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La sanità pubblica all’anno zero

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La crisi della sanità pubblica è sotto gli occhi di tutti: liste d’attesa infinite, medici in fuga, pronto soccorso sovraccarichi. E curarsi è diventato un privilegio per ricchi. La Cgil scende in piazza a Roma sabato 24 giugno per difendere e rilanciare il Servizio sanitario nazionale, ma qual è la situazione in Regioni come la Lombardia, il Lazio e la Campania?

LOMBARDIA, LISTE D’ATTESE BIBLICHE E MEDICI IN FUGA: CURARSI È ROBA DA RICCHI

La sintesi della situazione della sanità in Lombardia è racchiusa nella notizia di un arresto. Quello del primario di Oculistica dell’ospedale di Lesine, in provincia di Brescia, Giovanni Mazzoli, che chiedeva soldi ai pazienti per saltare le liste d’attesa. In questo modo l’intervento alla cataratta poteva essere eseguito entro 30-40 giorni. Anche prima, se l’occhio clinico dell’oculista ricavava, da chi gli stava di fronte, l’impressione di una discreta disponibilità economica. Allora veniva dirottato verso una struttura privata dove lo stesso Mazzoli operava.

La sanità lombarda è spesso portata a modello di eccellenza dai vertici della Regione Lombardia, che basano questa loro convinzione sul grande afflusso verso le strutture mediche lombarde da altre regioni d’Italia. Mai che li sfiori il dubbio che chi arriva in regione per curarsi dalla Calabria o dalla Puglia lo fa perché in regione ci sono dei medici ritenuti più preparati di altri nelle proprie specializzazioni.

A essere in sofferenza sono invece i cittadini lombardi, che pagano lo scotto di trent’anni di politiche di privatizzazione della sanità, cominciata con Roberto Formigoni e poi “perfezionata” da Roberto Maroni e Letizia Moratti, assessora al Welfare con Attilio Fontana. Si è arrivati al punto che all’ospedale “San Raffaele” di Milano, struttura privata accreditata con il servizio sanitario pubblico, per sottoporsi a un intervento di colecistectomia bisogna aspettare 1.300 giorni, circa quattro anni.

Ma avendo la disponibilità di 7.500 euro avviene il “miracolo”, l’intervento può essere eseguito subito, all’indomani della prenotazione, come ha raccontato una signora a Radio Popolare. In sofferenza è anche la medicina territoriale. In Lombardia, secondo il rapporto Crea (Centro per la ricerca economica applicata in sanità), il numero di medici di base massimalisti, cioè con oltre 1.500 assistiti, è in continua crescita da un decennio.

E mentre in Italia ci sono in media 30 medici di base ogni diecimila residenti oltre i 65 anni, in Lombardia nell’ultimo decennio sono passati da circa 33 a circa 26 ogni diecimila abitanti. Nell’Ats Milano lo scorso 11 aprile si è chiuso il bando che metteva a disposizione 424 posti di medicina generale: a candidarsi sono stati solo in 48.

In un precedente bando, sempre per la stessa azienda sanitaria, la Regione Lombardia aveva deciso di aprire il concorso anche a medici non lombardi: erano arrivate solo due domande. Medicina democratica ha organizzato negli ultimi mesi due manifestazioni per riportare l’attenzione sui problemi della sanità lombarda, nei giorni scorsi il Pd ha inaugurato una piattaforma dove i cittadini possono segnalare i problemi riscontrati nell’erogazione di prestazioni sanitarie. Le segnalazioni sono già centinaia. “Nel sistema che si sta prefigurando non c’è posto per chi non ha soldi, anziani, fragili, persone disabili”, dice il medico Vittorio Agnoletto, responsabile scientifico dell’Osservatorio Salute.

LAZIO, DAI PRONTO SOCCORSO AI REPARTI IN CRISI: IL MALATO È LA SANITÀ

La situazione della sanità del Lazio rischia di esplodere. Dopo la pandemia che ha messo in ginocchio il servizio sanitario pubblico collassato per l’ondata dei contagi, a pagare il prezzo più salato delle carenze del sistema sanitario pubblico sono soprattutto anziani e fragili. Persone che ogni giorno devono fare i conti con carenza di personale, liste d’attesa interminabili, chiusure di reparti, pronto soccorso al collasso, mancanza di macchinari e soprattutto con una medicina territoriale inefficace.

Tutti mali che pesano sullo stato di salute dei cittadini a volte con conseguenze irreparabili. In questo contesto, il governatore Francesco Rocca, tra i primi atti della sua presidenza, ha stanziato circa 23 milioni di euro alla sanità privata per dei posti letto definiti dagli addetti ai lavori “inutili” insieme a 100 euro lordi a medico presi dai bilanci di aziende ospedaliere e Asl allo scopo di incentivare i medici ad accollarsi più turni in pronto soccorso. Soluzioni che non hanno portato ai risultati sperati.

