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Armi made in Italy in Ucraina-Israele e nel mondo

Armi made in Italy in Ucraina-Israele e nel mondo

Presentata al Parlamento la «Relazione sulle operazioni per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento». Ma Roma vende apparati bellici a Paesi in guerra che la legge vieterebbe e che governo e Parlamento sembrano ignorare. Esportazioni destinate ad aumentare, con molti retroscena dietro l’ufficialità di commerci non sempre confessabili.

                                             

Il mondo ‘veste armi’ made in Italy

«Le guerre hanno piegato ogni ritrosia geopolitica, cavillo normativo, titubanza etica», scrive Calo Tecce su l’Espresso. «Il mercato è in fermento, le apprezza, le prenota, le baratta, ne fa incetta». Ucraina, Israele, Ungheria, Azerbaigian, Arabia Saudita. Ovunque. «Quando le armi della politica tacciono, vale soltanto la politica delle armi».

Fonti istituzionali

+24% l’esportazione di armi italiane, soprattutto grazie alle vendite all’Ucraina, passate da zero a quasi mezzo miliardo di euro. «Controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento», relazione 2023, inviata dal governo al Parlamento. Un documento che, se fosse approvata la riforma della legge 185 del 1990 sul commercio delle armi presentata dal governo, conterrebbe molte meno informazioni. Al momento riusciamo a sapere del +24% l’esportazione di armi italiane, soprattutto grazie alle vendite all’Ucraina, passate da zero a quasi mezzo miliardo di euro.

Documenti riservati

Ma andiamo a curiosare anche tra altre fonti, meno ufficiali. La compravendita di armamento in Italia, nel 2023 ha prodotto affari per 7mila 562 miliardi di euro, con un +25 per cento. Esportazioni autorizzate per 6mila 311 miliardi (+19 per cento). Le importazioni che non registrano le operazioni italiane in Europa, in gran parte provengono dagli Stati Uniti: 1.250 miliardi di euro, e -attenzione-, il 618 per cento in più rispetto a tre anni fa.

Ucraina, nuovo cliente

Il governo di Kiev è un nuovo cliente per l’industria bellica italiana, ma già il secondo in assoluto con acquisti per 417 milioni di euro nel 2023, soprattutto in munizioni di vario tipo e sistemi di difesa. E quest’anno promette il sorpasso della Francia, nostro primo ‘cliente’ con 465 milioni. Kiev nuovo cliente in guerra, con le anomalie giuridiche che comporta. O che, a legge in vigore, dovrebbe comportare.

Il trucco di ‘cedere’ rispetto al ‘vendere’

La differenza fra «cedere» e «vendere». La «cessione» è consentita da un decreto del governo Draghi, prorogato da Giorgia Meloni per ‘derogare’ dalla legge 185 del 1990 che vieta le «esportazioni e il transito di materiale di armamento verso Paesi in stato di conflitto». Da allora sono seguiti otto provvedimenti ministeriali a firma bipartisant Guerini e Crosetto. Utile ricordare che le commesse al governo di Kiev non rientrano negli aiuti gratuiti.

La legge beffata

Trucco «cessione non onerosa» prendendo dalle riserve delle forze armate (che prima o poi dovrai reintegrare). Invece per le vendite ci vorrebbe una nuova legge, che oggi non esiste. Eppure le vendite a Kiev hanno raggiunto 417 milioni di euro nel 2023. Ma per il governo il problema non esiste. «Ci sono gli accordi con gli alleati europei e atlantici che determinano la nostra politica estera». Un po’ come la struttura clandestina di Gladio secretata anche al parlamento.

Italia polverificio d’Europa

Italia, polveriera tedesca. Rheinmetall è una multinazionale tedesca che controlla l’ex azienda italiana Rwm, la fabbrica di bombe. Amministrazione a Ghedi, Brescia, stabilimenti a Domusnovas in Sardegna. Prodotto principe, il più richiesto, i proiettili di artiglieria da 155 millimetri, e seconde, bombe pesanti per l’aviazione. Il fatturato italiano di Rheinmetall è inarrestabile. 287 milioni di euro lo scorso anno, mentre Rwm è schizzata da 46 a 613 milioni.

Israele

«Dal 7 ottobre 2023 abbiamo bloccato i contratti per la vendita di armi a Israele», sostiene il ministro Esteri Tajani. Ma non sono state bloccate le esportazioni autorizzate prima del 7 ottobre. Nessuna limitazione di fatto. Con Tel Aviv che ha ottenuto esportazioni per 9,9 milioni di euro in linea con i 9,3 del 2022.

Ora decide direttamente la presidenza del consiglio. Con dei colpi di fantasia da applauso. Merita la citazione, le armi all’Azerbaijan (che ci dà gas e petrolio), ma che è Paese in guerra. «Non erano mezzi da combattimento di terra e di aria, ma dei sottomarini», risponde una fonte del governo. Geniale presa in giro.

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Moody’s, debito Italia a rischio se è corsa al riarmo Nato
Con il 2% di spesa militare sul Pil Penisola al 147% di debito-Pil

La corsa al riarmo nei Paesi della Nato innescata dalle minacce di Mosca complicherà gli sforzi di riduzione del debito e potrebbe indebolire il loro profilo di credito» esacerbando il conflitto sociale: «Spagna e Italia sono particolarmente vulnerabili, avendo i maggiori gap nella spesa per difesa (rispetto all’obiettivo Nato del 2% del Pil, ndr) e i livelli più bassi di sostegno popolare a ulteriori aumenti di spesa militare ».

L’allarme è dell’agenzia di rating Moody’s, secondo cui nello scenario base il debito dell’Italia salirebbe al 144% del Pil nel 2030, ma arriverebbe al 147% nel caso di raggiungimento del 2%.

29/03/2024

da Remocontro

Remocontro

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