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Adriano Prosperi: «La storia tradita, ecco perché oggi serve una nuova Resistenza»

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Nel suo libro "Cambiare la storia", Adriano Prosperi denuncia la manipolazione della memoria come strumento di potere. Contro la verità storica, Trump e Meloni usano nazionalismo e falsi miti per riscrivere il passato e cancellare la coscienza civile

Nel suo nuovo libro Cambiare la storia, falsi, apocrifi, complotti (Einaudi) lo storico Adriano Prosperi analizza episodi di clamorosa falsificazione della storia: dal famoso falso della donazione di Costantino su cui si fondò tanto potere temporale della Chiesa, ai protocolli di Sion, su cui si è basato tanto antisemitismo. Inganni che hanno inciso pesantemente sul corso della storia.

«Questo libro è un po’ un esercizio, per così dire, di storia in pillole. La storia dovrebbe raccontare il vero. Invece è accaduto molto spesso che abbia raccontato il falso. Gli esempi purtroppo sono tanti», avverte il professore emerito della Scuola Normale superiore.

«Ogni falsa notizia nasce sempre da rappresentazioni collettive che preesistono alla sua nascita» scriveva Marc Bloch, come Prosperi ricorda nella premessa di Cambiare la storia. «È proprio così – dice a Left il professore -. Ogni volta è accaduto perché in qualche modo si erano generate le condizioni perché accadesse, proprio come notò Bloch. Non si sarebbe potuto impunemente raccontare il falso se non ci fossero state delle premesse, delle forze, delle tendenze, delle condizioni storiche. Raccontare che Costantino aveva regalato Roma e l’Impero al papato fu possibile finché il papato fece di tutto per sostenere la verità del falso.

Professore chi inventò il falso della donazione di Costantino?

Lo inventarono nella Curia romana e ne sostennero la veridicità per secoli. Poi a un certo punto comunque è accaduto che l’autorità politica, temporale, che il potere spirituale reclamava per sé si è ridotta e concentrata in un piccolo Stato che ha sede proprio a Roma.

Oggi, se dovesse fare un esercizio da contemporaneista, dove vede le falsificazioni della storia più evidenti? 

Purtroppo giungiamo al 25 aprile in un contesto in cui il vento della liberazione non soffia più. Chi vuole sostenerla deve fare conti con l’ostilità del regime politico, del potere dominante oggi; deve fare i conti con il tipo di cultura che si sta diffondendo ma anche con un contesto internazionale in cui quella speranza di conquista della libertà con la lotta dei cittadini si è molto allontanata dal nostro orizzonte dominato da oppressioni e guerre. Noi non avremmo mai potuto immaginare che ci sarebbero state altre guerre.

L’ottantesimo della Liberazione cade in un contesto internazionale di conflitti armati. Come lo vive?

Vede, io sono nato prima della seconda guerra mondiale, ricordo l’oppressione vissuta in quegli anni. La mia famiglia era contadina, mio padre era comunista dalla scissione di Livorno del 1921 e vivemmo quegli anni di terrore oppressi dalla potenza che ci occupava e che aveva dalla sua la collaborazione del fascismo. Io ricordo bene la strage del padule di Fucecchio che avvenne il 23 agosto del 1944, dieci giorni prima della liberazione della zona.

Fu una delle più efferate stragi nazifasciste come lei ha scritto in una toccante testimonianza «La mia liberazione» uscita nel 2015 su Micromega in cui ricordava che non furono risparmiati neanche donne e bambini. Si narra di neonati usati come bersagli di tiro a segno…

Da noi gli alleati arrivarono il 2 settembre del 1944. Quel 23 agosto i nazifascisti a Fucecchio uccisero 180 persone, fra loro donne, bambini, vecchi. Non possiamo dimenticare che insieme al battaglione nazista agiva anche uno specifico corpo italiano di SS: furono loro a guidare i tedeschi e al contempo i militari fascisti uccidevano direttamente chi li riconosceva. I nomi di questi assassini furono registrati soltanto da un parroco locale che però poi li cancellò dal suo diario perché non si alimentassero divisioni fra gli italiani. Il fatto vero è questo: ci furono italiani che fecero strage di italiani in nome del nazifascismo e questa fu la condizione in cui arrivammo alla liberazione che avvenne con l’intervento degli alleati.

