All’origine la Direttiva Bolkestein, che impone al governo la messa a gara delle concessioni balneari: per un settore con 6.500 stabilimenti e altrettante attività in aree demaniali. Dare in concessione una spiaggia destinata a sparire, obbligherà lo Stato a intervenire in sua protezione per la «difesa delle attività produttive», com’è avvenuto finora.
Dareste una concessione edilizia su un territorio in frana? Rischiamo la stessa cosa dando in concessione per attività balneari tratti di spiaggia non ancora occupati.
L’applicazione della Direttiva Bolkestein, (quando fu varata a Bruxelles venne amichevolmente chiamata Frankestein ) dal nome dell’allora Commissario per la concorrenza e il mercato interno, che impone al Governo, fra le altre cose, la messa a gare delle concessioni balneari, era oggetto di discussione in Italia già da prima della sua approvazione da parte del Parlamento europeo nel 2006.
Le ragioni sono evidenti: va ad incidere sul settore turistico balneare, una delle principali voci del PIL italiano, alimentato anche dai 6.500 stabilimenti balneari e da quasi altrettante attività turistiche poste in aree demaniali. Qui sono state costruite strutture stabili, talvolta molto impattanti, partendo spesso da semplici installazioni in legno che avrebbero dovuto essere smontate alla fine dell’estate. Le concessioni ‘annuali’ sono state quasi sempre prorogate di anno in anno, e le attività sono passate da una generazione all’altra, portando i gestori a ritenersi depositari di un diritto all’uso esclusivo della ‘loro’ spiaggia, arrivando spesso a fare grossi investimenti su aree demaniali con opere anche autorizzate dai comuni.
La Direttiva Bolkestein impone che, se in concessione viene dato un bene di cui vi è una limitata disponibilità, questo deve essere assegnato a seguito di una gara con evidenza pubblica, cosa che espone gli attuali concessionari al rischio di vedersi soppiantati da altri offerenti, anche stranieri e, non ultime le multinazionali del turismo. Quest’ultimo aspetto è oggettivamente preoccupante, perché potrebbe far perdere buona parte delle caratteristiche specifiche ‘nazionali’ di questa attività, considerata una vera eccellenza.
E quando si parla di imprese balneari non si deve pensare solo a Briatore e alla Santanchè; vi sono migliaia di piccole strutture a conduzione familiare che potrebbero essere sbriciolate dall’arrivo di competitori italiani o stranieri, che vedono nell’apertura del mercato un’occasione di conquista di un territorio da sfruttare in modo coloniale.
Preoccupa anche il futuro di migliaia di lavoratori, a cui non verrebbe garantita l’occupazione, anche se in realtà molti di questi sono stagionali e già ora assai poco tutelati.
In questo quadro complesso lo spettro della Direttiva Bolkestein ha subito sollevato ondate di proteste da parte di coloro che temono di perdere un vero e proprio tesoro, anche se di semplice carta bollata. Ritrovarsi una concessione ottenuta dal nonno è come ereditare una villa! Le proteste sono state subito cavalcate dai partiti del centro-destra, ma l’appoggio è arrivato anche da alcuni amministratori della sinistra, dato che i balneari, in particolare nei piccoli centri costieri, possono muovere una quantità di voti tale da influire in modo decisivo sui risultati elettorali.
Una proroga delle concessioni al 2033, fatta dal Governo Conte 1 su proposta del Ministro Centinaio (Lega) è stata giudicata illegittima dal Consiglio di Stato, e questo conferma le difficoltà tecniche e politiche di regolamentare questa materia.
Dopo infiniti rimandi nell’adozione della Direttiva e richiami da parte di Bruxelles, le decisioni non sono più procrastinabili e per evitare di mettere a bando le vecchie concessioni si spera di dimostrare che la spiaggia non è un bene limitato e che vi sono ancora lunghissimi tratti liberi da mettere a bando per garantire la concorrenza. Verrebbe così ulteriormente limitato l’accesso a chi non può pagare per un ombrellone o a chi, più semplicemente, piace un modo diverso di passare una giornata sul mare. Non dimentichiamo che in alcuni comuni le spiagge libere sono meno del 10% e poste nei settori meno graditi, talvolta anche sotto ai pontili, dove il sole non arriva mai.
È quindi è stata disposta la ‘mappatura’ dei beni demaniali marittimi su cui insistono concessioni, non solo di stabilimenti balneari, ma anche per ormeggi, porti turistici, campeggi ed ogni altro uso turistico, per quantificate le aree libere. Nella mappatura vengono inclusi anche il demanio fluviale e quello lacuale.
In questo contesto, la Presidenza del Consiglio ha istituito un Tavolo tecnico, anche per definire i parametri di valutazione e le modalità di compensazione per chi dovrà lasciare, al quale sono state invitate le associazioni di categoria (in prevalenze stabilimenti balneari, ma anche alberghi, campeggi, approdi e porti turistici), ma non le associazioni ambientaliste e il mondo scientifico, che di gestione dei litorali se ne occupano da decenni.
Molti dei soggetti esclusi, ed anche alcuni operatori economici del settore, ritengono che una regolamentazione sia necessaria e che la Bolkestein possa essere vista come un’occasione di riqualificazione, considerando premianti per l’affidamento attività di ripristino ambientale, servizi ai cittadini, incremento della sicurezza, cofinanziamento delle opere per la stabilizzazione della costa e, certamente, una maggiore tutela dei lavoratori.
Ma perché siamo partiti dalle concessioni edilizie in aree franose? Perché costruire uno stabilimento balneare su di una spiaggia soggetta o destinata all’erosione non è molto diverso.
Quasi la metà delle spiagge italiane è in erosione e in molti casi la linea di riva è stata bloccata da opere di difesa che impattano sul paesaggio, riducono la qualità delle acque, sono pericolose per la balneazione e inducono l’erosione sui tratti limitrofi.
Dare in concessione una spiaggia destinata a sparire, obbligherà lo Stato a intervenire nella sua protezione in nome della difesa delle attività produttive, come è avvenuto fino ad oggi.
Dato che le spiagge antistanti i centri abitati sono ormai sature di ombrelloni, è evidente che le nuove concessioni andranno ad occupare aree poco urbanizzate, proprio quelle che dovremmo lasciare libere di evolversi in modo naturale, per non scaricare sulle generazioni future i sempre maggiori costi della difesa.
E con l’innalzamento del livello del mare, tutte le spiagge sono a rischio. Estendere i tratti in cui si dovrà intervenire con opere di difesa o con ripascimenti artificiali avrà un costo altissimo, a meno che non si lascino sguarnite le spiagge su cui già ora si svolgono importanti attività economiche.
La prossima convocazione del Tavolo è per il 20 luglio. Non ci sarà uno scienziato a parlare dell’erosione, ma speriamo che i balneari, che per nove mese all’anno chiedono scogliere di difesa e sabbia da versare sugli arenili, si ricordino di questo problema!
* Docente di Dinamica e difesa dei litorali all’Università di Firenze
Membro della Task force ‘Natura e Lavoro’
15/07/2023
da Il Manifesto