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Enrico Mattei -bandiera di Meloni in Africa-, il partigiano e il suo 25 aprile

Enrico Mattei -bandiera di Meloni in Africa-, il partigiano e il suo 25 aprile

23/04/2023

da Remo Contro

Giovanni Punzo

 

Il 6 maggio 1945 a Milano, alla testa del corteo dei partigiani che avevano liberato la città dopo l’insurrezione del 25 aprile, sfilarono Mario Argenton, Gian Battista Stucchi, Ferruccio Parri, Raffaele Cadorna, Luigi Longo, Luigi Zambon ed Enrico Mattei (nella foto storica il penultimo a destra della prima fila, dopo Longo)
Attualità, Giorgia Meloni: «L’Italia promotrice di un ‘piano Mattei’ per l’Africa, un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane». 

                                     Il partigiano Enrico Mattei

                                  

La giovinezza e la scelta antifascista

Enrico Mattei, futuro fondatore dell’ENI, era nato nel 1906 ad Acqualagna in provincia di Pesaro ed iniziò a lavorare giovanissimo nell’industria chimica, occupandosi soprattutto di vernici e solventi fino a fondare e dirigere una piccola azienda propria a metà degli anni Trenta a Milano. Un rapporto dell’Ovra (la polizia segreta del fascismo) già nel 1934 riporta un suo discorso non favorevole al regime, ma lo scoppio della Seconda Guerra mondiale e l’Otto Settembre fecero maturare definitivamente la scelta antifascista, tanto che nell’autunno del 1943 entrò nella Resistenza.
Rendendosi conto dello sfruttamento delle industrie italiane condotto dagli ‘alleati’ nazisti, Mattei già prima del 25 luglio aveva ridotto al minimo la produzione per non contribuire in alcun modo allo sforzo bellico-industriale dell’Asse. Grazie a Marcello Boldrini, docente all’Università Cattolica, Mattei aveva quindi preso contatto con esponenti antifascisti del mondo cattolico tra i quali Dossetti e Fanfani.
Un primo tentativo di organizzare gruppi di sbandati nelle Marche come nuclei partigiani, durante il quale assunse il nome di battaglia «Marconi», non ebbe successo e Mattei rientrò a Milano in clandestinità. A partire dal marzo 1944 si trovò quindi a svolgere un doppio ruolo: militare al comando centrale (nome di battaglia «Monti») e politico nel Comitato di Liberazione Nazionale (nome di battaglia «Este»).
Nell’ottobre 1944 fu arrestato insieme ad altri resistenti democristiani, ma riuscì ad evadere con numerosi detenuti politici dal carcere di Como provocando un corto circuito nell’impianto elettrico che originò una baraonda. Dopo un breve periodo in Svizzera, ritornò a Milano per continuare la lotta di liberazione assumendo altri importanti incarichi organizzativi.

L’insurrezione di Milano

La mattina del 25 Aprile 1945, quando il CLN Alta Italia proclamò l’inizio dell’insurrezione, nella zona di Niguarda, in piazza Belloveso, gli scontri tra partigiani e fascisti erano già incominciati dal pomeriggio precedente: erano state innalzate barricate, dati alle fiamme automezzi tedeschi e fascisti e c’erano stati diversi conflitti a fuoco. L’insurrezione insomma aveva cominciato per conto proprio, prima dello sciopero generale annunciato per le 13.00.
Nella mattinata fu liberata per prima la Pirelli di viale Sarca dopo uno scontro a fuoco con i tedeschi, ma entro mezzogiorno si aggiunsero altre fabbriche: rabbiose e impotenti le prime rappresaglie fasciste provocarono due morti alla CGE di via Tortona senza però fermare l’insurrezione. Mentre le notizie arrivavano al comando generale del Corpo dei Volontari della Libertà in corso di Porta Magenta e in via Poma i combattimenti proseguivano. Finalmente all’alba del 26 la Guardia di Finanza occupò la prefettura insediando l’azionista Riccardo Lombardi come prefetto e il socialista Greppi come sindaco.
Seguirono altri scontri, brevi ma cruenti, minacce di rappresaglie e l’incubo dei cecchini dai tetti; solo nel pomeriggio del 27, dopo l’afflusso in città dei partigiani dell’Oltrepò pavese, l’insurrezione poté dirsi conclusa. Il 30 aprile si arresero anche le ultime SS asserragliate nell’hotel Regina. Testimone e protagonista di tutte queste fasi della Liberazione di Milano fu Enrico Mattei, nella sua veste di rappresentate politico della Democrazia Cristiana in seno al comando militare centrale del CLNAI.

I giudizi e i riconoscimenti

Un’immagine idilliaca dei rapporti tra le diverse componenti politiche del movimento di Liberazione non è realistica, ma – nel caso di Mattei – c’è da sottolineare che non innescò mai polemiche con le altre componenti del CLN. Il comunista Luigi Longo, pur ironizzando sui suoi legami con i parroci e i religiosi, lo definì in più occasioni «corretto e imparziale» in un ambito molto delicato come quello dell’assegnazione delle risorse e dei finanziamenti alle unità partigiane.
L’altro punto in cui l’azione di Mattei si rivelò della massima importanza fu quello della raccolta di informazioni sui movimenti di truppe nazifasciste o sui trasporti – soprattutto proprio attraverso una rete di parroci –, perché senza informazioni del resto non era possibile combattere e le informazioni costituivano una vera guerra all’interno di una guerra più vasta.
Brillante si rivelò anche l’organizzazione dei partigiani dell’Oltrepò pavese che – come si è visto – ebbero un ruolo importante nella liberazione di Milano. Più in generale a Mattei fu anche attribuito il merito di aver più che decuplicato il numero dei partigiani aderenti alle formazioni cattoliche che portò a un riequilibrio tra le varie componenti resistenziali.
Nell’ottobre 1945 il generale americano Mark Clark lo decorò con la Stella di Bronzo, ma Mattei – ora che la guerra era finita – sapeva già che era necessario liberare l’Italia da un altro grave problema: quello della carenza di materie prime necessarie alla ricostruzione e al futuro sviluppo.