Più di 800 funzionari in servizio negli Stati Uniti e in Europa hanno firmato una dichiarazione ‘transatlantica’ in cui si sostiene che Israele non abbia rispettato alcun limite nelle sue operazioni militari a Gaza, «che hanno provocato decine di migliaia di morti civili prevenibili», e denunciano anche «il blocco deliberato degli aiuti nell’enclave palestinese che ha messo migliaia di civili a rischio fame e morte lenta».
Mentre negli Stati Uniti esplode la possibilità giuridica di accusare il presidente Biden di complicità in genocidio e altri guai ancora. E in Cisgiordania Hamas non scompare.
La guerra morale che Israele ha già perso
«Esiste il rischio plausibile che le politiche dei nostri governi stiano contribuendo a gravi violazioni del diritto internazionale, crimini di guerra e persino pulizia etnica o genocidio», la sintesi più efficace della ‘Dichiarazione transatlantica‘ inviata alla Bbc, e divulgata nel mondo.
Complici di una catastrofe umana
Secondo i funzionari pubblici di Stati Uniti, Ue ed 11 Paesi europei tra cui Regno Unito, Francia e Germania, le loro amministrazioni rischiano di essere complici «di una delle peggiori catastrofi umane di questo secolo», sottolineando che i loro consigli di esperti sono stati messi da parte. Per l’emittente britannica, solo il più recente tra più segnali di dissenso all’interno dei governi di alcuni dei principali alleati occidentali di Israele.
Per uno dei firmatari, esperto del governo Usa, «il continuo rigetto delle loro preoccupazioni. Le voci di coloro che comprendono la regione e le sue dinamiche non sono state ascoltate».
Da Gaza a Rafah orrore in campo
Giovedì il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha annunciato che l’esercito ora si dirigerà a Rafah, tra le ultime aree non ancora travolte pienamente dall’offensiva di terra. «Stiamo terminando le missioni a Khan Yunis, poi raggiungeremo Rafah ed elimineremo gli elementi terroristici che ci minacciano», ha detto Gallant. «Se davvero andrà così le conseguenze saranno catastrofiche», avverte Michele Giorgio dal Manifesto.
La fuga verso l’Egitto
Facile prevedere che tanti, in cerca di scampo, proveranno a passare la frontiera e a riversarsi nel Sinai. Difficile prevedere la reazione del Cairo che già all’inizio della guerra aveva ammonito Netanyahu dallo spingere i palestinesi nel territorio egiziano. Nessuna «Nakba di Gaza» che non pochi ministri e deputati israeliani ancora invocano. Il presidente egiziano ora chiama in causa gli Stati Uniti arrendevoli verso gli estremismi israeliani, con Biden che da quel fronte corre anche altri pericoli.
Crisi parallela ma forse più grave negli Stati Uniti
Il giudice federale di Oakland, in California, respinge una causa contro il presidente Biden, affermando che il sostegno militare statunitense a Israele è al di fuori della giurisdizione della corte. Ma assieme sentenzia che è plausibile che Israele stia commettendo genocidio a Gaza. Ed ecco i giuristi israeliani più accorti -e Haaretz riferisce-, «Molto altro potrà accadere, negli Stati Unito o altrove, dopo la sentenza della California sul ‘plausibile genocidio a Gaza’».
La Corte Californiana
Nel resoconto della decisione sul sito web del Centro per i diritti costituzionali. «La corte ha affermato che ciò che sta sopportando la popolazione palestinese di Gaza è una campagna per sradicare un intero popolo – il genocidio – e che il sostegno instancabile degli Stati Uniti a Israele sta consentendo l’uccisione di decine di migliaia di palestinesi e la carestia».
L’annuncio su cosa si deve preparare ad affrontare l’amministrazione Biden in piena campagna elettorale: «Insieme ai nostri querelanti, perseguiremo tutte le vie legali per fermare il genocidio e salvare vite palestinesi».
