L’Ue approva soffrendo gli aiuti all’Ucraina per 50 miliardi in quattro anni, che saranno sbloccati da marzo. Viktor Orban ha ceduto ottenendo in cambio che ci sarà un dibattito annuale su come vengono spesi i soldi, ci sarà anche un rapporto della Commissione e tra due anni un vertice per un’eventuale revisione del programma. Ma l’interesse chiave era tutto d’oltre oceano.
Salvezza almeno temporanea per Zelensky
L’Unione Europea, superando l’opposizione dell’Ungheria di Orban, ha approvato un super-pacchetto di aiuti finanziari per l’Ucraina di ben 50 miliardi di euro. Ossigeno per Zelensky e, indirettamente, anche per il Presidente americano Biden, la cui massiccia politica di sostegno nei confronti di Kiev è bloccata al Congresso dall’ostruzionismo dei Repubblicani. Ancora una volta, Bruxelles a sostegno Nato e dell’alleato d’Oltreoceano, impantanato in una politica estera che ha contribuito a farlo crollare nei sondaggi elettorali.
L’Ucraina da nascondere
A complicare la narrativa che ha accompagnato l’approvazione dello stanziamento, un particolare ‘sensibile’, e seminascosto, tutti o quasi (ma solo tra i governi) ad accusare Budapest di egoismo. La questione dei 20 miliardi di euro di aiuti finanziari destinati a Budapest, che la Commissione di Bruxelles aveva bloccato «per mancanza di requisiti». Ci si riferiva, come descrive dettagliatamente un report della BBC, «alle preoccupazioni per i diritti umani e la corruzione nel Paese». Una attenzione per il pedigree democratico dei magiari che, tuttavia, non è stata dedicata con la stessa ‘verve’ agli ucraini, i quali, sul tema della ‘trasparenza istituzionale’, non risultano messi proprio benissimo. Anzi.
La reale credibilità di Kiev
Ipocrisia a 26, lamentano molti anche in casa Ue. Si processa l’Ungheria (ma non sulle sue galere alla Guantanamo), e non si batte ciglio di fronte ai rumors di faide dentro il governo di Kiev. Dove tutti silurano tutti e dove non si capisce fino a quando Zelensky tollererà la figura ‘ingombrante’ di Valery Zaluzhny, il Capo di Stato maggiore della Difesa.
Al mercato dei veti
L’opposizione di Budapest al finanziamento UE era stata già superata a dicembre, quando Orban aveva dato via libera ai negoziati per l’ingresso di Kiev nell’Unione. In quell’occasione, il Presidente ungherese venne ‘premiato’ con lo sblocco dei primi 10 miliardi dovuti al suo Paese. Adesso, il costo dell’operazione ‘ammorbidimento’ di Orban, per evitare che si mettesse di traverso lungo l’asse Washington-Bruxelles-Kiev, sarà sicuramente quello dei restanti 10 miliardi.
Una goccia nel mare dei debiti ucraini
Gli aiuti deliberati per l’Ucraina serviranno, scrive il Wall Street Journal, ad affrontare un deficit di bilancio annuale di oltre 40 miliardi di dollari. Infatti, le misure interne adottate per stringere la cinghia non bastano. L’anno scorso, l’UE ha fornito a Kiev circa 19 miliardi di dollari come sostegno di emergenza al bilancio. Ma non occorre essere macroeconomisti, per capire che ormai l’Ucraina è diventata un pozzo senza fondo. «I leader dell’Europa dovranno decidere – scrive il WSJ – se spendere una parte maggiore degli aiuti quest’anno, rischiando un deficit a partire dal 2025».
Europa, applausi azzardati della vanità
Nonostante i toni, tra il soddisfatto e il trionfalistico, manifestati dal capo della Commissione, Ursula Von der Leyen, e dal Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, gli osservatori americani pensano che l’Europa stia spostando la sua visione del conflitto ucraino, da una crociata morale all’autoconservazione. Siamo passati dall’idealismo post-Guerra fredda alla realpolitik. Magari esagerando potenziali minacce che, esasperate da una diplomazia fragile e zigzagante, finiscono solo con rafforzare gli appetiti di voraci complessi militari-industriali.
E se sul fronte Nato arriva Trump…
«Le preoccupazioni circa il futuro impegno di Washington nei confronti della Nato – sostiene il Wall Street Journal – nel caso in cui l’ex Presidente Donald Trump tornasse alla Casa Bianca, stanno aggravando i timori sulla minaccia militare che l’Europa potrebbe affrontare da parte della Russia». E qui arriviamo al nocciolo della questione. Il timore, tra gli alleati, che un cambio di Amministrazione, alla Casa Bianca, possa ridurre l’impegno dell’America a ‘presidiare’ l’Europa. Questo aumenterebbe in maniera quasi insostenibile i costi per la difesa.
Non solo Trump, ’incubo ‘ricostruzione’
È anche vero che gli Usa vogliono liberarsi, il più velocemente possibile, dal peso ormai quasi insostenibile del sostegno all’Ucraina proprio sul Vecchio continente. Il progetto è strategico e di lungo periodo. Riguarda particolarmente il carico finanziario della ricostruzione. Una cifra esorbitante, che se l’Ucraina dovesse essere associata all’Europa, toccherebbe condividere, in prima istanza, ai cittadini dell’Unione. È un bel rebus, che potrà essere risolto, definitivamente, solo dalle Presidenziali Usa del prossimo novembre.
Politica di sicurezza Ue su quali ‘interessi comuni’?
La politica di sicurezza in Europa dev’essere costruita su interessi prima di tutto ‘europei’. Narrative come quelle utilizzate dal vice Presidente della Commissione UE, il lettone Valdis Dombrovskis, sono semplicemente fuorvianti, se non proprio risibili.
Dire che bisogna riarmarsi «perché la Russia rivendica l’Alaska» o perché «i suoi confini non finiscono da nessuna parte», significa solo rimpiangere i buoni tempi andati. Quando i diplomatici o, meglio ancora, gli statisti, prima di parlare per un minuto ci pensavano sopra mezza giornata.