21/11/2025
da Il Fatto Quotidiano
Nel mirino della Commissione "l'incompatibilità dei poteri discrezionali nelle fusioni bancarie con il diritto dell’Unione europea". Nessun riferimento specifico al decreto con cui Roma ha impedito a Unicredit di comprare Bpm, ma la procedura ne cambia la prospettiva. E comunque il caso è ancora sotto esame della direzione generale per la Concorrenza
Tanto tuonò che piovve. Dopo sette mesi di indiscrezioni e interlocuzioni più o meno informali, la Commissione europea si è risolta ad aprire una procedura d’infrazione a carico dell’Italia per l’incompatibilità dei “poteri discrezionali nelle fusioni bancarie con il diritto dell’Unione europea”. Chiaro il riferimento ai poteri speciali di veto del governo sulle fusioni e acquisizioni di aziende strategiche ai sensi del golden power e, in particolare, al loro utilizzo nel caso di operazioni tra banche come il decreto di Pasqua con cui l’esecutivo ha di fatto bloccato l’acquisizione di Bpm da parte di Unicredit. Questo anche se il caso specifico delle due banche milanesi non fa parte della procedura che è più generale, come ha spiegato il portavoce della Commissione, Arianna Podestà, chiarendo che la procedura “riguarda il golden power di per sé e nessun caso specifico”.
Resta il fatto che mettere in discussione il golden power all’italiana in ambito bancario, mette in discussione anche i modi in cui è stato utilizzato. O, almeno, può evitare che il passato diventi il precedente di riferimento per il futuro. E comunque per il caso Unicredit-Bpm resta aperta la procedura in capo alla direzione generale della Concorrenza. “Stiamo valutando le risposte dell’Italia alle preoccupazioni che abbiamo sollevato questa estate”, ha spiegato la portavoce chiarendo che quella relativa alle violazioni dell’articolo 21 sulle concentrazioni “è una procedura separata”. Il riferimento è alla durissima lettera di 56 pagine che la commissaria Teresa Ribera ha inviato a luglio alla presidenza del Consiglio per demolire una a una le quattro condizioni che, sempre ai sensi del golden power, l’esecutivo Meloni aveva imposto a Unicredit in cambio del suo via libera all’acquisizione della Bpm tanto cara alla Lega.
Quanto alla procedura d’infrazione che invece è stata avviata, siamo alla prima fase, quella della messa in mora. “Pur essendo volta a tutelare la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico” la normativa sul golden power “per come applicata dalle autorità italiane, rischia di consentire interventi ingiustificati per motivi economici, compromettendo i principi della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali nel mercato unico. Inoltre, la normativa italiana si sovrappone alle competenze esclusive della Banca centrale europea nell’ambito del Meccanismo di Vigilanza Unico“, si legge nella formalizzazione dell’avvio della procedura, dove la Commissione fa sue alcune delle argomentazioni chiave della lettera della Ribera di luglio. Senza quindi entrare nel merito della battaglia che si è consumata ad armi impari tra il governo e Unicredit sul futuro di Bpm e del sistema bancario italiano, l’esecutivo comunitario spiega che con l’avvio della procedura di infrazione “invita l’Italia a conformarsi alle norme bancarie dell’Ue“. L’Italia ha ora due mesi “per rispondere e porre rimedio alle carenze evidenziate. In assenza di una risposta soddisfacente, la Commissione potrà decidere di emettere un parere motivato“.
La commissaria ai Servizi finanziari Maria Luìs Albuquerque ha lavorato per mesi sulla questione del mancato rispetto del diritto comunitario da parte di Roma, battendosi per l’avvio della procedura che, secondo quanto riferito nelle scorse settimane da Politico, si era arenata sulla scrivania della presidente Ursula von der Leyen, molto attenta a conservare buoni rapporti con Giorgia Meloni. Pur mirando a salvaguardare la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico, per la Commissione la normativa sul golden power introdotta nell’ordinamento con decreto legge nel 2012 (governo Monti), modificato e prorogato nel 2021 e nel 2022 (governo Draghi), nell’interpretazione pratica del governo italiano rischia di consentire interventi “ingiustificati” per motivi economici. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, fa ancora una volta orecchie da mercante sull’argomento spostando la questione da un piano fattuale a un piano normativo: “La Commissione solleva obiezioni sulla norma cosiddetta Golden Power, riformata nel 2022 con il governo Draghi. Sulla base delle valutazioni della sentenza risponderemo ai rilievi che ci vengono mossi nelle sedi competenti. Con spirito costruttivo e collaborativo faremo una proposta normativa che farà chiarezza e supererà le obiezioni. Siamo convinti che permetterà di avere un quadro di competenze condiviso”, dice.

