Quando si violano i trattati internazionali le vittime vanno risarcite. È l'ABC...
Il caso Diciotti è arrivato a un tale punto di evoluzione che non si può seguire senza un filo di Arianna che ci accompagni nel percorso. Riassumiamo i fatti.
Alle 4 del mattino del giorno 16 agosto 2018, a circa due mesi dall’insediamento del governo giallo-verde con Matteo Salvini sulla poltrona del Ministero dell’interno, la nave della Guardia Costiera italiana “Ubaldo Diciotti – CP 941” raccolse in mare 190 migranti che le autorità di Malta non avevano soccorso, sebbene i naufraghi si trovassero nella sua area marittima di salvataggio (SAR). Tra i salvati c’erano 10 donne e 37 minori. La nave “Diciotti” si avviò verso Lampedusa su disposizione del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Toninelli, responsabile del dicastero da cui dipende la Guardia Costiera e qui sbarcarono 13 persone a causa delle loro gravi condizioni di salute. Ma il Ministro degli interni Salvini impedì lo sbarco degli altri naufraghi intrecciando un dibattito con Malta su quale dei due Paesi dovesse farsi carico dei salvati.
Intervenne nuovamente il Ministro Toninelli che indirizzò la nave Diciotti verso il porto di Catania dove arrivò il 20 agosto, ma ancora una volta intervenne il Ministro Salvini che, innescato un dibattito con l’Europa per il dislocamento dei migranti, ove li avesse fatti sbarcare in Italia, vietò che i 177 naufraghi scendessero a terra. Il divieto di sbarco venne rimosso solo il 22 agosto, a seguito l’intervento della Procura per i minori di Catania, limitatamente a 29 minorenni non accompagnati. Il 23 agosto salì a bordo il Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute che, all’esito della visita, inviò informative alle Procure di Agrigento e di Catania segnalando l’assenza di alcun atto motivato di limitazione della libertà personale da parte della competente autorità, oltre alla requisizione dei cellulari dei migranti ai quali era così impedita ogni comunicazione con familiari ed affetti. Finalmente, nella notte tra il 25 e il 26 agosto, fu permesso ai restanti 148 naufraghi di scendere a terra in quanto dichiararono di farsene carico la Conferenza episcopale italiana, l’Albania e l’Irlanda.
Questo esito fu favorito anche dal fatto che il 25 agosto Matteo Salvini aveva ricevuto un avviso di garanzia con il quale la Procura della Repubblica di Agrigento, in persona del Pubblico Ministero Luigi Patronaggio, lo informava dell’apertura a suo carico di un’inchiesta per sequestro di persona aggravato, arresto illegale e abuso di ufficio associando nell’indagine anche il suo Capo di Gabinetto Matteo Piantedosi. Trattandosi di un’indagine riguardante un Ministro della Repubblica, il 31 agosto il PM Patronaggio inviò gli atti alla Procura di Palermo che il 7 settembre li trasmise al Tribunale di Ministri.
A ottobre 2018 il Tribunale di ministri di Palermo, con una ordinanza di 60 pagine, archiviò l’intera attività dell’autorità italiana fra il recupero dei naufraghi in mare e l’arrivo a Lampedusa scrivendo che il lavoro della Guardia Costiera era stato “meritorio” ma, per la settimana di trattenimento nel porto di Catania, restituì gli atti alla Procura della Repubblica di Palermo che a sua volta, ritenutasi incompetente, li trasmise alla Procura di Catania.
Il 2 novembre 2018 Matteo Salvini poteva comunicare urbi et orbi, tramite il suo canale Facebook, di aver ricevuto la comunicazione con la quale il PM di Catania Carmelo Zuccaro (già noto per la sua contrarietà alle operazioni di salvataggio in mare delle ONG internazionali) aveva chiesto al Tribunale dei Ministri etneo l’archiviazione.
La Procura di Catania aveva infatti interpretato il comportamento di Salvini come corretto perché, se il Tribunale dei Ministri di Palermo aveva ritenuto che non fossero stati commessi reati nei giorni tra il 16 e il 20 agosto perché c’erano le trattative con Malta, allo stesso modo, non potevano esserne stati commessi tra il 20 e il 26 agosto perché erano pendenti trattative con l’Europa.
