Due anni di inversioni di rotta da far girare la testa. Dal no all’austerità alla firma di un nuovo Patto di stabilità che richiede tagli sostanziali alla spesa pubblica.
Dall’altolà alla “grande finanza speculativa” all’accoglienza a braccia aperte riservata al numero uno di Blackrock nella speranza che si compri qualche altro asset strategico (quelli che fino a settembre 2022 andavano protetti a tutti i costi da scorribande straniere). Dall’addio alla riforma Fornero ai piani per tenere al lavoro i funzionari pubblici anche oltre i 67 anni. Dall’abolizione delle accise all’aumento di quelle sul gasolio. Dal rifiuto della Bolkestein alla messa a gara delle spiagge entro il 2027. Sono solo le più macroscopiche giravolte di Giorgia Meloni nei 24 mesi trascorsi a Palazzo Chigi. Una metamorfosi in alcuni casi auspicabile, ma certo difficile da giustificare agli occhi degli elettori che il 25 settembre 2022 hanno fatto di Fratelli d’Italia il primo partito del Paese. E la trasformazione è ancora in corso: sono passate poche settimane, per dire, tra l’assicurazione che “la stagione dei bonus è finita” e il varo del bonus Natale da 100 euro per 1 milione di lavoratori dipendenti selezionati con criteri molto discutibili. Seguito dalla Carta per i nuovi nati inserita in manovra.
Sì all’austerità – “Basta austerità: le politiche imposte dall’Ue sono state un fallimento in Italia e in Europa”. Maggio 2019: in vista delle elezioni Europee di qualche giorno dopo Meloni chiede un “imponente piano di investimenti” da finanziare senza badare ai vincoli di finanza pubblica.
A giugno spiega al governo Conte come muoversi per contestare la Commissione che minaccia un’infrazione per deficit eccessivo: “Bisogna andare a vedere il bluff. Andiamo in Europa a chiedere le risorse necessarie per uno choc fiscale e un piano serio di investimenti pubblici, che possa veramente rimettere in moto l’economia italiana”.
Arrivata a Chigi il 23 ottobre 2022, la leader di FdI cambia registro. Con la prima legge di Bilancio fa salire il deficit/pil meno di quanto aveva fatto l’anno prima il governo Draghi. La spesa della pa e per gli investimenti cala. A fine 2023, durante le trattative sul nuovo Patto di stabilità, l’Italia accetta obtorto collo un accordo con paletti quasi identici a quelli previsti dalla versione precedente e, in cambio di un occhio di riguardo per gli esborsi legati agli interessi sul debito, ulteriori “salvaguardie” chieste dal fronte dei Paesi frugali. In aprile arriva il via libera definitivo. Per l’Italia le nuove regole si traducono in circa 13 miliardi di tagli o maggiori tasse all’anno di qui al 2031, sempre che otteniamo dalla Ue l’allungamento del piano a sette anni. Il Piano strutturale di bilancio approvato a fine settembre ufficializza il “percorso di aggiustamento”.
Archiviato l’addio alla Fornero – Il superamento della legge Fornero con Quota 41 (la pensione al raggiungimento dei 41 anni di contribuzione) era uno dei quindici punti della piattaforma comune di FdI, FI e Lega in vista delle elezioni. La promessa è stata clamorosamente tradita. Nella prima manovra ha trovato spazio solo Quota 103, cioè l’opzione di lasciare il lavoro con 41 anni di contributi versati ma solo una volta raggiunti i 62 anni di età. L’hanno chiesta in pochissimi, meno di 20mila persone, anche perché il ricalcolo contributivo comporta una penalizzazione sull’assegno. Anche l’anno dopo quota 41 è rimasta un miraggio e, accanto alla conferma del taglio delle indicizzazioni degli assegni oltre 4 volte il minimo, per risparmiare sono arrivati tagli pesanti alle pensioni di centinaia di migliaia di dipendenti pubblici. Vista la rivolta dei medici il governo ha deciso di salvaguardare almeno in parte solo quella categoria. Le uscite anticipate sono state scoraggiate allungando il periodo di attesa tra accettazione della domanda e arrivo della prima pensione e, nel caso dell’Ape sociale, alzando i requisiti di età. Opzione donna è stata limitata solo a caregiver, invalide civili e lavoratici licenziate o dipendenti di imprese in crisi. Ora la coalizione che voleva rottamare la Fornero si appresta a chiedere agli statali di restare in attività anche oltre i 67 anni.
