Terra rimossa. Sarà ufficialmente una unità della polizia, ma si teme che possa coprire se non addirittura partecipare agli attacchi contro i palestinesi in Cisgiordania
L’aveva fatto già l’esercito israeliano dopo il 7 ottobre 2023, richiamando almeno 7mila coloni come riservisti a protezione degli insediamenti coloniali nella Cisgiordania occupata. I settler hanno subito approfittato delle divise militari per imporre la loro legge sugli «arabi» e per allontanare gli attivisti, internazionali e locali. Adesso è la volta della polizia.
In una cerimonia solenne nella città palestinese di Hebron, nei pressi della Tomba dei Patriarchi – uno dei luoghi più militarizzati della Cisgiordania – è stata presentata due giorni fa una nuova formazione armata. È un’unità a tutti gli effetti della polizia israeliana: di fatto, una milizia composta esclusivamente da coloni volontari, che opereranno con una «mentalità offensiva», secondo le parole del ministro della Sicurezza Nazionale e leader dell’estrema destra, Itamar Ben Gvir, residente nella colonia di Kiryat Arba, non lontano dalla Tomba dei Patriarchi.
L’unità è stata annunciata alla presenza di alti funzionari della polizia: il vicecommissario Avshalom Peled e il comandante del distretto della Cisgiordania, Moshe Pinchi. Ben Gvir ha definito il senso politico e ideologico della milizia. «Stiamo passando da una mentalità difensiva a una combattiva, militante e offensiva», ha spiegato, non lasciando spazio a interpretazioni sulle funzioni che dovrà svolgere questa nuova unità. I primi 105 coloni volontari, già arruolati, opereranno negli insediamenti di Gush Etzion, Kiryat Arba, Efrat e a Hebron. La prima squadra è stata formata a fine maggio a Ma’ale Adumim, un altro insediamento strategico a est della Gerusalemme occupata. Equipaggiati con armi automatiche, giubbotti antiproiettile e uniformi tattiche, questi «volontari» sono stati addestrati per la «lotta al terrorismo», dove – specie per i più estremisti – per terrorismo si intende la presenza stessa di oltre tre milioni di palestinesi in Cisgiordania.
Sale il timore che questa unità della polizia, e quelle che verranno in futuro, possano garantire un’ulteriore copertura alle scorribande dei coloni nei centri abitati della Cisgiordania. Negli ultimi 21 mesi, le aggressioni – denunciano i palestinesi – sono salite a livelli record: oltre 2.500 attacchi, incendi, ferimenti e anche alcune uccisioni. La Cisgiordania è considerata il secondo fronte di guerra aperto da Israele, dopo quello di Gaza. Organizzazioni per i diritti umani come Peace Now e Yesh Din parlano apertamente di una milizia destinata a intensificare la spirale di violenza e l’impunità di cui godono i coloni nei territori palestinesi occupati.
I coloni vanno in giro armati fino ai denti, ancora più che in passato, grazie ai provvedimenti di Ben Gvir che ha facilitato le procedure per la concessione del porto d’armi a 100mila israeliani, in un clima di militarizzazione diffusa. Il passaggio alla «mentalità offensiva» non è solo una formula retorica: è un comando operativo. Significa autorizzare i «poliziotti volontari» a intervenire, armi in pugno, in qualsiasi situazione ritenuta «sospetta».
A fornire altre munizioni alla militarizzazione di Ben Gvir è stato l’attacco che due palestinesi – agenti dell’Autorità Nazionale di Abu Mazen – hanno compiuto ieri davanti a un supermercato del blocco delle colonie di Etzion, tra Betlemme ed Hebron. I due hanno accoltellato una guardia giurata, poi hanno preso la sua pistola e aperto il fuoco, prima di essere uccisi. Un terzo palestinese, di 55 anni, è stato ucciso ieri all’alba a Rummana (Jenin), durante un’incursione militare israeliana. L’esercito sostiene che l’uomo avrebbe cercato di accoltellare un soldato. I palestinesi smentiscono e spiegano che l’ucciso avrebbe soltanto protestato per la perquisizione della sua abitazione.
Nel frattempo, gli insediamenti coloniali continuano a espandersi, mentre i palestinesi vengono spogliati delle loro case. A Tulkarem, il governatore Abdullah Kamil ha denunciato la distruzione sistematica di 106 abitazioni e 104 edifici nei campi profughi di Nur Shams e Tulkarem. «Non è rimasto nulla, sono campi fantasma», ha commentato. A Jenin la situazione è analoga: raid notturni, demolizioni con bulldozer blindati, arresti arbitrari.
Resta avvolto nella nebbia il reale andamento delle trattative a Doha per un accordo di tregua a Gaza di 60 giorni tra Hamas e Israele. Secondo gli israeliani, sarebbe a portata di mano e sarà raggiunto – ha detto un funzionario – «nel giro di una o due settimane». Il premier Netanyahu avverte che «non avverrà ad ogni costo». Hamas getta acqua sul fuoco: non c’è ancora un’intesa sull’ampiezza del ritiro dell’esercito israeliano da Gaza né sui negoziati futuri per un cessate il fuoco permanente.
11/07/2025
da Il Manifesto