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Denaro ancora più caro, ma poi basta: BCE pentita e Berlino in recessione

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Come previsto e anticipato su Remocontro con data e numeri. La Bce alza i tassi di un quarto di punto, al 4,25%: ‘L’inflazione cala, ma è ancora troppo alta’. Ma poi promette di smetterla di seguire la politica monetaria americana che ha una economia che sale mentre la nostra scende. Lagarde: ‘A settembre pausa o rialzo, ma certo non taglio’. Incubo recessione

Tutto come previsto. O quasi

La Banca centrale europea ha portato i suoi tassi d’interesse ai massimi storici, al 4,25%. Un picco che non si toccava da vent’anni, da quando fu lanciato l’euro. Il rialzo di 25 punti base segue la Federal Reserve americana, come da copione. Ma finalmente con una differenza: la Presidente della BCE, Christine Lagarde, ha voluto lanciare un messaggio inequivocabile. La politica monetaria seguita finora, che potremmo definire, epicamente, ‘disinflazione o morte’, potrebbe essere finita. O, comunque, da quello che si è capito, ci sarebbero ampi margini «per una pausa di riflessione». Parlando il linguaggio della gente della strada, significa che per curare l’ammalato non si può ammazzarlo. Ed è quello che, secondo molti analisti, rischia di fare una prolungata politica di rialzo dei tassi d’interesse nell’Eurozona.

L’eccesso di medicine che ammazza

Perché, l’altra faccia della medaglia, di questo tipo di strategia ’classica’, è una sicura recessione, che si va a sovrapporre ad altre condizioni peggiorative del mercato: dalla guerra in Ucraina, alla crisi della catena di approvvigionamento produttivo, per finire con le tensioni che generano il ‘disaccoppiamento commerciale’ dalla Cina. A seguire, inflazione, alti tassi d’interesse e aspettative negative hanno fatto crollare la domanda. Insomma, si è messo in moto il meccanismo della stagnazione, seguita, in molti casi, dalla recessione. Che, però, non funziona per tutti allo stesso modo. Anzi, negli Stati Uniti manco si avverte, dato che il Pil continua a crescere speditamente (+2,4% nell’ultimo trimestre).

Se l’economia sale o scende

Le logiche che spingono, quindi, Jerome Powell e la sua Federal Reserve a proseguire nella loro strategia di stretta monetaria, non dovrebbero essere le stesse che governano gli scenari della Banca centrale di Francoforte. Mentre gli americani continuano imperterriti a giocare al rialzo (senza per ora pagare dazio, dal punto di vista della crescita), in Europa le cose funzionano in modo diverso. Dunque, la Lagarde è stata costretta ad ammettere che l’obiettivo di un’inflazione al 2%, almeno per ora, può restare nel libro dei sogni. Facendo sfoggio di ‘realpolitik’, l’ex Direttrice del Fondo monetario internazionale, più saggiamente, ha dichiarato che «c’è la possibilità di un futuro aumento dei tassi. Ma non bisogna nemmeno escludere una pausa». E ha legato la sua vaghezza all’evoluzione degli indicatori statistici, che nel caso dell’inflazione nell’Eurozona, saranno resi noti lunedì prossimo.

Inflazione quanta e quando

Proviamo a interpretare. L’inflazione media nel Vecchio continente è intorno al 5,6%, Non tale da continuare a giustificare una politica monetaria assai restrittiva. Anche perché, dall’altro lato, i sistemi-paese arrancano e il blocco, nel suo totale, perde colpi. Certo, diceva qualcuno, a pensare male si fa peccato, ma a volte si scopre la verità. Allora, la BCE finora ha funzionato come una filiale della Bundesbank, cioè: assoluta difesa del cambio (e dall’inflazione) e scarsa attenzione ai problemi dello sviluppo (la sua costituzione). Da Mario Draghi in poi, però, la musica è cambiata e i tedeschi hanno dovuto combattere, con le unghie e con i denti, per imporre la loro visione della finanza pubblica. Con la Lagarde, si è fatto un passo indietro e Berlino è tornata a puntare i piedi. Magari, non sempre con successo. Così, per un lungo periodo, non si è intervenuti (colpevolmente e con gradualità) sui tassi e, invece, ora lo si sta facendo tutto in una volta.

Un ‘sistema’ da curare

Se l’Europa frena, significa che la terapia adottata fa dei danni collaterali. Danni che, a lungo andare, possono essere anche peggiori della patologia che si vuole curare. E qui arrivano al punto. Isabel Schnabel è la tedesca d’assalto, una ‘sturmtruppen’ della finanza che mette in croce tutto il Consiglio esecutivo della Banca centrale europea. Come la maggior parte degli economisti tedeschi, si sogna di notte la catastrofica inflazione di Weimar, quando si andava a comprare un chilo di pane con la valigia piena di marchi (che valevano quanto la carta straccia). Bene, adesso non è più così. Ma il trauma è rimasto e la guerra totale contro il rialzo dei prezzi, per Frau Doktor, viene prima di qualsiasi altra discussione. O, almeno, veniva. Perché pure Grosse Deutscheland se la sta vedendo brutta e che il suo Pil, nell’ultimo quarto, è calato addirittura dell’1,3%. L’inflazione resta sempre altina (+6,4%), ma in questa fase colpi più duri possono arrivare dal calo produttivo. E dalla disoccupazione conseguente, condita con tanto di subbuglio sociale e conseguente depressione elettorale.

Insomma, meglio mantenere una tassa occulta come l’inflazione, piuttosto che ritrovarsi la gente nelle piazze a protestare. E siccome nella BCE, dopo Mario Draghi, comandano sempre i tedeschi. Ecco spiegato perché, almeno per lunga pezza, nessuno si azzarderà a toccare più i tassi di interesse. Cioè, fino a quando faranno comodo a Berlino.

28/07/2023

Abbiamo ripreso l'articolo 

da Remocontro

di Piero Orteca