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Meloni è già senza soldi per la manovra. Conti in rosso in vista della Legge di Bilancio. Le promesse su pensioni e stipendi rischiano di saltare

Meloni è già senza soldi per la manovra. Conti in rosso in vista della Legge di Bilancio. Le promesse su pensioni e stipendi rischiano di saltare

Neanche il tempo di avvicinarsi alla legge di Bilancio e già i conti non tornano. Quando mancano più di due mesi alla Nadef, che definirà i soldi a disposizione per la manovra, il governo Meloni rischia già di dover rinunciare a diverse misure.

In ballo ci sono tante spese inderogabili e tante promesse da mantenere: la conferma del taglio del cuneo fiscale, la riforma delle pensioni, quella del Fisco. Qualcosa è destinato a saltare, con i conti dell’esecutivo già in rosso. Ma cosa?

L’INFLAZIONE METTE IN CRISI MELONI

Il primo problema per Giorgia Meloni è legato all’inflazione: l’aumento dei tassi determina, come spiega La Stampa, un’impennata del costo del debito pubblico. Parliamo di 10 miliardi nel 2024 e di ben 51 nel triennio 2024-2026.

Poi ci sono gli aumenti delle pensioni per la rivalutazione degli assegni: con l’adeguamento all’inflazione la spesa per le casse dello Stato potrebbe raggiungere i venti miliardi.

I CONTI PER LA MANOVRA

A oggi il governo ha solo 5,7 miliardi di euro a disposizione: 4,5 provenienti dal margine rispetto al deficit tendenziale e 1,2 (tutto da verificare) attraverso la spending review. A fronte di almeno 30 miliardi che servono per la manovra. In più ci sono diverse incognite: il rischio dei ritardi nelle rate del Pnrr, per esempio, ma anche il rispetto della discesa del deficit e del debito pubblico, necessario con il ritorno del Patto di stabilità.

COSA C’È E COSA SALTA NELLA MANOVRA

Il primo capitolo a rischio è quello delle pensioni: la Quota 41 costerebbe, solo nel primo anno, almeno quattro miliardi e una volta a regime costerebbe il doppio. Per il 2024 sembra molto più probabile una proroga della Quota 103, che costa un miliardo.

Altro capitolo spinoso è quello del rinnovo dei contratti. Secondo il ministro della Pa, Paolo Zangrillo, adeguarli all’inflazione costerebbe 7-8 miliardi. In realtà pare siano molti di più, ma in ogni caso per ora questi soldi non ci sono.

Di certo il governo deve prorogare il taglio del cuneo fiscale attualmente in vigore: per il 2024 servirebbero almeno 10 miliardi (forse anche 12-13). In questo caso, però, sembra davvero improbabile un passo indietro con il conseguente calo in busta paga per i lavoratori.

Poi c’è da valutare un eventuale rinnovo degli aiuti in bolletta: costerebbe 800 milioni. Ancora, nel Def è stato annunciato l’aumento dell’assegno unico. Poi ci sono i soldi necessari per il sostegno all’Ucraina. Tutte spese inderogabili.

Salterà di sicuro, invece, la flat tax per tutti: nella delega fiscale è già stata accantonata quella incrementale per i lavoratori dipendenti. Ci sarà solo la tassazione agevolata per le tredicesime e i premi di produttività.

Infine in bilico è anche la riduzione delle aliquote Irpef da quattro a tre: servono almeno 6 miliardi (forse persino 2-3 in più) e il governo ha sempre detto che sarebbero arrivati attraverso la revisione di detrazioni e deduzioni. Ma ormai della riduzione delle aliquote non se ne parla più. Non di certo un buon segno.

di Stefano Rizzuti