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Cento rubli per un dollaro, l’economia di guerra in Russia

Cento rubli per un dollaro, l’economia di guerra in Russia

La valuta russa diventata bersaglio obbligato di mille sanzioni, traballa. L’altro ieri è scivolata, nelle quotazioni, fino a 100 unità per dollaro. La Banca centrale è intervenuta rialzando i tassi. L’arma del petrolio a prezzo basso imposto dal blocco occidentale, e i guadagni della Russia, in dollari, sono stati inferiori del 15%, nella prima metà del 2023.

Economia di guerra

La speranza russa era che, come nel 2022, anche quest’anno la Russia, sfruttando le impennate dei costi energetici, grazie a triangolazioni, mercati neri, contrabbando internazionale e business mascherati, potesse limitare i danni. Ma gli scenari sono drasticamente cambiati. L’Economist, la prestigiosa rivista britannica, mette il dito nella piaga: «Da quando, a dicembre scorso, i grandi Paesi ricchi del G7 hanno imposto un prezzo massimo di 60 dollari al barile, al petrolio di Putin, il valore delle esportazioni è crollato. I guadagni della Russia, in dollari, sono stati inferiori del 15%, nella prima metà del 2023». Questa, naturalmente, è solo una parte del discorso. Perché se, in generale, calcolando anche i settori non energetici, l’export è diminuito in valore, non altrettanto si può dire per le importazioni.

Vendere a poco e comprare caro

Mosca ha continuato a comprare all’estero a briglia sciolta, perché la guerra, che sta conducendo in Ucraina, brucia una montagna di risorse. Ci vogliono rifornimenti di tutti i tipi, armi, munizioni, pezzi di ricambio: e la maggior parte sono pagate in dollari. Insomma, Putin inseguendo il suo sogno imperiale, si sta svenando. Il surplus delle partite correnti (la differenza positiva tra export ed import) esiste ancora, ma si è ridotto di un drammatico 86%, arrivando a mettere insieme solo 25 miliardi di dollari. Troppo poco per guardare al futuro del rublo con ottimismo. Merito delle sanzioni? Anche. Ma, prima di tutto, dice il Financial Times, c’è troppa liquidità (soldi facili) che alimenta l’inflazione e ci sono eccessive spese dello Stato. Specie, ovviamente, quelle militari.

La tempesta perfetta

Poi, se guardiamo gli scenari macroeconomici internazionali col grandangolo, noteremo che, di sicuro, la ‘tempesta perfetta’ che ha messo assieme inflazione, alti tassi, crollo della domanda e incipiente recessione, a livello globale, ha giocato un ruolo determinante nella crisi del rublo. Le economie che erano finanziariamente già con le spalle al muro, come quella russa, sono state le prime a pagare dazio.

Tra i libri contabili del Cremlino

Certo, spulciando tra i libri contabili del Cremlino, si scoprono cose interessanti, come ad esempio la solida presenza di riserve valutarie nella Banca centrale del Paese. Stiamo parlando, secondo stime attendibili, della bellezza di quasi 600 miliardi di dollari. Ma la metà di questa montagna di soldi (circa 300 miliardi di dollari) è congelata delle banche occidentali. Tuttavia, di fronte allo scricchiolio dei santuari finanziari nazionali, la Banca centrale (fatta riunire in tempi strettissimi) non poteva che intervenire. Alzando ovviamente i tassi. Li hanno portati al 12%, facendo più che altro un’operazione di ‘cosmesi’ in chiave di psicologia sociale (e politica). Visto, come abbiamo chiaramente detto, che le cause del crollo del rublo vanno cercate più nel mercato internazionale che in quello interno.

Mercato internazionale

Sempre secondo l’attenta analisi dell’Economist, infatti, rendimenti più elevati non attireranno ‘denaro caldo’, cioè quegli investimenti speculativi, a breve termine, che si fanno invogliare, appunto, dalla convenienza del tasso d’interesse. Gli analisti britannici, invece, prefigurano un altro rischio che potrebbe correre la valuta di Putin. E cioè quello di vedere, letteralmente, scappare dal Paese ingenti capitali in valuta pregiata. In un’economia contemporanea sempre più fatta di aspettative, il deterioramento delle condizioni economiche interne, nella Russia impantanata in una guerra di cui ancora non si vede la fine, può essere un detonatore che fa esplodere i fragili equilibri di mercato esistenti.

Valuta estera e materie prime

Mosca, in questo momento, è schiacciata tra la necessità di accumulare valuta estera (esportando) e quella di rifornirsi di materie prime, di semilavorati di fascia alta e di beni durevoli di qualità per rifornire i suoi eserciti in guerra. C’è, dunque, la necessità di trovare un tasso di cambio, per il rublo, che faccia da spartiacque tra queste due necessità. Impresa ardua, perché in un’economia finanziaria comunque globalizzata, le correlazioni valutarie sono talmente sensibili, da indurre cambiamenti finali amplificati anche dopo oscillazioni ritenute ‘fisiologiche’. Nel caso del rublo, c’è stata, evidentemente, una sottovalutazione, da parte della Banca centrale, del suo possibile processo di deprezzamento.

La colpa fu

A giugno, il vice Primo Ministro, Andrei Belousov, aveva dichiarato che un valore compreso tra 80 e 90 rubli per dollaro sarebbe stato quello ideale, per importatori ed esportatori. Ora, però, la valuta russa ha sfondato quota 100.

Colpa della guerra, direbbero tutti. E invece no. Potenza dell’amor di patria (o dello scaricabarile), uno dei consiglieri di Putin, Maxim Oreshkin, se l’è presa addirittura con la Banca centrale che, come spesso accade in molti Paesi, diventa un comodo parafulmine per la politica.