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Trattativa Stato-Mafia, il verdetto della Cassazione non ha fatto giustizia

Trattativa Stato-Mafia, il verdetto della Cassazione non ha fatto giustizia

29/04/2023

Riprendiamo l'articolo

da La Notizia

Luigi de Magistris 

Per i giudici del processo sulla trattativa Stato-Mafia la stagione stragista è terminata senza alcun accordo. Un'ipotesi difficile da credere. La Corte di Cassazione mette fine al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia in cui la Procura della Repubblica di Palermo ha ipotizzato che esponenti di vertici della politica e dei carabinieri avessero trattato con cosa nostra per porre fine alla stagione stragista contro la Repubblica ed iniziare la fase della convivenza. Attenderemo le motivazioni per una valutazione esaustiva della decisione, ma possiamo già ritenere che giustizia non sia stata fatta.

Per i giudici del processo sulla trattativa Stato-Mafia la stagione stragista è terminata senza alcun accordo. Un'ipotesi difficile da credere.

La Corte di Cassazione ha assolto per non aver commesso il fatto Marcello Dell’Utri, fondatore di forza italia e braccio destro di Silvio Berlusconi, e gli alti ufficiali dei carabinieri del Ros Mario MoriAntonio Subranni e Giuseppe De Donno ed ha dichiarato prescritto i fatti per il capo mafia Leoluca Bagarella. È come se la trattativa o il tentativo di trattare con lo Stato sia stato solo opera di Cosa nostra. Una trattativa unilaterale non può esistere.

Lo Stato non si fa processare. Le motivazioni della sentenza della Corte di appello di Palermo nel ribaltare le condanne inflitte dal tribunale in primo grado, statuirono che la trattativa vi fu ma chi l’aveva condotta da parte dello Stato doveva essere assolto perché aveva agito per fini solidaristici, con l’obiettivo di fermare l’ala stragista di Cosa nostra. In tal modo legittimando di fatto la convivenza con le mafie. Purché non si attenti militarmente allo Stato, purché non si veda, siamo alla mimetizzazione delle mafie nello Stato.

Il rischio concreto di una legittimazione per via giudiziaria, dopo quella politica ed investigativa, della convivenza delle mafie nel corpo dello Stato. Già il ministro Lunardi, in un recente passato, teorizzò la convivenza con le mafie, a proposito del dibattito sulla realizzazione del Ponte sullo stretto. È da ricordare che l’indagine sulla trattativa è stata ostacolata sin dall’inizio. Il procuratore della repubblica Paolo Borsellino venne barbaramente assassinato perché aveva intuito che infedeli nelle istituzioni ai massimi livelli stavano trattando con cosa nostra dopo l’uccisione di Giovanni Falcone nell’attentato di Capaci.

Cosa nostra in quegli anni dimostra di poter mettere in ginocchio la nostra democrazia e si arriva alla trattativa per porre fine all’attacco militare e creare nuovi affidabili interlocutori politici. Dopo il 1994 comincia l’era della penetrazione di Cosa nostra sempre più nel cuore delle istituzioni. Seguendo, in questo, l’Ndrangheta che è l’organizzazione mafiosa che più di ogni altra ha scelto di mimetizzarsi da molto tempo sempre di più nel cuore dello Stato, colpendo i servitori onesti e coraggiosi dello Stato non con il tritolo, ma con i proiettili istituzionali.

Strategia ‘Ndranghetista, trattativa tra pezzi di Stato e cosa nostra, consolidamento del disegno piduista eversivo e istituzionalmente golpista, delineano il salto di qualità delle organizzazioni criminali che decidono sempre di più di farsi Stato, borghesia mafiosa, classe dirigente del paese. Nel processo sulla trattativa, così come nei confronti di magistrati, investigatori, giornalisti che hanno osato nei decenni indagare sul sistema criminale che corrode la nostra repubblica, non sono mancati ostacoli ai massimi livelli che hanno reso più difficile la ricerca della verità e della giustizia.

Come non pensare alla distruzione delle intercettazioni disposta dalla Corte costituzionale su richiesta del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che riguardavano Nicola Mancino, già ministro dell’Interno e poi vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, e il Quirinale. Gli stessi Mancino e Napolitano che furono determinanti a porre fine al mio lavoro di pubblico ministero in Calabria quando mi trovai ad indagare su un sistema criminale, reso forte dal collante delle massonerie deviate, che vedeva coinvolti politici, magistrati, investigatori, pezzi di servizi segreti, ‘Ndrangheta.

Possiamo ritenerci un Paese democratico se non abbiamo la forza e la volontà di ricercare la verità su piazza Fontana, Ustica, Bologna, le stragi di mafia, le trattative di stato, il disegno eversivo delineato dalla P2, il golpismo istituzionale contro i servitori dello Stato che non si piegano? La sentenza della Corte di appello di Palermo aveva motivazioni inaccettabili, questa decisione della Corte di Cassazione smarrisce la giustizia.

 

Le sentenze si rispettano ma si possono criticare. Gli imputati sono stati assolti dopo un processo lungo che è già una pena. Ma il mio pensiero va soprattutto a Borsellino pensando all’agenda rossa mai ritrovata e ai magistrati della Procura di Palermo, in primis Nino Di Matteo, che hanno subito non pochi ostacoli e delegittimazioni per essere, loro sì, fedeli alla Repubblica. So che significa vivere nelle stesse ore lo stato d’animo di chi sa che è arrivato il tritolo per un attentato e contestualmente il capo dello Stato sollecita il procedimento disciplinare al procuratore generale della Cassazione. Il Paese della normale devianza: i normali sono sovversivi ed i deviati sono normali.