L'altro fronte Mai una violenza simile: interi quartieri e campi profughi svuotati. Razzie, arresti di massa e omicidi. L’Anp teme la multa Usa: a rischio le indennità per le famiglie di morti e detenuti
Una nuova Nakba si sta abbattendo sui palestinesi della Cisgiordania, rastrellati fin dentro le proprie case e costretti dall’esercito a lasciare città e villaggi. In ventuno giorni dall’inizio dell’operazione militare denominata «Muro di ferro» sono stati forzatamente sfollati 40mila abitanti, secondo i dati delle Nazioni unite. L’Unrwa, l’agenzia Onu che si occupa dei profughi palestinesi, ha dichiarato che il numero «sta aumentando a un ritmo allarmante» e che interi campi sono stati svuotati.
SI TRATTA del più lungo assalto militare nella Cisgiordania occupata dai tempi della Seconda Intifada, nei primi anni 2000. Cominciato insieme alla tregua a Gaza con lo scopo di spostare il fronte di guerra nella West Bank, prosegue con estrema violenza anche in queste ore in cui il cessate il fuoco tra Hamas e Israele vacilla. Tel Aviv allarga le proprie operazioni giorno dopo giorno ed è presumibile, ormai, che non intenda fermare le manovre militari, neanche se gli attacchi a Gaza dovessero riprendere.
Ieri nel campo profughi di Nur Shams, a Tulkarem, i soldati hanno prima imposto un divieto assoluto di movimento e poi preso d’assalto i palazzi, cacciando i residenti. Le case vengono razziate e danneggiate. Testimoni hanno raccontato all’agenzia stampa Anadolu che intere famiglie sono rimaste chiuse nelle proprie abitazioni attendendo che «arrivasse il proprio turno».
Proprio a Nur Shams, domenica i militari hanno ucciso una donna di 23 anni all’ottavo mese di gravidanza, Sundus Shalabi, e ferito gravemente suo marito. L’automobile sulla quale tentavano di lasciare il campo è stata colpita dai proiettili e l’esercito ha impedito ai soccorsi di giungere sul posto.
Le operazioni proseguono senza sosta anche nei campi profughi di Tulkarem, Jenin e Fara’a. Droni e aerei continuano a bombardare, mentre i mezzi pesanti di terra distruggono strade e infrastrutture. Gli sfollati fuggono nelle città e nei villaggi limitrofi, dove vivono in condizioni difficili. Qualcuno ha chiesto ospitalità a parenti e amici, altri vivono nelle scuole trasformate in rifugi o nei ripari di fortuna.
ISRAELE non si occupa delle condizioni di coloro che manda via e la situazione umanitaria diventa sempre più grave con il passare dei giorni, mentre l’economia delle città viene messa a dura prova. Nonostante Jenin sia stata più volte assediata e attaccata, si stima che l’operazione attuale stia causando la peggior crisi economica degli ultimi anni. Secondo la Camera di commercio della città, l’assedio e i raid producono ogni giorno la perdita di 30 milioni di shekel (otto milioni di euro).
Solo a Jenin sono state distrutte circa 200 abitazioni. Alcune bombardate, altre date alle fiamme. Ieri, mentre le forze armate si ritiravano da Al Jadeeda, hanno dato fuoco a un capannone agricolo, causando un vasto incendio. La scorsa settimana l’esercito ha fatto esplodere a Jenin venti edifici in contemporanea, con modalità molto simili a quelle viste a Gaza. Secondo l’esercito, si tratterebbe di abitazioni e fabbricati usati come deposito di armi o centrali operative ma, proprio come per Gaza, non sono fornite prove a conferma.
Gli arresti proseguono numerosi. Secondo diverse organizzazioni che si occupano dei prigionieri palestinesi, durante il solo mese di gennaio Israele ha fermato 580 persone nella Cisgiordania occupata. La maggior parte a Jenin. Tra i prigionieri si contano 60 bambini e 17 donne. Sono centinaia le persone trattenute e interrogate sul posto durante i raid.
L’AUTORITÀ NAZIONALE palestinese (Anp) ha fatto sapere ieri che intende revocare il programma di indennità economica per le famiglie dei palestinesi uccisi o detenuti da Israele. Tel Aviv nel 2024 ha trattenuto 21 milioni di shekel (quasi sei milioni di euro) dalle tasse destinate all’Anp, con lo scopo di interrompere il «fondo per i martiri», giudicato da Israele e Stati uniti un compenso illegittimo per le azioni armate palestinesi.
È possibile che la mossa di Abu Mazen sia il tentativo di evitare le multe salate annunciate proprio dagli Usa (dai 200 ai 300 milioni di dollari), che potrebbero causare una crisi finanziaria per l’Autorità.
11/02/2025
da Il Manifesto