23/09/2025
da Il Manifesto
Luciana Cimino, Michele Gambirasi
Un mondo. Il corteo convocato dai sindacati di base arriva sulla tangenziale: «Non ci fermeremo più»
Quando il corteo arriva sulla Tangenziale di Roma, il traffico capitolino è bloccato da ore. Eppure le persone intrappolate nelle macchine, nella corsia opposta alla gigantesca manifestazione, applaudono, suonano il clacson al ritmo degli slogan, sventolano fazzoletti bianchi. Un sostegno inaspettato che dà il senso della pervasività dell’opposizione al genocidio di Gaza. Lo sciopero generale era stato convocato da Usb, Cub, e altri sindacati di base con l’adesione del vasto mondo delle organizzazioni contrarie al riarmo (collettivi studenteschi, Anpi, Emergency, Amnestu, Arci). Ma i numeri e la composizione della piazza romana, almeno 300 mila persone che hanno marciato per 7 ore, sono il segno di una mobilitazione molto più larga delle singole sigle.
IL CORTEO PARTE lentamente dalla stazione Termini, dopo oltre due ore di presidio. Il primo cordone è formato dai vigili del fuoco in sciopero. «Siamo ambasciatori Unicef e il soccorso lo esigiamo per tutti i bambini: le immagini da Gaza sono strazianti» dice Paolo Cergnar, vigile del fuoco e sindacalista Usb. «Noi soccorritori non saremo mai complici di un genocidio e protestiamo davanti a un governo che ci ingabbia nel riarmo» prosegue. «L’indicazione era arrivata dai portuali di Genova, ed eccoci: abbiamo bloccato tutto!», gridano dal camion in testa, seguiti dagli striscioni degli istituti romani con dietro l’intera comunità scolastica: docenti, personale Ata, genitori e alunni. «Le maestre lo sanno da che parte stare», recita il cartello di Daniela e Francesca.
«Il nostro plesso ha aderito per intero», spiegano circondate da bambini. Maria Luisa ha 14 anni ed è dietro lo spezzone dei collettivi degli studenti. C’è anche la madre, una partita Iva della comunicazione che ha impostato una mail automatica per spiegare ai suoi clienti privati che è in sciopero, ma piazza dei Cinquecento è strapiena e non riescono a incontrarsi.
Sara e Alessandra arrivano da Monterotondo con una enorme bandiera palestinese quando già anche le strade intorno al piazzale sono piene e non sono stupite dall’afflusso costante di persone: «Ce l’aspettavamo, la questione palestinese sta a cuore a tutti indipendentemente dalle posizioni politiche, sono il governo e i partiti che non hanno più il polso del paese: c’è una discordanza totale tra quello che pensano gli italiani del genocidio e le loro dichiarazioni». Marika lavora in uno noto ristorante di Roma Est, con lei c’è il resto dello staff. E del resto diversi locali e negozi della Capitale sono chiusi, «in sostegno alla Global Sumud Flottilla», c’è scritto sulle saracinesche. Tra gli spezzoni c’è anche quello di Non una di meno: «C’è una mobilitazione di massa e diffusa, lo sciopero è uno strumento potente che va risignificato. Oggi è la dimostrazione lampante che funziona» spiega Claudia del nodo romano del movimento. Arrivati a Porta Maggiore, snodo nevralgico della viabilità cittadina, una troupe Mediaset è in collegamento. Operatori e giornalisti hanno le bandiere palestinesi disegnate sulle braccia, «non siamo qui solo per lavoro», spiega una delle autrici. Mentre da uno dei camion in testa, un lavoratore Rai urla: «Non siamo quelli che obbediscono agli ordini, boicotteremo ogni forma di propaganda a favore di Israele».
LA QUESTURA si aspettava 8 mila persone, all’inizio del concentramento rettifica in 20mila, quando nel primo pomeriggio aggiusta ulteriormente il tiro, parlando di 50 mila presenze, è chiaro a tutti che la manifestazione è un successo oltre le aspettative. «Siamo un milione in tutta Italia, 300 mila solo a Roma», scandiscono dai megafoni. E i numeri consentono un ribaltamento dei rapporti di forza: la Digos autorizza il corteo a passare per la tangenziale. «Altro che decreto sicurezza – nota un anziano militante dei sindacati di base – se siamo 300 mila la tangenziale la prendiamo, ci denunciassero!». Esce dalla contrattazione con le forze dell’ordine soddisfatto per l’accordo: «Gli abbiamo spiegato: non semo cattivi, non volemo fare danni ma se c’è un genocidio in corso me devi fa passare». Il clima è tranquillo, la polizia non è in tenuta antisommossa. Eccetto che davanti al nuovo studentato di lusso di San Lorenzo, The social hub, circondato dagli scudi. Il corteo passa accanto fischiando, «uno spreco di soldi pubblici a difesa di questa cosa?», si chiede un ragazzo dei collettivi.
CI SONO ANCHE i lavoratori dello spettacolo, della cultura, case editrici, del cinema: «Oggi molti set si sono fermati. Il settore è in crisi, ma sono venuti anche quelli che hanno perso il lavoro». «Ho scioperato venerdì o sciopero anche oggi – dice una dirigente della Cgil – è una adesione personale e non sono la sola, in tanti siamo qui perché era qui che dovevamo essere e i nostri stessi iscritti ce lo chiedevano». Poco più in là un altro funzionario del sindacato di Corso Italia ammette: «Riceviamo tanti messaggi di compagni disorientati dalla scelta della Cgil di scioperare prima e siamo qui a titolo personale».
DOPO ORE DI MARCIA, in cui il corteo non si è mai sgonfiato, la testa entra dentro l’università La Sapienza, da dove già in mattinata si era mosso uno dei tanti preconcentramenti convocati. «C’è un’intera società, lavoratori, studenti, collettivi, che al di là delle sigle ha deciso di alzarsi. E ora non ci sediamo più, ci siamo sollevati per cambiare le cose» scandisce Guido Lutrario, sindacalista Usb. Al termine della manifestazione i collettivi universitari entrano nella facoltà di lettere per occupare, e viene fissato già per oggi un presidio permanente. Altre piazze sono state già convocate: il 4 ottobre a Roma la manifestazione nazionale dei movimenti palestinesi e il 14 a Udine prima della partita della nazionale contro Israele. Di mezzo c’è la Glabal Sumud Flotilla, che in ogni momento potrebbe essere fermata dall’esercito israeliano: la promessa è rimasta quella «blocchiamo tutto».