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50 anni Piazza della Loggia per non dimenticare cosa sono fascismo e fascisti

50 anni Piazza della Loggia per non dimenticare cosa sono fascismo e fascisti

Ogni 28 maggio Mario Margotti esce di casa presto per arrivare in via Beccaria, a Brescia, e salire i 54 gradini che lo portano all’orologio astrario di piazza della Loggia, in cima ai portici. Quando scoccano le 10:12 è lui che, da dieci anni, fa suonare la campana che sovrasta la piazza scandendo otto rintocchi: uno per ogni persona uccisa dalla bomba che cinquant’anni fa esplose a quell’ora venti metri più sotto, in un cestino dei rifiuti. Altre 102 persone rimasero ferite.

Archivio Storico Silvano Cinelli

È un rito che si ripete a ogni commemorazione della strage di piazza della Loggia a Brescia, del 28 maggio 1974, ci ricorda il Post. Quest’anno alla celebrazione dell’anniversario ha partecipato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che per la seconda volta da quando è in carica (la prima fu il 6 settembre 2016) ha reso omaggio alla stele con i nomi delle vittime: Giulietta Banzi, Livia Bottardi, Alberto Trebeschi, Clementina Calzari, Euplo Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti e Vittorio Zambarda. La targa è collocata nel punto dove esplose la bomba, a fianco del pilastro che non è stato restaurato del tutto: un lato, in basso, è stato lasciato lo squarcio per ricordare a chiunque passi sotto i portici di piazza della Loggia cosa accadde lì.

Tra memoria e storia

Cinquant’anni fa, un uomo venne fotografato vicino a quel pilastro negli istanti immediatamente successivi allo scoppio della bomba. Indossava una giacca e una camicia, ed era circondato da altri uomini. Nella foto uno di loro gli stringe la mano sinistra. Lui, invece, è inginocchiato a terra davanti ai corpi dilaniati di tre persone. L’uomo è Manlio Milani, che nel 1974 aveva 36 anni. Una delle persone a terra è sua moglie, Livia Bottardi, uccisa a 32 anni dalla bomba. Erano andati in manifestazione insieme e solo pochi minuti prima dell’esplosione si erano separati perché Milani era stato fermato da un conoscente. Livia invece aveva proseguito e raggiunto alcuni amici sotto i portici, vicino al cestino dove era stata piazzata la bomba, racconta il Post.

Ricostruire le straghe neofascista

Dal 28 maggio 1974 Milani dedica la sua vita a ricostruire cosa fu quella strage neofascista. Per decenni ha partecipato a ogni udienza dei processi, che non sono ancora finiti, ed è diventato prima il referente dell’Associazione familiari caduti strage di Piazza Loggia, poi di Casa della Memoria, centro di documentazione sulla strage e la violenza terroristica, che ha fondato nel 2000 insieme al comune e alla provincia di Brescia. Quando parla di piazza della Loggia Milani ricorda che chi partecipò alla manifestazione quel giorno lo fece «consapevole di stare operando una scelta in difesa della nostra democrazia».

Sindacati e dal Comitato antifascista in seguito alla morte di Silvio Ferrari, un giovane neofascista bresciano. Il 19 maggio Ferrari stava trasportando una quantità di esplosivo sul pianale della sua Vespa ma l’ordigno esplose.

Escalation eversiva fascista

La sua morte fu l’ultimo episodio di una serie di atti violenti avvenuti nei mesi precedenti. La strage di piazza della Loggia parte della cosiddetta «strategia della tensione»: scongiurare con la violenza una trasformazione del contesto politico in senso progressista. Per Milani, al tempo operaio iscritto alla CGIL, e Livia Bottardi, insegnante di lettere alla medie attiva nel sindacato, partecipare al corteo del 28 maggio 1974 fu cosa spontanea. «Avevamo le stesse idee politiche», dice Milani. Si erano conosciuti anni prima sul treno di ritorno da Milano, dove avevano scoperto che entrambi frequentavano lo stesso circolo culturale intitolato al filosofo Antonio Banfi. Si sposarono nel 1965.

Ritorno in piazza dopo l’obitorio

Milani racconta che già nel pomeriggio del 28 maggio 1974, quando tornò in piazza della Loggia dopo essere stato in obitorio, si convinse che la morte di sua moglie non potesse essere ricordata solo come una tragedia personale. «Molte persone che erano in piazza, soprattutto donne, mi avevano riconosciuto e mi ripeterono che la bomba non aveva colpito solo me, ma tutti», dice.

Morti singole, lutto collettivo

Alfredo Bazoli aveva quattro anni e mezzo quando sua madre, Giulietta Banzi, fu uccisa dalla bomba. Non ha quindi ricordi precisi di lei, la conosce soprattutto per quello che gli fu raccontato in seguito: «Era una donna intelligente, con gran senso dell’umorismo, anticonformista e per questo amata dai suoi studenti, appassionata delle lotte civili». Giulietta Banzi insegnava francese al liceo classico Arnaldo di Brescia; aveva 34 anni, era sposata con Luigi Bazoli e aveva tre figli, Beatrice, Guido e Alfredo. Fu tra le fondatrici della CGIL scuola, poi si iscrisse al gruppo di estrema sinistra Avanguardia Operaia.

Per Alfredo Bazoli, oggi avvocato e senatore del Partito Democratico, la strage di piazza della Loggia è innanzitutto un «buco nero da cui ho cercato di non farmi avviluppare.

