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«America’s backyard»: il ‘giardino di casa Usa’ ad ogni costo

«America’s backyard»: il ‘giardino di casa Usa’ ad ogni costo

Giovanni Punzo

L’espressione ‘il giardino di casa’ è entrata nel linguaggio delle relazioni internazionali per indicare un’area confinante che, pur non essendo controllata direttamente dallo stato in questione, è importante per la sua sicurezza e sulla cui situazione deve comunque vegliare, senza escludere di dover eventulmente intervenire per ‘rimettere ordine’. Il modello classico di questa situazione sono gli Stati Uniti nei loro complessi rapporti con tutto il continente latino americano che durano ormai da due secoli.

In principio la ‘dottrina di Monroe’

Agli inizi del XIX secolo le colonie spagnole in America del Sud, avvantaggiate dalla situazione di debolezza politica della Spagna, cominciarono una ad una a conquistarsi l’indipendenza. La fine dell’impero spagnolo fu naturalmente salutata con simpatia dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti che videro grandi opportunità di sviluppo nella situazione che si andava creando. Del resto le stesse opportunità di collaborazione furono riconosciute anche da Simon Bolivar, la personalità che divenne guida e modello dei moti di indipendenza latino americani. A parte la Spagna, che era tutt’altro che soddisfatta di perdere ricche colonie e un mercato per i suoi prodotti, esisteva però il pericolo che altre potenze si inserissero nel processo di decolonizzazione facendo perdere agli Stati Uniti il principale vantaggio, ossia quello geografico trovandosi ai confini settentrionali.
Nel 1823 il presidente americano James Monroe espresse così una propria visione che in breve tempo divenne una ‘dottrina’: un qualsiasi intervento europeo in America Latina sarebbe stato considerato come un’ingerenza nella politica americana. Fino a quando gli Stati non furono riconosciuti come potenza, soprattutto dalla Gran Bretagna dopo guerra civile, per gli europei la ‘dottrina’ rimase tra le tante stranezze di un paese sull’altra sponda dell’oceano, ma dopo il fallito tentativo di restaurazione dell’impero messicano ad opera di Napoleone III – che si concluse con la fucilazione di Massimiliano d’Asburgo da parte dei repubblicani messicani –, tutti capirono che gli yankee stavano facendo sul serio.

Il secolo statunitense in Sud America

Dopo la guerra ispano-americana del 1898, che durò pochi mesi, ma significò la liquidazione dell’impero spagnolo che oltre a Cuba perse anche le Filippine, gli Stati Unti erano andati ben oltre una semplice collaborazione sul continente. Tale posizione si rafforzò perché, dopo una breve occupazione militare di Cuba, si aprì il ciclo delle cosiddette ‘Banana’s War’ che si concluse alla metà degli anni Trenta.
In generale furono quasi sempre conflitti condotti in difesa dei grandi interessi economici americani, tanto che nelle memorie un alto ufficiale statunitense pluridecorato e che spesso condusse operazioni militari in America centrale ammise candidamente di essersi sentito un «uomo di fatica di alto livello» dei banchieri di Wall Street.
Completato nel 1914, ma inaugurato nel 1920, anche il canale di Panama ebbe un proprio ruolo, a cominciare dal fatto che la provincia dove avrebbe dovuto sorgere la nuova via di traffico, si staccò dalla Colombia alleandosi prontamente con gli Usa prima dell’inizio dei lavori.
Oltre ai piccoli stati centro-americani, non bisogna dimenticare che il principale antagonista fu il Messico: dilaniato dalla rivoluzione, fu oggetto più volte di interventi militari, fino all’occupazione di Veracruz nel 1914 e la spedizione guidata dal generale Pershing che tentò di catturare il mitico guerrigliero Pancho Villa, sulla cui morte avvenuta nel 1923 si sono susseguite decine di ipotesi. Inoltre, per tornare ai Caraibi, vale la pena di ricordare l’occupazione americana di Haiti dal 1915 al 1934.

I colpi di stato e le dittature militari

Nella seconda metà del Novecento gli interventi si moltiplicarono e basterebbe ricordare Cile, Argentina, Brasile, Guatemala, Repubblica Dominicana, Salvador, Honduras, Equador, Bolivia e perfino il Messico quando fu sventato un tentativo di colpo di stato contro il generale Lazar Cardenas.
Questi i casi più famosi, noti alle opinioni pubbliche occidentali anche per le sanguinose conseguenze che hanno provocato, ma ci sono poi paesi che hanno subito più di un colpo di stato: in Venezuela nel 1948 i militari deposero lo scrittore Romulo Gallegos dopo solo due mesi di presidenza e nel 2002 si ebbe un altro tentativo nei confronti di Hugo Chavez.
Esistono tuttavia anche leggende o voci sulle responsabilità USA, ma ad esempio il colpo di stato contro Jacobo Arbenz nel 1954 in Guatemala è documentato: possedendo migliaia di ettari nel paese, la United Fruit Company era semplicemente contraria alla riforma agraria. Nel 1965 Lyndon Johson occupò la Repubblica Domenicana colla scusa di evitare una seconda Cuba nei Caraibi. Il regime militare in Brasile durò vent’anni, dal 1964 al 1965, grazie al sostegno di Washington.
Il 19 ottobre 1983 il presidente della piccola isola di Grenada, Maurice Bishop, fu ucciso insieme a quindici dei suoi collaboratori per aver portato avanti, per breve tempo, un governo progressista sospettato di essersi avvicinato a Cuba.
Sei anni dopo, il 20 dicembre 1989, più di ventimila soldati statunitensi entrarono a Panama, in un’operazione chiamata «Giusta causa» con il proposito di destituire Manuel Antonio Noriega, un ex alleato degli Stati Uniti e collaboratore della CIA e della DEA che all’improvviso si era però trasformato in nemico.

Piccolo glossario

Un ambito molto interessante, sebbene poco conosciuto, è anche quello linguistico. Poche lingue come quella spagnola possiedono varie e diverse espressioni per indicare il colpo di stato. La principale è certamente «golpe», ma esiste «pronunciamiento», dichiarare cioè la volontà di farlo, ed esiste anche «cuartelazo», quando il movimento parte da una caserma (in spagnolo «cuartel»). «Derribar» significa rovesciare un governo, ma «derrocar» significa rovesciarlo con un golpe. «Arrasar» letteralmente ‘abbattere’ e «deponer» deporre ‘manu militari’: nella speranza che non si aggiungano presto altri neologismi di origine americana.

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