Oggi a scuola queste vicende non vengono più ricostruite adeguatamente. E sui media e in tv politici e giornalisti di destra propongono una falsa narrazione di quel periodo che mette sullo stesso piano partigiani e nazifascisti. Come cambiò la sua vita dopo la Liberazione?

I miei genitori si sacrificarono perché io potessi studiare. La mia iscrizione al concorso per le scuole medie avvenne nel nome di Gramsci. Mio padre era stato colpito da una sua frase: «Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza». Su quella base si sentì in diritto di mandarmi a fare il concorso per docente alle scuole medie. Sono fatti che segnano la vita e che oggi mi fanno guardare al futuro con un senso di sconcerto e di grave preoccupazione perché non solo la pace – che allora volevamo riconquistare per il nostro popolo e per il mondo – ma molti altri valori sono sotto accusa. Oggi si parla di riarmo ed è a rischio la conquista della verità. Liberazione vuol dire anche liberazione dai falsi, liberazione dalla scuola fascista. E oggi la libertà di insegnamento è minacciata perché si progetta un insegnamento della storia che vuole inculcare nei discenti un certo concetto dell’identità, a partire dalle elementari.

Sul tema dell’identità lei ha scritto una interessante riflessione critica pubblicata da Laterza. Le nuove linee guida del ministro dell’Istruzione e del merito Valditara vanno nella direzione opposta?

In quel testo sull’identità, che ho letto in pubblico, mi sono chiesto cosa sia l’identità, questa maschera di plastica che dovrebbe compattare le persone. Il progetto Valditara prevede che si studi a scuola la nostra «identità italica»: quindi si partirà dai romani di un tempo e si arriverà ai romani di oggi….

Nel suo nuovo libro scrive: c’è stata un’epoca di nazionalismo in cui si proponeva un insegnamento della storia che si traduceva in un’ora di propaganda nazionalista. Il profeta ne fu Ernest Renan, autore per altro molto citato dalla nostra presidente del Consiglio. Che dire?

È un problema serio che mi pongo come cittadino italiano: mi chiedo come sia stato possibile tornare a rispolverare vecchie maschere naziste, fasciste, vecchie persone che si sono impadronite di quei simboli e che sbandierano quelle idee. Che cosa fa sì che gli italiani siano così proni nelle loro manifestazioni? Questo è veramente un problema.

Le parole “libertà e liberazione”, a cui abbiamo dedicato il numero di Left in edicola appaiono svuotate di senso nell’uso che ne fanno Trump e Vance. Il presidente degli Stati Uniti ha parlato di Liberation Day imponendo dazi, mentre il suo vice è venuto fino a Monaco di Baviera per farci la predica, evocando un’idea di libertà negativa, assoluta, che spezza i legami sociali. Come legge tutto questo?

Le parole possono ingannare, dipende dall’uso che se ne fa e dal modo in cui le si interpretano. Mi viene in mente il modo con cui la presidente del Consiglio ha rievocato il manifesto di Ventotene. Ne ho fatto una lettura pubblica qui nella città dove vivo, visto che era stato rispolverato soltanto per infamarlo. Da quell’ideale di un mondo libero dove i popoli si univano nasceva un’Europa dove il nazionalismo era dismesso, fu uno dei tanti episodi straordinari di quel periodo terribile. Mentre la guerra continuava, i patrioti, coloro che amavano l’Italia, si dovevano nascondere oppure erano prigionieri del regime, ma preparavano un futuro che immaginavano e costruivano secondo ideali totalmente diversi da quelli con cui oggi si vincono le elezioni, totalmente diversi dai modelli che vengono impartiti alle generazioni giovani nella scuola del governo Meloni.

Come rispondere, come resistere?

Con iniziative culturali. Per esempio, qui in Toscana c’è una compagnia teatrale Archivio Zeta che il 25 e il 26 aprile li celebra con uno spettacolo a Monte Sole, nei luoghi della strage di Marzabotto. Anche questo è un modo di alimentare la resistenza. L’hanno intitolato un programma della facoltà di Resistenza. Contro la somma delle ingiustizie, delle divisioni della società italiana che ci pesa e che si esercita soprattutto su chi viene da fuori, su chi non è considerato uguale agli altri. Speriamo che contro questa violenza, la parte positiva di questo nostro popolo che ha una storia così varia, così discontinua, così diversa dagli altri popoli europei, si faccia finalmente di nuovo valere.