Processo: Toffaloni e Roberto Zorzi

«Per anni la verità non è venuta a galla anche perché i servizi segreti, pur informati, non avvisarono nessuno», dice Bazoli. «Mancano però alcuni tasselli che permettano di accertare tutte le responsabilità individuali di un evento che ha condizionato la storia della nostra democrazia, rivelando con più chiarezza il ruolo che hanno avuto i poteri più occulti». Ultimo filone di indagine, in cui sono imputati Marco Toffaloni e Roberto Zorzi, neofascisti veronesi legati all’organizzazione estremista Ordine Nuovo. Sono accusati di essere stati gli esecutori materiali della strage. Con molte, troppe circostanze sospette.

Prima circostanza sospetta, l’ordine demenziale di ripulire la piazza, impartito poco dopo l’esplosione dal vicequestore di Brescia, Aniello Damare. Insieme al sangue delle vittime, furono spazzate tracce di esplosivo, possibili indizi e reperti.

 

La risposta popolare

Nei giorni successivi alla strage, molte fabbriche bresciane vennero occupate e piazza della Loggia fu gestita dai cittadini e dai sindacati, che organizzarono anche un servizio d’ordine fino al giorno dei funerali. Il 31 maggio oltre 500mila persone parteciparono al funerale di sei delle otto vittime della strage (due morirono in ospedale pochi giorni dopo): «C’era dolore, ma anche rabbia. Il presidente della Repubblica Giovanni Leone e il presidente del Consiglio Mariano Rumor furono fischiati dalla folla: i rappresentanti dello Stato non erano stati in grado, o non avevano voluto, ancora una volta, impedire una nuova strage», dice Milani.

I documenti della Memoria

I filmati di quel giorno, insieme a fotografie, manifesti, libri e copie degli atti dei processi contenuti in centinaia di faldoni sono conservati nell’immenso archivio di Casa della Memoria. In un contributo all’interno del libro ‘La strategia della tensione tra piazza Fontana e l’Italicus’, pubblicato nel 2022, lo storico Rolando Anni ha descritto i diversi tipi di documenti presenti nell’archivio: i fondi più rilevanti sono dedicati alle stragi di piazza della Loggia e piazza Fontana e contengono, fra le altre cose, centinaia di DVD con le registrazioni video dei dibattimenti dei processi, nastri audio tra cui quello originale del 28 maggio 1974, articoli di giornale, fotografie.

Brescia 50 anni dopo, foto documento

Nelle ultime settimane a Brescia sono state allestite alcune mostre in vista del cinquantesimo anniversario della strage, in cui sono stati esposti materiali finora inediti. Una delle più interessanti è quella con le fotografie di Silvano Cinelli al Museo Nazionale della Fotografia, in contrada del Carmine: Cinelli fu l’unico, tra i fotografi bresciani in piazza, a riprendere lo scoppio della bomba. Si trovava sul furgone dei sindacati dall’altro lato rispetto ai portici dove c’era il cestino dei rifiuti che conteneva la bomba. Quelle di Cinelli sono le foto in cui si vedono i cadaveri e i feriti portati via sulle barelle o tra le braccia di qualcuno. Sua anche la fotografia di Manlio Milani a terra vicino al corpo della moglie Livia Bottardi.

Immagini troppo cruente

«Sono immagini scattate con una grande agitazione addosso, alcune sono leggermente mosse. Con i segni delle pinze usate durante la fase di sviluppo. Non sono errori normali, mio padre era un professionista. Quel giorno però era inevitabilmente sotto shock», dice Carla Cinelli, figlia di Silvano. Cinelli spiega che molti scatti del padre non sono mai stati pubblicati dai giornali perché troppo cruenti. «Io credo però che debbano essere visti perché una fotografia senza morti dà l’idea di cosa è successo, ma non ti trasmette davvero l’orrore che servirebbe a farne comprendere appieno la gravità e a scuotere le coscienze». Con questo intento anche altri fotografi hanno deciso di pubblicare di recente immagini tenute per decenni in archivio.

La dimensione reale dell’orrore

Pietro Gino Barbieri, al tempo studente di medicina, ha esposto fotografie di piazza della Loggia ripresa dall’alto, scattate dalla casa di un fiorista che lo aveva accolto la mattina della strage, in cui si vede l’arrivo delle prime ambulanze. Ce ne sono alcune che ritraggono il corpo senza gambe di Alberto Trebeschi, prima che venisse coperto da una bandiera dei sindacati. «Me lo ritrovai di fronte dopo lo scoppio. Ero sconvolto e scattai senza pensarci, con la mano che mi tremava. Il giorno dopo appesi quelle foto nell’aula magna della facoltà, le videro tutti gli studenti», dice Barbieri.

Foto mai pubblicate prima

Il fatto che tante persone abbiano deciso di esporre ora fotografie mai pubblicate prima: «I due processi a Zorzi e Toffaloni hanno riaperto una ferita mai davvero chiusa. Piazza della Loggia è ancora qualcosa che la città non può lasciarsi alle spalle». Per Alfredo Bazoli non è più una questione di tempo, anche se i ricordi sbiadiscono con gli anni. La città, dice Bazoli, continua a partecipare alle commemorazioni della strage di piazza della Loggia perché ormai «fa parte della sua memoria civile. È un evento del suo DNA, che l’ha formata per com’è ora».

28/05/2024

da Remocontro

Ennio Remondino

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