Ma il Tribunale dei ministri di Catania non accolse la richiesta di archiviazione della Procura e il 23.01.2019 chiese al Senato della Repubblica, ai sensi dell’art. 96 della Cost., l’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini per i reati di sequestro di persona aggravato, arresto illegale e abuso d’ufficio. Quell’organo giudiziario, presieduto da Nicola La Mantia, giudici a latere Sandra Levanti e Paolo Corda, fu molto chiaro quando scrisse: “E’ convincimento di questo tribunale che la condotta in esame abbia determinato plurime violazioni di norme internazionali e nazionali, connotandosi per ciò solo di quella indubbia illegittimità integrante il reato ipotizzato in quanto l’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme finalizzate al contrasto dell’immigrazione irregolare”. E proseguiva: “Va sgomberato il campo da un possibile equivoco, va ribadito come questo tribunale intenda censurare non già un “atto politico” dell’Esecutivo, bensì lo strumentale ed illegittimo utilizzo di una potestà amministrativa”. Il Senato della Repubblica, tuttavia, non concesse l’autorizzazione a procedere nella seduta del 20 marzo 2019 e così finì la vicenda penale del caso Diciotti.
Con questa, non va confusa la vicenda “Open Arms”, un caso pressoché analogo, ma che si svolse dal 14 al 19 agosto 2019. Anche in quel caso Matteo Salvini, Ministro dell’interno del governo Conte 1, impedì lo sbarco di migranti salvati dalla nave dell’ONG spagnola “Open Arms”. Nel corso del processo svoltosi dinanzi al Tribunale di Palermo, la Procura ha chiesto per lui sei anni di carcere. L’avvocata della difesa Giulia Bongiorno ha chiesto invece l’assoluzione sostenendo che “il diritto allo sbarco non si discute, ma non si può scegliere dove, come, con chi e quando” risultando che la nave Open Arms avesse rifiutato più volte di sbarcare i migranti. La sentenza, letta il 20 dicembre 2024, ha assolto pienamente Salvini con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Ma il caso Diciotti non si esaurì con l’indagine penale abortita in Senato. Infatti, 41 dei migranti eritrei trattenuti a bordo, tra cui M.G.K., presentarono ricorso al Tribunale di Roma chiedendo la condanna del governo italiano, in persona del Presidente del consiglio dei ministri, e del Ministero dell’interno, al risarcimento dei danni non patrimoniali per l’impedimento frapposto allo sbarco per l’intero periodo dal 16 al 25 agosto 2018 o, in subordine, limitatamente al periodo dal 20 al 25 agosto in cui la nave venne trattenuta nel porto di Catania senza far scendere i naufraghi. Le autorità italiane si costituirono in giudizio eccependo, in via preliminare, la carenza di giurisdizione della magistratura dovendosi qualificare il divieto quale “atto politico”, come tale sottratto alle valutazioni giurisdizionali e, nel merito, deducendo che i due periodi di trattenimento a bordo erano giustificati dalle trattative col governo maltese (periodo Lampedusa) e con le autorità europee (periodo Catania). Con ordinanza del 9 luglio 2019, il Tribunale di Roma dichiarò la carenza di giurisdizione ritenendo gli atti impugnati di natura politica in accoglimento delle tesi delle Pubbliche Amministrazioni. La Corte d’Appello adita dai migranti, invece, con sentenza n. 1803/2024 del 13 marzo 2024, pur ammettendo la giurisdizione ordinaria, ha rigettato la domanda nel merito per mancanza di colpa della Pubblica amministrazione e per mancanza del danno conseguente.
Solo M.G.K. ha impugnato con un unico motivo detta sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione con ricorso cui hanno risposto, con controricorso e ricorso incidentale condizionato, la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Ministero dell’interno sollevando ancora la questione di giurisdizione che, per legge (art. 41 cod. proc. civ.), può essere decisa solo dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite.
Il motivo sollevato da M.G.K. denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. in relazione agli artt. 13, 24, 111 e 117 Cost., articolo 5 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ed art. 6 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea ed artt. 7 e 14 della direttiva 2008/115/CE».
A sostegno della propria censura M.G.K. ha osservato:
che il trattenimento a bordo era avvenuto in via di mero fatto, in assenza di provvedimenti amministrativi o giudiziari (come rilevato dall’Autorità garante nazionale dei diritti delle persone detenute nell’accesso sulla nave Diciotti del 23 agosto 2018), in violazione degli artt. 3, 24 e 111 della Cost. che riservano alla sola autorità giudiziaria il potere di privare taluno della libertà;
che erroneamente la Corte d’appello aveva ritenuto non provato il danno non patrimoniale da ritenersi implicito nell’abusiva privazione della libertà personale per dieci giorni, sicché il giudice può ricorrere alle presunzioni semplici per valutare l’incidenza negativa sulle condizioni di vita e, quindi, liquidare il danno con equità.
