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Borse: l’Asia crolla, Tokio perde il 10%, tiene la Cina. Cosa pende sul mondo?

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Mercati azionari asiatici e dell’area del Pacifico in caduta verticale: Tokyo in calo di oltre il 10%, seguita da Seul che perde oltre l’8% e l’11% con il listino dei titoli tecnologici. In calo del 4% Singapore e del 3,7% la Borsa di Sidney, mentre prova a tenere Hong Kong (-1,6%) e soprattutto i mercati cinesi di Shanghai e Shenzhen, che cedono meno di un punto percentuale.
Sono ancora i timori di recessione soprattutto negli Stati Uniti che pesano sui mercati e che hanno affondato anche nelle ultime sedute le piazze finanziarie globali, uniti ora all’attesa dell’attacco militare dell’Iran a Israele. Cerchiamo di capirci qualcosa con l’aiuto di Valerio Sale.

Tokyo, mai così nella sua storia

Il crollo della Borsa di Tokyo, mai così giù nella sua storia, è avvenuto quando in Italia era notte e segue la caduta delle Borse mondiali del fine settimana. I mercati finanziari hanno bruciato un’enorme quantità di denaro. L’epicentro è negli Stati Uniti dove a Wall Street sono stati spazzati via, in poco più di tre settimane, 2.000 miliardi di dollari (pari a circa il PIL dell’Italia). Soffiano forti venti di crisi. Una crisi poco annunciata anche se i sintomi di una bolla si erano manifesti da tempo e hanno un nome: Intelligenza Artificiale.

Intelligenza troppo artificiale

I massimi storici della più grande Borsa del mondo sono stati accompagnati da toni spesso trionfalistici sulla salute economia americana. In realtà il record dei mercati non è che l’effetto dei risultati di solo 7 aziende del comparto tecnologico: Apple, Microsoft, Nvidia, Google, Amazon, Meta, Tesla. La realtà delle restanti industrie,che compongono il famoso indice Standard & Poor 500, è che producono risultati assai più modesti, ai limiti della stagnazione. Qualcuno ricorda la bolla di Internet alle soglie dell’anno 2000? A quei tempi era Cisco a valere come il PIL del Belgio, oggi è Nvidia il maggior produttore di processori grafici a valere più del PIL della Francia. Sembra che l’assurdità di questi valori passi inosservata nel panorama dell’informazione.

Banalmente, si dice che sono aspetti insiti nella natura dei sistemi finanziari. Così che a una crisi finanziaria ne segue ciclicamente un’altra. La sensazione è quella di vivere un periodo storico cruciale, così che oggi le Borse assomigliano ad un grande Casinò e non al luogo deputato a creare i mezzi necessari per lo sviluppo economico.

Scommessa, previsioni e notizie

Gli investitori vivono e scommettono sulle previsioni e sulle notizie. Le prime sono prodotte da grandi istituzioni come OCSE o FMI, poi dalle grandi banche, dalle grandi aziende che se le fanno in proprio (ENI, per es.) ed infine un lungo elenco di società private, istituti e think tank. I risultati sono destinati agli addetti ai lavori, ma dal medesimo elenco di analisi e previsioni deriva il flusso che le trasforma in notizie per i risparmiatori che, chi più chi meno, siamo tutti noi. Dinnanzi a situazioni dei mercati finanziari come quella che stiamo vivendo, la sensazione che non ci sia la consapevolezza del rischio si unisce all’impressione che non ce la raccontino giusta. Perché, mentre per le Big Tech si stanno facendo i conti con le notizie reali, altri segnali di crisi che si prospettano all’orizzonte sembrano non ricevere l’adeguata informazione.

Informazione inadeguata o ‘distratta’

L’inflazione che sembrava domata, pare invece stia rialzando la testa. I segnali interni all’Europa uniti all’escalation della crisi mediorientale con la minaccia al prezzo del petrolio, rischia di farla ripartire. Ciò nonostante si odano squilli di tromba provenienti dalle Banche Centrali pronte a tagliare i tassi a settembre. Lo faranno? In Usa forse sì, in Europa forse no. Ma sono altre due le incognite che richiedono un supplemento di attenzione. Cosa realmente succederà tra Iran e Israele e cosa accadrà se Trump vince le elezioni? Sulla situazione in Medio Oriente l’incertezza regna sovrana. Ciò che sappiamo è che dallo stretto di Bab el Mandeb passa il 12% del commercio mondiale, che i noli maritttimi sono in costante aumento e che verosimilmente il petrolio potrà subire variazioni importanti.

‘The Trump Risk Index’

‘The Economist’ ha compilato persino il “ The Trump Risk Index” , un elenco di come influirebbe la nuova politica economica USA in 70 paesi. I partner commerciali dovrebbero aspettarsi tariffe e restrizioni più elevate. La piattaforma repubblicana concentrata in un documento di 16 pagine contiene piani per imposte su tutte le importazioni. Segue la questione degli aiuti militari che diventerebbero probabilmente più condizionati; gli alleati verrebbero costretti ad aumentare la propria spesa per la difesa. Per non dire che Trump potrebbe optare per un dollaro più debole al fine di ridurre il deficit commerciale.

L’incertezza sul futuro

Il fatto è che, mai come oggi, gli analisti sono tutti alle prese con un fattore che la gente non è disposta a sopportare a lungo: l’incertezza. Se i timori per il ciclo economico si saldano alla paura per l’espandersi delle crisi geopolitiche, la possibilità di avere una crisi capace di coinvolgere il debito pubblico aumenta. Per quanto incertezza e irrazionalità siano insite in un organismo complesso come il sistema economico è compito della politica dirigere, regolare, combattere la speculazione.

Dalla fine della contrapposizione tra due sistemi economici e l’inizio della globalizzazione i governi hanno risolto le crisi con degli aggiustamenti di bilancio che hanno mantenuto lo status quo. Fintanto che, come insegna la storia, non c’è uno shock maggiore che costringe a riscrivere le regole del gioco.

05/08/2024

da Remocontro

Valerio Sale

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