Dalla Striscia: «Potenti attacchi su Gaza city, 37 raid in 20 minuti, esplosioni» la sintesi Ansa. Un’ora prima di mezzanotte l’esercito israeliano ha iniziato l’attacco di terra a Gaza City. La complicità di Trump con Israele e la rottura del mondo Arabo con gli Stati Uniti
L’inferno in terra
- «Il cielo ha preso il colore arancione delle bombe illuminanti. La notte è scomparsa dalla città: missili lanciati dai caccia, incessanti colpi di artiglieria, droni hanno provocato potenti esplosioni. I boati si sono sentiti nel centro di Israele. I media della Striscia hanno segnalato 37 attacchi in 20 minuti e la fuga di massa dalla zona nord-occidentale». In attesa di potervi dare notizie più precise, cerchiamo di capire cosa di muove alle spalle rispetto all’arroganza disumana messa in campo da Israele con l’avallo dell’America di Trump.
L’arroganza Israelo-Usa e il mondo arabo
- Mentre il Segretario di Stato americano, Marco Rubio, va a pregare al Muro del pianto di Gerusalemme, assieme al Premier Netanyahu, in Qatar la pazienza è agli sgoccioli. I Paesi arabi, riunitisi d’urgenza dopo l’attacco aereo israeliano contro i vertici di Hamas (che erano a Doha per trattare) non si fidano più di Trump.
Nato araba anti Trump-Netanyahu
E ipotizzano una mossa clamorosa: la creazione di un patto militare di autodifesa comune, che ponga un’argine alla dilagante prepotenza dello Stato ebraico nella regione. Una specie di ‘Nato araba’, insomma. Per ora, più che essere un vero piano operativo, il progetto di alleanza sarebbe solo una minaccia ventilata, una clava diplomatica agitata furiosamente per far comprendere alla Casa Bianca che Israele ha abbondantemente superato tutte le linee rosse. Anche perché, parliamoci chiaro, tra i Paesi chiusisi a conclave per valutare una risposta alla sprezzante sfida israeliana, portata fin dentro il Qatar, in molti si sono convinti che il ruolo degli Stati Uniti debba essere stato, per forza di cose, di complicità.
Trump complice cerca alibi
Il Wall Street Journal ha proposto una ricostruzione dei fatti (ottenuta da fonti anonime) che non convince. Trump ha detto di essere stato avvisato dai suoi comandi militari a operazione già in corso ‘e in maniera generica’. Anche dell’attacco di questa notte, vedrete. E di avere avvertito Steve Witkoff e Marco Rubio, incaricandoli di passare l’informazione agli emiri del Qatar. Ma se questa vuole essere una giustificazione, allora la pezza è peggio del buco. Perché anche il Qatar (come Israele, non lo dimentichiamo) è un alleato degli americani. Anzi è la principale base logistica dell’US Army in tutto il Medio Oriente e inimicarselo o, peggio ancora, trattarlo a pesci in faccia, come potrebbe aver fatto la Casa Bianca, autorizzando le foie guerriere di Netanyahu, sarebbe un suicidio geopolitico.
L’alibi Netanyahu per Doha
Ovviamente, il Premier israeliano, interrogato dai giornalisti nella conferenza stampa assieme a Marco Rubio, poche ore prima dell’attacco a Gaza City, ha volutamente rimarcato la presunta estraneità di Washington per Doha: «L’attacco è stata una decisione totalmente indipendente di Israele, mia e dei nostri massimi vertici delle forze di sicurezza. È stato condotto da noi e ce ne assumiamo la piena responsabilità, perché crediamo che ai terroristi non debba essere concesso alcun rifugio e che le persone che hanno pianificato il peggior massacro del popolo ebraico dai tempi dell’Olocausto non debbano godere di immunità». Secondo questa tesi, dunque, Israele fa quello che vuole e non sente alcun obbligo di condividere la preparazione dei suoi devastanti interventi armati con chi lo finanzia, lo arma e lo copre diplomaticamente. Cioè gli Stati Uniti.
