii”, come lo chiama Giovanni Moro, subordinando la quantità e la qualità della fruizione dei diritti alla dimora o alla residenza. È questo, purtroppo, il nucleo fondante del progetto Calderoli. Il tutto nasce dalla sciagurata controriforma, voluta anche dal centrosinistra, del Titolo quinto della Costituzione nel 2001. Ero parlamentare nel 2001; feci, a nome del mio gruppo, la dichiarazione di voto contraria ad una controriforma che il grande costituzionalista Gianni Ferrara giudicò «un raro caso di insipienza giuridica e politica».

Sottolineo, per brevità, solo tre profili di illegittimità costituzionale.

a) Si frantuma l’unità nazionale in una “miriade di staterelli”. Vengono sovvertiti spirito e lettera dell’articolo 5 della Costituzione , che inquadra l’autonomia come autodeterminazione e autogoverno all’interno della «Repubblica una e indivisibile». Nel disegno di legge Calderoli l’autonomia è differenziazione, diseguaglianza, isolamento egoistico. Si crea un caos normativo, si destruttura il legame sociale. La prima parte della Costituzione viene, nei fatti, cancellata.

Il legame tra tasse e territori è la negazione del principio, per me fondativo, dell’orizzonte distributivo. Lo sviluppo duale Nord/Sud, già drammatico, diventa strutturale. Un esempio eclatante, in una materia delicatissima per la formazione sociale, è dato dalla sanità, anche perché, con i Lea (livelli essenziali di assistenza), la sanità è già da anni fortemente “differenziata”. Secondo la Fondazione Gimbe, che è una autorità scientifica nel settore, l’attuazione «di maggiori autonomie in sanità…non potrà che amplificare le disuguaglianze già esistenti» (Qui il rapporto Gimbe). Le quali si evidenziano nella minore speranza di vita nel Sud e nella mobilità sanitaria dal Sud al Nord. Uno dei rischi principali è costituito dalle sperequazioni e dalle gabbie salariali e dai contratti regionalizzati «con una fuga dei professionisti sanitari verso le regioni in grado di offrire condizioni economiche più vantaggiose». La sanità, nel Mezzogiorno, subirebbe il definitivo collasso. Ma, quel che è peggio, verrebbe dato «il colpo di grazia al Servizio sanitario nazionale». L’allarme viene lanciato perfino dalle Confindustrie meridionali.  Dove è, mi chiedo, il “fondo perequativo” previsto dall’articolo 119 della Costituzione? Questa è l’autonomia delle disuguaglianze, anzi la sistematizzazione giuridica e amministrativa delle disuguaglianze!

b) Voglio anche ricordare il puntuale giudizio della Banca d’Italia: si crea, con il progetto Calderoli, «una cornice normativa più complessa e disomogenea, un caos normativo, con conseguente incertezza del diritto e con inevitabili riflessi sulla stessa vantata efficienza e sui costi». Molto puntuali sono stati anche i dubbi esternati dai tecnici del servizio del Bilancio, cha ha rotto la falsa propaganda governativa che con l’autonomia differenziata hanno tutte e tutti da guadagnare. «Ci sarebbe – è la sintesi di un loro accurato lavoro – una forte crescita del bilancio regionale ed un ridimensionamento di quello statale. Così sarà difficile che il sistema tenga». Il governo risponde a questa decisiva obiezione con una presunta perequazione verticale, assegnando, cioè, allo Stato il compito di colmare i divari con proprie risorse. Ma queste risorse non vi sono e non sono previste nei documenti di bilancio della legislatura. Tra l’altro, come ha ricordato la Corte dei Conti, questo «comporterebbe oneri aggiuntivi insopportabili per le finanze pubbliche». Oneri che sarebbe difficile finanziare senza il contributo indispensabile delle regioni più ricche. Ma cosa accadrebbe (domanda a cui il governo non risponde mai) se tutte le regioni chiedessero l’autonomia sulle 23 materie consentite? Ha risposto, nel maggio 2023, lo stesso dipartimento per gli affari giuridici di Palazzo Chigi, in un parere nascosto e inascoltato dal governo: «Se tutte le Regioni chiedessero di gestire da sole 23 materie, questo potrebbe ripercuotersi sugli uffici e sulle strutture dell’amministrazione statale centrale e periferica, preposte allo svolgimento delle funzioni legislative ed amministrative trasferite». Forte sarebbe l’impatto (lo dico da amministrativista) sulle amministrazioni statali interessate «in termini di soppressione o ridimensionamento degli uffici e delle strutture». In definitiva, se ogni Regione gestisce la sua scuola, le sue infrastrutture, i suoi porti, le sue reti energetiche, le sue finanze, con il trasferimento di 500 competenze, cosa resterà della statualità italiana? La stessa Inps ed il ministero del Lavoro avvertono che il progetto Calderoli rischia di trasferire competenze previdenziali che sono, invece, di esclusiva competenza centrale.

c) In Costituzione è forte il rapporto tra risorse e diritti. Penso all’articolo 117 Cost. Ricordo la sentenza della Corte costituzionale 275 de 2016: «è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione». Del resto, l’articolo 119 Cost. prevede un fondo perequativo e la pregiudiziale rimozione degli squilibri economici e sociali. L’autonomia differenziata, invece, riproduce ed alimenta le disuguaglianze regionali e sociali . Non “differenzia”, rende diseguali. Quella dei Lep (livelli essenziali di prestazioni), poi, è un’ambiguità insopportabile: sono uno strumento di garanzia dei diritti o uno strumento di dismissione delle tutele dei diritti stessi? Sappiamo che la determinazione dei Lep è, comunque, pregiudiziale, a prescindere dall’autonomia differenziata (articolo 117 Cost.). Ma non sono previste risorse nella legge di bilancio; né quest’anno, né quelli successivi. E si tratta di risorse ingentissime, pari all’importo di tre leggi finanziarie. Di che cosa, allora, parla il governo? Di promesse vane, vaghe , fatue? I livelli delle prestazioni, inoltre, non dovrebbero essere “essenziali” ma “uniformi”, altrimenti li si riduce ad una residuale marginalità. La garanzia deve concernere il diritto e non solo il suo livello essenziale. Si differenzia, si livellano i diritti al minimo comun denominatore, sempre più basso; così il pubblico, la gestione statuale viene sussunta completamente dal privato. I diritti diventano campo di regressione e di mercificazione. Si frantumano territori e diritti. Aumentano le disuguaglianze territoriali (Nord/Sud) e, quindi, sociali. È lo stravolgimento assoluto della concezione dell’autonomia prevista nell’articolo 5 della Costituzione, all’interno della Repubblica «una e indivisibile». Un’ultima considerazione, sull’ultimo articolo del disegno di legge Calderoli (articolo 11). Ci troviamo di fronte ad una anomala disposizione transitoria di salvaguardia delle vecchie intese. Sembra che, con una grave illegittimità, venga privilegiata l’invariabilità delle vecchie intese, con una corsia privilegiata per la rapida approvazione. È una norma transitoria “di favore”, del tutto incostituzionale, perché crea disparità rispetto alle altre regioni che potranno chiedere in futuro l’attuazione della disposizione costituzionale. Concordo con il giudizio della professoressa Alessandra Algostino:«ci troviamo di fronte ad un uso incostituzionale della Costituzione».

30/03/2024

da Left

Giovanni Russo Spena

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