17/118/2025
da Left
Nelle parole di Armanda Colusso c’è l’accusa più onesta che si possa rivolgere a un governo: aver confuso la scena politica con il mestiere di governare. Alberto Trentini resta là. Qui restano solo le scuse
C’è un aereo che ieri è atterrato a Orly con un cittadino francese liberato dal Venezuela. E c’è un silenzio che oggi atterra in Italia: quello di un governo che da dodici mesi non riesce a riportare a casa Alberto Trentini, cooperante veneto detenuto senza accuse formali. La madre, Armanda Colusso, lo ha detto con una lucidità che taglia: «Fino ad agosto non c’era alcun contatto con il governo venezuelano». Una frase che pesa più di qualsiasi comunicato.
Macron annuncia la liberazione di Camilo Castro, ringrazia la diplomazia francese, mostra di sapere che un ostaggio non si lascia marcire nei sotterranei del Rodeo I. In Italia, invece, si celebra la liturgia dell’autocelebrazione: palchi, musichette, balletti infantili a uso social. Quando però si tratta di esercitare la responsabilità – quella vera, quella che pretende competenza e costanza – arriva il mutismo.
La premier ha telefonato tre volte in un anno, il sottosegretario Mantovano ha incontrato la famiglia due volte. Troppo poco, dice la madre. E soprattutto troppo tardi. Nel mezzo c’è un ragazzo recluso in una cella dura, che ha perso Natale, Pasqua, compleanni, e un Paese che ha preferito la prudenza al coraggio fino a quando l’interrogazione parlamentare non ha rotto il silenzio.
In diplomazia i risultati non si promettono: si ottengono. La Francia lo dimostra, l’Italia lo subisce. E nelle parole di Armanda Colusso c’è l’accusa più onesta che si possa rivolgere a un governo: aver confuso la scena politica con il mestiere di governare. Alberto Trentini resta là. Qui restano solo le scuse.