Tappeto rosso alla “grande finanza” – “La Goldman Sachs dice di temere la nostra vittoria e fa bene perché non ci siamo consegnati e non daremo spazio alla finanza speculativa. La speculazione è uno strumento nelle mani dei poteri forti. Alla grande finanza speculativa conviene una classe politica che è pronta a svendere pezzi di Italia pur di mantenere saldamente la poltrona”. Mancano tre mesi alle elezioni politiche del settembre 2022. In comizio a Messina, la leader di FdI in versione underdog giura che in caso di sua vittoria i fondi di investimento non potranno più spadroneggiare comprandosi a piacimento asset nella Penisola. 30 settembre 2024: Palazzo Chigi annuncia l’incontro della premier con Larry Fink, presidente e ad del colosso Blackrock, che gestisce nel mondo attivi per quasi 10mila miliardi di dollari. Al centro del colloquio l’opportunità di investimenti in Italia “nel campo delle infrastrutture nazionali di trasporto e in altri settori di natura strategica“. Nel frattempo Tim, col via libera del governo, ha venduto la rete al fondo Usa Kkr (il Mef ha il 20% del capitale) e si appresta a pagare 2 miliardi l’anno per usare quella stessa infrastruttura. Nel 2020 alla Camera era passata una mozione di FdI stando alla quale la rete, essendo infrastruttura strategica, doveva essere di proprietà pubblica.
Aumento delle accise – “Quando voi fate 50 euro di benzina, 35 euro vanno allo Stato italiano tra Iva e le famose accise, ed è una vergogna. Noi non solo chiediamo che non aumentino, come previsto dalla manovra di questo governo, noi pretendiamo che progressivamente vengano abolite“. Il video, risalente al 2019, è ben noto. Meloni, seduta al posto di guida, chiede il pieno. Un uomo di nero vestito, dotato di valigetta con la scritta “fisco”, si porta via la maggior parte dei soldi che la leader di FdI porge al benzinaio. Segue l’invettiva contro l’imposta. Com’è andata a finire? La Meloni premier ha deciso di non prorogare gli sconti decisi dal governo Draghi quando il prezzo del carburante era salito alle stelle. Ora, nel Piano di bilancio, si impegna ad “allineare le aliquote delle accise per diesel e benzina“: la misura entrerà nel decreto fiscale collegato alla manovra. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha spiegato che gli autotrasportatori non saranno coinvolti. Per gli altri automobilisti si profilano maggiori costi per 1 miliardo: le accise sul gasolio (61,7 centesimi al litro) saliranno di qualche centesimo e quelle sulla benzina (72,8 centesimi) saranno tagliate di altrettanto, ma visto che i consumi di gasolio sono ben superiori a quelli di benzina l’erario ci guadagnerà.
Sì al “Grande fratello fiscale” – “Arriva il Grande fratello fiscale sotto il nome di “anagrafe dei conti correnti bancari”. Così lo Stato guardone saprà in tempo reale cosa compra e cosa fa ogni singolo cittadino con i suoi soldi”. Nel novembre 2018 Meloni è fuori di sé: il governo Conte vuole consentire anche alla Finanza di avere accesso automatico all’archivio che raccoglie saldo iniziale e finale, valori medi e movimentazioni di conti corrente e conti deposito. Non s’ha da fare. Nei suoi due anni da premier cosa è cambiato? Il governo ha adottato una linea improntata all’ambiguità. Da un lato ha varato una lunga serie di sanatorie e condoni – l’ultimo per spingere l’adesione al concordato preventivo biennale tra fisco e partite Iva – strizzando l’occhio a chi vede le tasse come “pizzo di Stato”, dall’altro ha lasciato procedere con il pilota automatico misure messe in campo dagli esecutivi precedenti. Tra cui il prezioso incrocio dei dati a disposizione del fisco, a partire appunto da quelli contenuti nell’Archivio dei rapporti finanziari, in vista di un utilizzo massivo che consenta grazie anche all’impiego dell’intelligenza artificiale di individuare i potenziali evasori. Tutti i documenti ufficiali del governo confermano l’intenzione di proseguire su quella linea.
Risale l’Iva sui pannolini – L’ampliamento della platea dei beni con Iva ridotta, “in particolare con riferimento al carrello della spesa e ai prodotti per l’infanzia”, era nel programma di Fratelli d’Italia. Con la prima manovra il governo Meloni ha in effetti ridotto al 5% l’imposta su alcuni prodotti per l’infanzia e per la cura della persona, come i pannolini. Ma è stato un flop: le aziende hanno aumentato i prezzi e il beneficio per i consumatori si è azzerato. Nel 2024 lo sconto sui seggiolini auto è stato revocato tout court e l’Iva su pannolini, latte in polvere e tamponi è stata portata dal 5 al 10%.