“Ad oggi il mio impegno maggiore è quello di tenere aperti i reparti, di rallentarne la caduta invece di pensare al loro sviluppo. I soldi per gli incentivi al personale sono presi dai bilanci delle aziende perché il Mef non mette mano ai fondi del personale e anche se facciamo concorsi non troviamo la forza lavoro di cui abbiamo bisogno perché le piccole aziende sono poco attrattive”, ha commentato il dg della Asl di Frosinone, Angelo Aliquò, che rischia di chiudere i reparti di pediatria e malattie infettive di Alatri.

“Piu che un fatto finanziario c’è una difficoltà di reclutamento delle figure professionali, come medici di pronto soccorso, anestesisti e pediatri – ha spiegato il dg della Asl Roma 5, Giorgio Santonocito -: adesso abbiamo assunto 5 cardiologi che andranno a rimpolpare le nostre 5 strutture che fanno capo a 500mila abitanti. I fondi ci sono nel nostro bilancio”.

Eppure i comitati cittadini non sono dello stesso avviso viste le criticità riscontrate al pronto soccorso del polo ospedaliero Colleferro-Palestrina, in neurologia che oggi si avvale di un unico operatore e che in tutta la Asl non c’è una risonanza magnetica. Mentre la Cgil Fp lamenta anche che a Colleferro e Subiaco non ci sono tecnici di laboratorio, sostituiti da “macchinette che fanno le analisi” oltre la mancanza di un direttore sanitario di tutta la Asl.

Non va meglio a Latina, dove mancano internisti nei nosocomi del capoluogo, di Fondi e Terracina e di anestesisti negli ospedali di Formia, Fondi e Terracina. Ma i problemi che affliggono le Asl delle province non risparmiano le grandi aziende ospedaliere di Roma in grave carenza di personale. “Nell’Asl Roma 2 il concorso per infermieri è fermo come quello degli Oss a Tor Vergata”, ha commenta il segretario Roma-Lazio Cgil Fp, Massimiliano De Luca. E con l’arrivo dell’estate le cose sono destinate a peggiorare.

CAMPANIA, OTTO MESI PER UNA TAC MA CON 250 EURO BASTANO DUE GIORNI

Lo scorso 16 giugno Giorgio ha prenotato una visita ematologica all’Ospedale San Giuliano di Giugliano: prima data disponibile a gennaio 2024. Giovanni ha scoperto improvvisamente che lo specialista dell’Asl Napoli 1 che lo teneva in cura è andato a lavorare in una struttura privata come per altri medici in fuga dal Pubblico.

Liste di attesa di mesi, carenza di personale, pronto soccorso ciclicamente in tilt, emergenza barelle, violenze contro il personale sanitario. In Campania questa è la situazione della sanità pubblica. Per comprendere bene il contesto campano basta registrare i tempi di attesa e i costi a carico dei malati oncologici: 8 mesi in media per attendere un esame nelle strutture pubbliche, fino a due in quelle convenzionate. Risultato? Pagarsi privatamente una Tac o una colonscopia per farla anche due giorni dopo: fino a 250 euro per chi se li può permettere oggi.

“Nonostante la delibera 470 per la presa in carico del paziente oncologico – dichiara Teresa Tartaglione che ha promosso la “Petizione malati e derubati in Campania” – dopo chemio e radio c’è il follow up e siamo costretti a fare gli esami privatamente per non attendere tra i 2 e gli 8 mesi: con il cancro il tempo è fondamentale e così sono stata costretta a pagare 250 euro un esame”.

Anche la Cgil denuncia lo stato dell’assistenza sanitaria in un’assemblea su salute e sicurezza a Salerno: “Siamo preoccupati per quanto sta avvenendo nella sanità pubblica in Campania e più in generale nel Paese – dice il segretario generale regionale Cgil, Nicola Ricci – la Regione si accorge solo adesso che è drammatica la gestione delle liste di attesa e non garantire le prestazioni e il diritto alle cure ai suoi cittadini, non è solo un rilievo emozionale ma la certificazione del malfunzionamento della sanità regionale. Non si garantiscono le cure, l’assistenza e la prevenzione pensando che, siccome non si può potenziare il servizio pubblico, si devono limitare le libere professioni che stanno superando i volumi dell’attività di medicina pubblica”.

Intanto ieri è arrivata l’interrogazione alla Giunta regionale dal consigliere M5S Vincenzo Ciampi: “La Campania è l’unica regione italiana a non aver ancora recepito le linee di indirizzo nazionali sui pronto soccorso adottate oltre tre anni fa con l’accordo Stato Regioni. L’estate è uno dei momenti di massima criticità per questi reparti e ancora una volta il sistema sanitario regionale messo in piedi da De Luca si fa trovare impreparato. Ne pagano le conseguenze gli utenti delle strutture pubbliche, dei pronto soccorso in particolare. Ma anche gli operatori sono messi a serio rischio: la disorganizzazione genera un clima favorevole alle aggressioni. I medici e gli infermieri sono in trincea, abbandonati a sé stessi. Mancano i piani per la gestione del sovraffollamento e la Regione non ha adeguato le strutture per il triage intraospedaliero e l’osservazione breve intensiva”.

24/06/2023

Abbiamo ripreso l'articolo

da La Notizia

di Antonio Murzio, Linda Di Benedetto e Giuseppe Manzo