23/08/2025
da Il Manifesto
Giorni contati. Per la pulizia etnica serve amministrare il cibo. Ma costerà due miliardi di dollari l’anno
L’importanza del controllo degli aiuti umanitari a Gaza è diventata un’ossessione per Israele e per Benyamin Netanyahu. Il premier è più che certo che tenere nelle proprie mani l’intero sistema sia l’unico modo per vincere la «guerra» ed evitare la riorganizzazione di un governo civile guidato da Hamas. La questione umanitaria è affrontata da Tel Aviv come una strategia di controllo del territorio e della popolazione, uno degli strumenti per raggiungere gli obiettivi della propria campagna militare.
LO STANNO RIPETENDO chiaramente, in questi giorni, membri del governo e deputati che sostengono il finanziamento israeliano per la gestione delle forniture. «Se avessimo controllato gli aiuti umanitari a Gaza, avremmo vinto la guerra tempo fa», ha dichiarato il ministro delle finanze Bezalel Smotrich. Nonostante quest’ultimo si sia lungamente opposto all’ingresso di cibo a Gaza, negli ultimi mesi si è convinto che occorra far entrare «il minimo indispensabile» per poter continuare i bombardamenti, occupare e deportare la popolazione palestinese.
La fondazione costruita in fretta e furia insieme agli Stati uniti doveva essere lo strumento in grado di raggiungere questo scopo. Ma la Ghf si è dimostrata fin da subito completamente priva dell’esperienza e delle competenze necessarie ad affrontare il livello di fame e disperazione causato dal blocco israeliano. E anche a corto di soldi. Mentre le agenzie delle Nazioni unite e le organizzazioni internazionali raccolgono fondi in maniera ordinata, trasparente e continua, per la fondazione non funziona così. Chi siano i primi finanziatori della società, non si è mai saputo e i vertici si sono sempre rifiutati di fare chiarezza.
A GIUGNO il presidente degli Stati uniti, Donald Trump, fiero sostenitore dell’impresa e intimo amico del leader della Ghf, il reverendo Johnnie Moore, ha approvato un finanziamento di 30 milioni di dollari. Precisando, qualche tempo dopo, che Israele avrebbe fatto la sua parte, finanziando la distribuzione degli aiuti ai civili della Striscia. In realtà, come riportano fonti americane, Tel Aviv aveva già assegnato in gran segreto 700 milioni di shekel (205 milioni di dollari), utilizzati per gestire le operazioni della fondazione.
QUANDO I MORTI per fame hanno cominciato a sommarsi a quelli ammazzati nei pressi dei siti della Ghf, gli Stati uniti hanno dichiarato che avrebbero preso il controllo della gestione degli aiuti umanitari a Gaza, ritenendo insoddisfacente il ruolo di Tel Aviv. Allo stesso tempo, Trump ha precisato che la gestione economica non sarebbe rimasta per intero sulle spalle di Washington e che anzi tutti avrebbero partecipato alle spese, compresi Europa e Israele. La risposta all’invito perentorio del tycoon è arrivata martedì, con l’annuncio di uno stanziamento di 1,6 miliardi di shekel (471 milioni di dollari). Annuncio che ha causato una specie di terremoto politico in Israele. Il governo ha approvato un aumento di bilancio di 31 miliardi di shekel (nove miliardi di dollari), quasi tutti per la difesa. È la quinta volta che accade dal 2023, con un deficit che sale al 5,2% del Pil.
Nella proposta di Smotrich, il finanziamento totale per gli aiuti a Gaza dovrebbe raddoppiare rispetto all’annuncio, arrivando a tre miliardi di shekel (810 milioni di dollari).
Per garantire l’aumento delle spese militari, diversi ministeri vedranno tagliati i propri fondi. Tra cui quello dell’istruzione: il ministro Yoav Kisch ha minacciato di far saltare l’apertura dell’anno scolastico se non verranno stanziati 250 milioni di shekel (circa 73 milioni di dollari) per la sicurezza degli istituti (vigilanza armata soprattutto) e il supporto psicologico per gli studenti.
«BEZALEL SMOTRICH preferisce la sicurezza dei bambini di Gaza a quella dei figli di Israele», ha detto Kisch, unendosi nelle polemiche al ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, che ha accusato Netanyahu di dare priorità ai bambini di Gaza «a spese di quelli di Israele». In realtà, il denaro per Gaza verrà utilizzato per la logistica (imballaggio, trasporto), la sicurezza (le guardie armate delle società appaltatrici americane) e nuovi siti di distribuzione (12 probabilmente).
Ma il rischio che corre Israele, secondo diversi analisti, è di ritrovarsi, anno dopo anno, a dover riconfermare i finanziamenti.
Per il diritto internazionale lo stato che ne occupa militarmente un altro dovrà farsi carico di tutte le necessità della popolazione. Non solo il cibo ma anche le infrastrutture, la sanità, l’educazione.
IL COSTO DEI SOLI aiuti umanitari ammonterebbe a circa due miliardi di dollari l’anno. E questo presupponendo che le organizzazioni internazionali colmino le lacune della Ghf. Se da un lato Israele intende sostituire l’Onu e le altre associazioni, infatti, dall’altro spera che utilizzino i loro soldi collaborando con la fondazione americana, cosa che si sono sempre rifiutate di fare. Lo scopo dichiarato del governo è quello della pulizia etnica e la gestione del cibo è fondamentale per il raggiungimento dell’obiettivo. Ma per il momento gli sforzi di Israele e Usa per trovare Paesi disposti a occuparsi dei palestinesi di Gaza non hanno dato frutti. Il «piano del giorno dopo» di cui Netanyahu non ha mai voluto parlare in termini concreti, potrebbe rappresentare una catastrofe economica per Tel Aviv e un incubo umanitario senza fine per la popolazione della Striscia.