Nuovi cambi in corsa sul Superbonus – “FdI è intervenuta chiedendo che non si cambiassero le regole in corsa e per sbloccare il mercato dei crediti incagliati e favorire la ripresa dei lavori nei cantieri. Ma intende andare oltre per tutelare i cosiddetti esodati del Superbonus, imprese e cittadini rimasti prigionieri delle frequenti modifiche normative”. Così parla Meloni in un video registrato il 17 settembre 2022. Poi il centrodestra – che dall’opposizione ha sempre votato a favore della proroghe della misura – va al governo e fa partire un nuovo valzer di modifiche senza preavviso. Tempo pochi mesi arriva lo stop totale a sconti in fattura e cessione dei crediti, oltre al divieto per gli enti pubblici di comprare quelli già sul mercato: molti proprietari si ritrovano nel limbo dopo aver investito i propri risparmi. A fine 2023, dopo le proteste, arriva una parziale correzione (il credito d’imposta viene riconosciuto per tutti i lavori realizzati e asseverati al 31 dicembre). Nel marzo 2024 vengono eliminate tutte le eccezioni che – per scelta dello stesso governo – consentivano ancora ad alcune categorie di godere degli sconti in fattura o della cessione del credito. Non senza ulteriori ripensamenti (vedi il caso Sismabonus). A maggio arriva anche l’obbligo in parte retroattivo di spalmare i crediti su 10 anni, decisione che spacca la maggioranza.
Sì alla messa a gara delle concessioni balneari – “Chiediamo un intervento immediato con i Comuni affinché attuino l’estensione delle concessioni al 2033 già prevista per legge e un’azione in sede Ue per escludere i balneari dalla Bolkestein: ora o mai più”. Nella primavera 2020 Meloni non aveva dubbi: occorreva agire subito per dare certezze alla lobby dei titolari degli stabilimenti e salvarli dalla messa a gara chiesta dalla Ue. Avanti veloce a settembre 2024, dopo due anni di melina tra tentativi di rinviare l’apertura alla concorrenza, inutili negoziati con Bruxelles e bocciature da parte di Consiglio di Stato e Commissione Ue. La realtà prende il posto degli slogan. In cdm arriva una norma che sancisce la necessità delle gare – da avviare entro il giugno 2027, ma con facoltà per gli enti locali di procedere prima – e prevede sì degli indennizzi per il concessionario uscente ma non pari all’intero valore aziendale. Il voltafaccia fa infuriare la categoria, storico bacino elettorale delle destre. Il commento pubblicato il 6 settembre dalla testata di riferimento, Mondobalneare, è indicativo. Titolo: “I balneari scaricati dal governo amico, che regala altri due anni di agonia”.
Aumentano le rendite catastali – “Noi stiamo facendo una battaglia a 360 gradi contro la riforma del catasto. Se vuoi aumentare le tasse lo devi dire, e ti assumi le responsabilità di quello che stai facendo”. Maggio 2022: Meloni saluta con favore il fatto che nelle trattative sulla delega fiscale la Lega, parte della maggioranza che sostiene Draghi, abbia ottenuto a suo dire di “sventare una patrimoniale mascherata” sulla casa. È una vittoria di facciata ma poco importa visto che a fine luglio Draghi lascia. Il governo Meloni si fa la sua delega, in cui la riforma del catasto non entra. Nella legge di Bilancio per il 2024 entra però la previsione che l‘Agenzia delle Entrate dovrà verificare “sulla base di specifiche liste selettive” se i proprietari di case ristrutturate grazie al Superbonus hanno notificato la variazione dell’inquadramento catastale. Giorgetti, audito in Parlamento sul Piano strutturale di bilancio, ripete il concetto spiegando che si andrà a “verificare” – come già previsto – se gli aggiornamenti sono stati fatti. Perché, evidentemente, finora non è successo. Il risultato è che – doverosamente – chi ha fatto lavori importanti godendo di maxi detrazioni fiscali vedrà salire la rendita su cui vengono calcolate l’Imu sulle seconde case, l’imposta di registro e l’imposta sulle successioni.
Stop alle esenzioni per i giovani che comprano casa – Restando in tema di mattone, il programma elettorale di FdI prevedeva “zero tasse sui primi 100mila euro per l’acquisto della prima casa”. La legge di Bilancio per il 2024 ha ridotto le agevolazioni fiscali per i giovani under 36 che comprano un immobile e hanno Isee sotto i 40mila euro: gli atti sottoscritti dallo scorso gennaio non godono più dell’esenzione dalle imposte di registro, ipotecaria e catastale per gli atti di acquisto, del credito di imposta Iva e dell’esenzione dall’imposta sostitutiva per i mutui.