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Cariche e idranti contro il corteo pro-Pal diretto alla Festa del cinema di Roma

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Politica italiana

25/10/2025

da Il Manifesto

Lucrezia Ercolani   Giornalista professionista, nata a Roma nel ’92 e laureata in Filosofia

Dissenso negato. La questura blocca un migliaio di manifestanti diretti all'ambasciata israeliana e alla Festa del cinema. La denuncia degli organizzatori: «Per avanzare ci chiedono di togliere le bandiere»

«I veri terroristi sono dentro l’ambasciata di Israele» urla al megafono un noto esponente dei movimenti di lotta per la casa. Quell’ambasciata che il corteo convocato da Usb, Arci Roma e altre organizzazioni di base si era prefissata di raggiungere, prima di terminare il proprio percorso alla «vetrina» della Festa del cinema di Roma. Denunciare il genocidio ancora in corso, per «tenere i riflettori accesi sulla Palestina», era l’intento della manifestazione. Il luogo di incontro era Piazza Giuseppe Verdi, a pochi passi da Villa Borghese, dove si sono riunite un migliaio di persone. Presenti molti studenti, gli striscioni con lo slogan «Blocchiamo tutto» e tante delle reti viste in piazza nelle scorse settimane come Cambiare rotta e Osa. Quando però, dopo circa un’ora, il corteo ha provato a partire è arrivato l’alt della questura. E di fronte alla determinazione ad andare avanti, la polizia ha azionato gli idranti e caricato i manifestanti.

CHE IL CLIMA fosse teso lo si capiva già dalle forze schierate: i numerosi blindati, oltre a presidiare la piazza, impedivano l’accesso in molte delle vie laterali lungo il percorso verso l’Auditorium Parco della Musica, con un nutrito reparto di polizia a cavallo nei pressi dell’ambasciata israeliana – su cui evidentemente si concentravano i timori di disordini -, generando il caos per gli automobilisti incolonnati nell’ora di punta. Un evidente cambio di atteggiamento rispetto ai cortei oceanici del pre-piano Trump, dove le forze dell’ordine avevano lasciato sfilare le proteste anche quando il preavviso era stato minimo, come dopo l’abbordaggio della Global Sumud Flotilla lo scorso primo ottobre.

In serata i manifestanti continueranno a invocare a squarciagola il corteo e a urlare «vergogna» – oltre a ribadire «Roma lo sa da che parte stare, Palestina libera dal fiume fino al mare», – ma dopo una lunga trattativa, la questura concederà solamente di stazionare in Via Monteverdi prima di lasciar defluire i partecipanti intorno alle 21. «Per andare avanti ci chiedono di abbassare le bandiere palestinesi. Per noi le bandiere sono come i tatuaggi sul nostro corpo, non le lasceremo» denunciano gli organizzatori, assicurando che il percorso era stato comunicato con anticipo. E un atteggiamento censorio rispetto ai simboli della protesta si riscontra anche alla Festa del Cinema di Roma, dove una parte del mondo dello spettacolo si era data appuntamento, sia per portare la propria voce in sostegno alla causa palestinese, sia per denunciare i tagli previsti in manovra al Fondo cinema e audiovisivo. Assistiamo a una «piccola» scena allarmante: una madre e una figlia, avvolte dalla bandiera della Palestina, si scattano una foto con il red carpet sullo sfondo. Vengono immediatamente raggiunte da agenti in borghese che intimano: «Ogni manifestazione deve essere autorizzata». E il movimento delle maestranze “Siamo ai titoli di coda” denuncia la confisca del loro striscione, che doveva essere srotolato sul red carpet, con la scritta «Ci avete tagliato fuori».

FABRIZIO GIFUNI ha invece sfilato sulla passerella con una kefiah al collo, al manifesto dice: «È un momento non solo drammatico, ma osceno, sia nel mondo che nel nostro piccolo settore – che però conta 124mila lavoratori e lavoratrici dello spettacolo. Insieme a 80 attori oggi c’erano tecnici, parrucchieri, arredatori, truccatori, abbiamo dato loro la parola. In questi tempi terribili che stiamo vivendo, abbiamo la catastrofe sotto gli occhi da due anni, ma in realtà da quasi un secolo. Ha a che fare con il genocidio di un popolo, con la distruzione sistematica, l’occupazione di terre. E visto che da qualche settimana non si fa che parlare di questa ipotesi del piano di pace, ma si continua a morire in Cisgiordania e a Gaza, io personalmente sento la necessità di tenere bene aperti gli occhi e di continuare a parlarne perché il silenzio uccide tanto quanto le bombe». Un silenzio che stavolta però la questura di Roma ha scelto di avallare.

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