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Lo Stato della nostra stampa

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Continuano gli attacchi ai giornalisti e desta allarme la nuova bozza del contratto di servizio della Rai. La pacifica indifferenza con cui si assiste a tutto questo è l'effetto di un Paese narcotizzato. Eppure lo stato della stampa è il sintomo dello stato dello Stato

Osservare i fatti messi in fila può aiutare a rendere consistente l’idea. Solo negli ultimi giorni è accaduto che un ministro della Repubblica, tra l’altro un ministro alla Difesa che ha accesso a informazioni riservate, abbia rilasciato un’intervista da cui si evince l’accusa di oltraggio allo Stato per i giornalisti che hanno raccontato i misfatti imprenditoriali di una sua collega. L’intervista di Guido Crosetto in difesa di Daniela Santanchè contiene tutti i topos dell’attacco alla stampa con l’aggiunta della minaccia velata. Un capolavoro dell’orrore.

Sono questi i giorni in cui uno scrittore – Roberto Saviano – è sotto processo per avere pronunciato la parola “bastardi” nei confronti di Giorgia Meloni, in riferimento alle politiche xenofobe e ai discorsi d’odio che questa destra ha concimato in questi ultimi anni. Lasciando perdere inutili letture pietistiche (che Saviano sia minacciato dalla mafia non c’entra nulla con questo discorso, usare questa roba è inutile) che una presidente del Consiglio quereli il giudizio di un cittadino è una sproporzione inaccettabile. Come dice Corrado Formigli che “la persona più potente d’Italia” monopolizzi “un’aula di giustizia per la sua personale resa dei conti” alla ricerca di una pena esemplare “del chiodo al quale appendere, d’ora in poi, il diritto di critica” è una pessima notizia per il giornalismo. È un avvertimento per chi si ritrova a scrivere notizie sul governo.

Ancora. Secondo quanto riferito dal presidente della Federazione nazionale stampa italiana, Vittorio Di Trapani, nella bozza del contratto di servizio presentata nel nuovo consiglio di amministrazione della Rai – guidato da Roberto Sergio – sono stati tolti i riferimenti all’obbligo di “valorizzare e promuovere la propria tradizione giornalistica d’inchiesta”. In più, secondo il presidente della Fnsi, dai principi generali è stato eliminato il comma relativo al “diffondere i valori dell’accoglienza” e viene introdotto l’obbligo di diffondere i valori della “natalità”. La principale azienda d’informazione pubblica italiana si ritrova ad avere scritto, nero su bianco, il passaggio dall’informazione alla propaganda.

Nel frattempo l’ex responsabile della comunicazione di Giorgia Meloni, Mario Sechi, annuncia di lasciare il suo ruolo politico per trasferirsi a un ruolo giornalistico come direttore del quotidiano “Libero”. Nel Paese in cui il conflitto di interessi tra stampa e potere (ma anche imprenditoria, soprattutto nel campo sanitario) vige da 30 anni ormai le “porte girevoli” non sono nemmeno più una notizia. La pacifica indifferenza con cui si assiste a tutto questo è l’effetto di un Paese narcotizzato. Eppure lo stato della stampa è il sintomo dello stato dello Stato.