La seconda «porcata» Calderoli subisce la stessa sorte della prima. L’autonomia differenziata come voluta dalla Lega e alla fine accettata da Fratelli d’Italia e Forza Italia, capaci di mugugnare distinguo ma fedeli al patto di maggioranza, è ferita a morte dalla Corte costituzionale.
Smontata nei suoi ingranaggi essenziali, come fu undici anni fa per il «porcellum» elettorale, sempre firmato dal senatore e ministro leghista. Stavolta con una sentenza che andrà letta con attenzione perché si annuncia fondamentale nella definizione dei confini tra stato centrale e regioni.
Il comunicato diffuso ieri, oltre ad anticipare un orientamento di sistema sul «riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico», annuncia una sostanziale riscrittura della legge Calderoli.
In tutti gli snodi essenziali, a partire dalla possibilità per ogni regione di chiedere la piena devoluzione di tutte le 23 materie elencate in astratto dalla Costituzione (dopo la riforma del Titolo V fatta dal centrosinistra). Non è così, dice la Corte, la devoluzione deve riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative (all’interno delle materie) e soprattutto dev’essere ben motivata e giustificata in ragione di specifiche esigenze di ogni regione. È la fine del principio leghista del «diritto» alla secessione di un territorio in quanto astrattamente più efficiente e concretamente più ricco.
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Ma la sentenza, quando la leggeremo, riguarderà molti altri punti della Calderoli, un’altra legge scritta malissimo dalla destra a dispetto della valanga di osservazioni critiche che erano arrivate in parlamento durante le audizioni.
Ma il parlamento chi lo ascolta? Secondo la Corte dovrà farlo necessariamente il governo, perché tra i punti dichiarati incostituzionali c’è anche la pretesa di blindare le intese con le regioni, imponendo alle camere un prendere o lasciare. Invece no, tutto si potrà emendare.
Cade anche il feticcio dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni che ormai tutti hanno capito essere la porta di ingresso per le discriminazioni: diverse prestazioni Nord-Sud e di conseguenza diversi diritti. Per la Corte i Lep non potranno essere stabiliti dal governo in forza di una vaga delega legislativa (è quello che stanno facendo) né aggiornati con un mero decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Servirà un atto avente forza di legge, decisione che getta un’ombra sulla legittimità degli attuali Lea, i livelli essenziali di assistenza già adesso aggiornati con dPCm.
E anche quando la Corte ha rigettato la richiesta delle regioni ricorrenti, ha però interpretato in maniera opposta a quello che sta facendo il governo. Ad esempio sulle famose materie «non Lep» sulle quali Calderoli sta correndo nelle sue intese con Veneto e Lombardia. Dicono i giudici costituzionali che va bene distinguere, ma in ogni caso i trasferimenti di competenza «non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali».
La bocciatura del governo è totale. Di conseguenza è già piena la vittoria di chi si oppone all’autonomia differenziata, in primo luogo chi ha organizzato la raccolta di firme per il referendum abrogativo e chi (un milione e 300mila elettori) ha firmato.
Se il Comitato promotore vorrà, è comunque possibile che la Cassazione, tempo un mese, decida di lasciare in piedi il quesito, riformulandolo, su una legge che però è un guscio vuoto. Come pure non è impossibile che la Consulta, malgrado le fondatissime ragioni per l’ammissibilità, decida a questo punto che il referendum non s’ha da fare.
Dal punto di vista di chi ha avuto ragione nel sostenere l’incostituzionalità di questa legge, buttare giù anche lo scheletro della Calderoli sarebbe cosa buona più per la forza di indirizzo che testimonierebbe la volontà popolare (ma c’è il rischio quorum) che per gli effetti pratici.
Referendum che peraltro preoccupava la stessa presidente del Consiglio: evitarlo non le dispiacerà affatto (anche perché ci sono altri quesiti e minore sarebbe l’effetto traino).
L’autonomia era una moneta di scambio con la Lega, non peserà poi tanto alla premier sacrificarla. Ma non potrà nascondersi dopo averla difesa a più riprese, ancora poche settimane fa davanti a Confindustria.
La Corte costituzionale sconfessa anche lei. Senza contare che privato della sua bandierina – per quanto sforzo facciano i leghisti presidenti delle regioni a prenderla bene – il partito di Salvini sarà assai meno disciplinato nel patto di maggioranza. A ballare adesso è l’altra riforma, il meloniano premierato che giace in un lungo sonno parlamentare.
15/11/2024
da Il Manifesto