Washinton semplice cassaforte
Tel Aviv, insomma, spende e spande in tutti i sensi, e Washington paga. Senza fiatare. Se funzionasse veramente così, ci sarebbe da essere molto preoccupati: in questo caso, ci si chiede, chi farebbe veramente la politica estera americana? Sì, perché messe in questo modo, le cose non avrebbero molto senso. Ecco quello che scrive il think-tank Al Monitor sul ruolo del Qatar e sulla presunta incongruenza della politica Usa: «Il piccolo emirato del Golfo ospita il quartier generale avanzato del Comando Centrale degli Stati Uniti e ha investito oltre 2 miliardi di dollari nella base aerea di Al Udeid, che ospita il Centro Operativo Aereo Combinato (CAOC) all’avanguardia della Nona Forza Aerea statunitense, appena a sud-ovest di Doha. Ad Al Udeid sono di stanza in qualsiasi momento tra gli 8.000 e i 10.000 militari statunitensi, rendendola il più grande avamposto statunitense in Medio Oriente».
Mediazione araba dopo la strage palestinese?
«Negli ultimi anni, il Qatar ha cercato sempre più di posizionarsi come mediatore nei conflitti della regione, tra cui quello tra Israele e Hamas, nel tentativo di dimostrare di essere indispensabile per gli Stati Uniti. A maggio, Trump ha annunciato accordi economici con Doha per un valore di circa 243 miliardi di dollari, nell’ambito di un accordo più ampio per generare 1,2 trilioni di dollari di scambi economici bilaterali». A fronte di tanta blindatura strategica, diplomatica e commerciale, gli emiri qatarioti pensavano di essere in una botte di ferro, ma non avevano fatto i conti con lo speciale rapporto fra Trump e Netanyahu. A proposito della percezione che l’attacco ha avuto nella regione, l’ex ambasciatore Usa in Israele (nominato da Biden) Daniel Shapiro ha sostenuto: «È difficile credere che tutto questo non sia stato coordinato con gli Stati Uniti in qualche modo o, almeno, che non se ne fosse a conoscenza. Se sembra che l’Amministrazione Trump stia usando il Qatar come canale di negoziazione, dando allo stesso tempo il tacito permesso agli attacchi israeliani, allora dovranno chiedersi se possono fidarsi degli Stati Uniti».
Base Usa in Qatar non si accorge di nulla?
E, infatti, alla riunione della Lega araba di Doha, i rumors dicono che i sospetti sugli americani si tagliavano col coltello. Perché una base così sofisticata come ‘Al Udeid’0 non ha attivato i suoi sistemi di intercettazione? Si badi bene, si tratta delle stesse batterie antiaeree (e antimissile) che avevano funzionato perfettamente abbattendo, uno dietro l’altro, i vettori iraniani, lanciati contro il Qatar durante la guerra dei 12 giorni con Israele. Trump ha subito fiutato l’aria che tira: burrasca. Venerdì un furibondo Primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani, è volato in America, dove ha fatto andare di traverso la cena al Presidente Usa, che lo aveva invitato. Al-Thani è stato chiaro: di questo passo, seguendo il delirio di onnipotenza di Netanyahu, gli Stati Uniti vedranno tutto il mondo arabo rivoltarglisi contro. E non basterà nemmeno agitare il ‘babau’ dell’Iran nucleare o portarsi appresso vagonate di dollari, per ricompattare alleanze e partnership che la Casa Bianca sta mandando al macero.
Addio ‘Patto d’Abramo’
A cominciare dai ‘Patti di Abramo’, che a questo punto sono in agonia. Capita l’antifona, Trump ha chiesto a Rubio (in Israele per discutere di Gaza, ma anche dell’annessione della Cisgiordania) di fare un passaggio in Qatar. «Per rassicurare gli alleati e dire che non succederà più». Intanto, però, gli arabi si attrezzano. Secondo una bozza di piano circolata a Doha, la partnership sulla sicurezza si baserebbe su una proposta egiziano-saudita approvata dalla Lega araba poco prima dell’attacco. Formalmente, i 22 membri hanno discusso un progetto di cooperazione «per combattere il terrorismo, proteggere le rotte di navigazione e le infrastrutture strategiche, rafforzando così la stabilità della regione».
Dopo Russia-Cina, anche il mondo arabo contro
In particolare, sembra che l’Egitto spinga per dare al nuovo organismo la forma di una ‘Nato araba’, con sede al Cairo. Mentre il Pakistan, unico Stato musulmano a possedere testate nucleari, si è proposto come deterrente, «per scongiurare i progetti espansionistici di Israele». Ma se gli Usa non fanno attenzione, dopo avere ‘saldato’ Cina e Russia, riusciranno nell’impresa di ricompattare, in un unico blocco sempre più agguerrito, tutto il mondo arabo.