Allarme massimo da Tel Aviv
Per il professor Eliav Lieblich, esperto di diritto internazionale all’Università di Tel Aviv, la decisione in California potrebbe avere un effetto devastante contro Israele nelle controversie in tutto il mondo. «Se Israele non si atterrà di buon grado alle indicazioni dalla Corte Internazionale dell’Aia, soprattutto per l’aumento degli aiuti umanitari a Gaza, sarà il primo segno di molteplici cause legali che saranno intentate in vari luoghi in tutto il mondo».
Biden bloccato negli aiuti
«Questo tipo di decisione rischia di rendere più difficile per l’amministrazione Biden continuare ad aiutare Israele», aggiunge il professore, ricordando ai suoi ‘distratti governanti’ ciò che la Corte internazionale dell’Aia ha ‘ordinato’ a Israele: «Adottare tutte le misure in suo potere per prevenire il genocidio contro i palestinesi, consentire l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza per alleggerire le condizioni di vita lì, impedire la cancellazione delle prove del genocidio e punire gli istigatori del genocidio».
Non certo le operazioni di sistematico abbattimento degli edifici non spianati dai bombardamenti, la cancellazione di Gaza, con corollario di incendi. Pulizia etnica per un impossibile ritorno.
Abu Rudeineh, vicepremier ANP
Nabil Abu Rudeineh, definito ‘l’osso duro’ della politica ‘molto/troppo morbida’ dell’Autorità palestinese, parla con Avvenire. ‘Friendly and frankly’. «Franchezza nei toni, amichevole nei modi. Ferreo nelle convinzioni». Vicepremier, portavoce del presidente Abu Mazen, lo era stato anche di Yasser Arafat. Ministro dell’Informazione, ma di fatto, molto di più.
Israele e Stati Uniti isolati in Medio Oriente
«Non ci può essere negoziato se non c’è un cessate il fuoco. Speriamo che gli americani forzino Israele e li convincano. Ma finora gli americani non stanno facendo il loro lavoro. Se volessero la guerra si fermerebbe in una notte», dichiara Abu Rudeineh a Nello Scavo. «Gli Usa dicono di essere favorevoli alla soluzione dei due Stati. Affermano di essere contrari alla violenza dei coloni israeliani. Ci ripetono di essere interessati alla pace. Cosa aspettano a riconoscere lo Stato Palestinese? Quello che gli chiediamo è di essere più seri».
La poco credibile ANP in Cisgiordania
L’autorità nazionale palestinese molto criticata anche dall’interno. Soprattutto in Cisgiordania. «La colpa principale è dell’occupazione israeliana. La gente vede gli insediamenti illegali che si moltiplicano, vedono le retate, vedono le continue e crescenti limitazioni alla vita quotidiana, alla libertà di spostarsi nelle proprie città e villaggi e questo contribuisce a creare un clima di sfiducia». In Cisgiordania non si vota dal 2006, la contestazione chiave ad Abu Mazen, alla formazione politica di Al Fatah, e quindi allo stesso Abu Rudeineh.
Hamas il solo diavolo?
Avete paura di una vittoria di Hamas? la domanda chiave. «Noi pensiamo che se Hamas accetta le regole che sono alla base delle istituzioni palestinesi, può partecipare alla vita politica pubblica». Anche perché, ad elezioni veramente libere, Hamas, oggi come ieri, le vincerebbe a man bassa, ma questo e in questa fase tragica di guerra mascherata anche nei territori palestinesi occupati, non si può dire apertamente.
Tregua, ostaggi e prigionieri
Attraverso uno dei suoi leader all’estero, Osama Hamdan, Hamas ha fatto sapere di aver chiesto la scarcerazione di prigionieri politici di spicco come Marwan Barghouti (il «Mandela palestinese») e Ahmad Saadat (il leader del Fronte popolare) in cambio della liberazione degli ostaggi israeliani rimasti.
03/02/2024
da Remocontro