Allargando lo sguardo anche oltreoceano balza agli occhi l’attacco alla libertà accademica. Facoltà prestigiose come Harvard, come la Columbia, sono attaccate da Trump. Il presidente Usa taglia i loro fondi e impone censure, mette al bando la cultura woke, mentre si riempie la bocca della parola libertà. Di fronte a tutto questo l’Europa dovrebbe tanto più riarmarsi di cultura riscoprendo le proprie radici culturali che sono quelle della ricerca e del confronto tra culture? 

Certamente, questa dovrebbe essere la risposta europea. Non è questo il messaggio che la presidente del Consiglio italiana ha portato a Washington. Ma quella che è in gioco come ha ben risposto l’Università di Harvard è la loro storia, i loro valori, i loro fondamenti, ma quella storia, quei valori e quei fondamenti erano anche i nostri e oggi non lo sono più. Oggi rischiano di essere vilipesi e abbandonati materialmente, perché nel momento in cui per esempio gli immigrati vengono deportati in una specie di altro mondo, in un altra area perché da noi non c’è posto, in questo momento è la nostra libertà stessa che dimostra di essere in grave crisi. Tutto questo è veramente intollerabile!

Nel suo nuovo libro lei parla di cancel culture. «Rappresenta il bisogno di liberarsi da una memoria collettiva di un occidente bianco, cristiano, schiavista, intollerante, colpevole di un domino sugli altri popoli», lei scrive. Dunque questa cosiddetta cancel culture, tanto vituperata da Trump e Meloni, corrisponde a un risveglio di coscienza civile. Al di là del fatto che abbattere le statue forse non è il sistema migliore, però è il segnale di una presa di coscienza, di una consapevolezza contro l’abuso?
Io penso di sì, che sia necessaria questa presa di coscienza. Si sta manifestando, se ne vedono frammenti qua e là in assenza di una forza politica autentica che la possa rappresentare. Almeno questo è quello che spero, che prenda forza, che trovi una traduzione politica. Io sono nato sotto Mussolini e ho vissuto la disperazione degli anni dell’occupazione tedesca, quindi so cosa vuole dire l’assenza di libertà. Allora la liberazione fu celebrata con un’esplosione vitale di popolo che si manifestò anche nelle elezioni politiche e dette vita a partiti antifascisti. Poi abbiamo varato la Costituzione, che oggi purtroppo soffre in alcuni suoi punti nodali proprio per le leggi liberticide che la maggioranza sta portando avanti. C’è da sperare in un soprassalto della storia in un mondo in cui le forme di oppressione, le forme di aggressione alla vita e ai beni comuni, oltre che alla libertà delle persone sta diventando sistematica. Viviamo un tempo in cui l’abbandono dei valori di libertà e di democrazia si manifesta in lutti quotidiani che ascoltiamo con orrore, sia che vengano dalla Palestina, sia che vengano dall’Ucraina. C’è da sperare che ci possa essere un riscatto che risani anche il regime americano.

Cosa furono gli americani per voi in quegli anni della Seconda Guerra Mondiale?
Io ho fotografie e ricordi dell’accoglienza che i soldati americani sopravvissuti alla guerra ricevettero dalla popolazione italiana, allora si avvertiva quel valore di libertà che portavano con sé, per cui ci sembrarono un popolo felice, un popolo diverso. Spero che quei valori di libertà tornino ad avere la loro forza contro questa santa alleanza di destra che si celebra oggi nella capitale degli Stati Uniti e questo è l’augurio che posso fare come ormai troppo vecchio professore, deluso dall’andamento delle cose in questo Paese, dai tanti tradimenti dei valori per i quali morirono allora tanti durante la lotta partigiana. Gli allievi della mia ex scuola, la Scuola Normale di Pisa, si sono dati il compito di leggere a voce alta, ciascuno di loro, una lettera dei condannati a morte della resistenza.

È profondamente commovente la storica raccolta delle lettere di quei partigiani  pubblicata anni fa da Einaudi.
È importante rileggere quelle lettere per ricordare perché cosa sono morte le persone, per che cosa hanno scelto di combattere e di morire, ricordarsi di questo ridà vita a quel senso della storia che passa attraverso la carne e il sangue, che passa attraverso le sofferenze, questo è il senso della storia che bisogna riscoprire, altro che una ideologica e vuota identità.

                                                                    

In apertura ritratto dello storico Adriano Prosperi 

25/04/2025

da Left

Di Simona Maggiorelli

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