13/12/2025
da Il Manifesto
Il limite ignoto Mosca intima all’Ucraina di cedere territori, la banca centrale russa denuncia Euroclear. Salta il vertice tra ucraini e europei a Parigi, anche Meloni lunedì a quello di Berlino
Rimaneggiamenti, cavilli e smentite: il “piano di pace” del presidente statunitense Donald Trump, che oramai circola nell’arena diplomatica da oltre due settimane, passa di cancelleria in cancelleria, suscita rilanci e inaspettate aperture ma anche improvvisi distinguo e rifiuti, sia a parole che coi fatti. Dopo che il leader di Kiev, Volodymyr Zelensky, aveva infatti ipotizzato la possibilità della creazione di una buffer zone nel Donbass e di una cessione effettiva delle zone sotto controllo di Mosca – passando addirittura da un referendum che certificasse la volontà popolare e da elezioni per rinnovare la leadership nazionale – il suo assistente Mykhailo Podolyak ha tenuto a precisare che si tratta comunque di ragionamenti «puramente teorici». Occorre capire se verrà soddisfatta la solita precondizione, che l’Ucraina non cessa di esplicitare da mesi, ovvero la messa nero su bianco di solide garanzie di sicurezza affinché il paese non venga lasciato solo nel caso il conflitto dovesse riprendere. Ma, se un gesto vale più di mille discorsi, è lo stesso Zelensky a porre una sorta di “linea rossa” nel via vai negoziale degli ultimi giorni recandosi a Kupyansk, città sul fronte nell’oblast di Karkhiv che la Russia diceva ormai di aver preso.
«I NOSTRI SOLDATI stanno stabilizzando l’area – ha affermato il presidente ucraino in un video girato alle porte della località teatro di aspri combattimenti – È estremamente importante ottenere risultati al fronte per ottenere risultati nella diplomazia». Insomma, qualche concessione può essere messa sul tavolo ma sul campo non si molla. D’altronde, anche la controparte mantiene i suoi punti fermi: ieri il consigliere del Cremlino Yuri Ushakov ha ribadito che il Donbass deve in ogni caso rimanere territorio russo. «Prima o poi è possibile che in quell’area verranno ritirate sia truppe di Mosca che di Kiev – ha suggerito durante un’intervista al russo Kommersant – ma allora ci saranno la nostra guardia nazionale e i nostri corpi di polizia, per assicurare l’ordine e l’organizzazione della vita quotidiana». Dal punto di vista della Federazione, in effetti, in quella regione si sono già verificati dei referendum che hanno certificato la volontà popolare di staccarsi dall’Ucraina: una contraddizione palese, benché sinora sottaciuta, con l’ipotesi ventilata da Zelensky.
MA, APPUNTO, le tensioni e i contrasti non si giocano certo sul piano delle formalità. Piuttosto, gli occhi di Mosca sono diretti verso le mosse europee, e in particolare sul congelamento a tempo indefinito degli asset russi votato ieri da Bruxelles di modo da utilizzarli per sostenere Kiev (nonostante secondo il piano di Trump sarebbero dovuti invece diventare un fondo di investimento comune fra Washington e la Federazione). Proprio mentre la Banca centrale russa ha presentato una causa legale contro il sequestro dei beni finanziari, il portavoce del Cremlino Dimitri Peskov ha definito la decisione dell’Ue una «grandiosa truffa» (e ha alzato la posta in gioco, affermando che la Russia non cerca una «tregua», ma una soluzione definitiva). Tuttavia, se sul terreno Mosca riesce a mantenere l’iniziativa, la situazione economica interna rimane delicata, fra sanzioni e forte spesa militare, ragion per cui ogni possibile entrata è da salvaguardare.
IL PRESIDENTE Vladimir Putin, comunque, continua a destreggiarsi sulla scena internazionale e a incontrare rappresentanti di primo piano: ieri era il turno del suo omologo turco Recep Erdogan, potente azionista della Nato, il quale, però, pare aver espresso preoccupazione per come la guerra si estenda troppo nelle acque del Mar Nero.
CERTO, IL LIVELLO di frenesia negoziale è al massimo un po’ per tutti: lunedì Zelensky è atteso a Berlino per un colloquio con gli europei, da Merz a Meloni inclusa, mentre il vertice previsto oggi a Parigi è saltato visto il disimpegno degli Usa (che nel frattempo arrivano con una delegazione in Bielorussia). Negli Stati Uniti vola allora Rustem Umerov, il negoziatore di Zelensky al centro di un intrigo svelato ieri da fonti anonime al Washington Post: in uno dei viaggi precedenti il funzionario ucraino si sarebbe visto segretamente con i leader della Cia Kash Patel e Dan Bongino, secondo alcuni per garantirsi un salvacondotto nel caso si apra uno scandalo di corruzione nei suoi confronti oppure per porre ulteriore pressione affinché Kiev ponga termine alla guerra. La notizia è stata confermata anche dalla primo ministro Svyrydenko (che nega motivazioni così torbide) ma preoccupa gli alleati.
DAL CANTO SUO, Bruxelles sembra voler inserire nel piano di pace l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue entro il 2027, stando a una ricostruzione del Financial Times: una visione a lungo raggio, mentre sotterraneamente (e non) il percorso negoziale è sempre più irto di ostacoli.