Dal canto suo, la Pubblica Amministrazione (PA) ha insistito:
che il divieto di sbarco integrava un “atto politico” sia perché proveniente da un organo di governo, sia perché espressione della funzione di indirizzo politico con carenza di giurisdizione del giudice ordinario;
nel merito, per l’assenza dell’illiceità dei comportamenti e l’assenza del danno.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con l’ordinanza n. 17687/2024, adottata nella camera di consiglio del 18 febbraio 2025 e pubblicata il 6 marzo successivo, ha accolto il ricorso di M.G.K., rigettato il ricorso incidentale dell’Autorità italiana ed ha rinviato la vertenza alla Corte d’Appello di Roma che, in diversa composizione rispetto alla precedente pronuncia del marzo 2024, dovrà liquidare i danni e provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Per giungere a tale conclusione, la Corte di cassazione ha sviluppato i seguenti argomenti a favore di M.G.K., tralasciando qui le questioni tecniche afferenti alla questione di giurisdizione:
L’intervento ministeriale che ha impedito lo sbarco dei naufraghi non è un “atto politico” la cui definizione è strettamente circoscritta proprio per evitare la sottrazione alla giustizia di atti emanati sulla base di valutazioni politiche. Esso consiste, infatti, in atti che attengono alla direzione suprema generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali ed è insindacabile in sede giurisdizionale qualora non sia sottoposto a vincoli di natura giuridica. Se, invece, nella specifica materia, esistono canoni di legalità, il sindacato giurisdizionale è consentito.
Il divieto di sbarco del Caso Diciotti non fu un “atto politico” sottratto alla giurisdizione, perché la materia è regolamentata da normative nazionali e internazionali.
Alla luce di quanto sopra rilevato, il motivo di impugnazione di M.G.K. è risultato fondato sotto tutti gli aspetti che si concentrano sulla responsabilità da illecito extracontrattuale della PA ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. costituito dalla restrizione della libertà personale non giustificata da provvedimenti amministrativi o giudiziari in violazione dell’art. 13 Cost..
Oltre alla fonte costituzionale, l’obbligo del soccorso in mare è universalmente riconosciuto per antica consuetudine e, come tale, si colloca al di sopra di qualunque ipotesi di contrasto all’immigrazione irregolare.
Vi sono poi le convenzioni internazionali alle quali l’Italia ha aderito tra le quali la Convenzione SOLAS del 1974; la Convenzione SAR del 1989 (Convenzione di Amburgo) con la concreta attuazione di cui al D.P.R. 662/1994, nonché la Convenzione delle Nazioni Unite UNCLOS del 1982.
In base a queste convenzioni tutti gli Stati aderenti devono organizzarsi per svolgere l’attività di soccorso in mare e vige anche il principio di sussidiarietà per supplire alla mancata attivazione di uno Stato che dovrebbe intervenire e non lo fa.
Lo Stato che esegue il soccorso, ai sensi della Convenzione SAR capitolo 3.1.9, deve organizzare lo sbarco «nel più breve tempo ragionevolmente possibile» fornendo un luogo sicuro in cui terminare le operazioni di soccorso; è solo con la concreta indicazione del POS (Place of Safety), e con il successivo arrivo dei naufraghi nel luogo sicuro designato che l’attività di Search and Rescue può considerarsi conclusa.
Con la locuzione “luogo sicuro” deve intendersi un “luogo” in cui sia garantita non solo la “sicurezza” – intesa come protezione fisica – delle persone soccorse in mare, ma anche il pieno esercizio dei loro diritti fondamentali tra i quali, ad esempio, il diritto dei rifugiati di chiedere asilo.
In capo agli Stati aderenti alla Convenzione SAR residua solo un margine di “discrezionalità tecnica” per l’individuazione del punto di sbarco più opportuno in considerazione delle specifiche esigenze che, caso per caso, si presentano.
Alla luce di queste considerazioni, la Corte di Cassazione conclude che: « Non può dubitarsi allora che la mancata tempestiva indicazione del POS, unitamente alla decisione di non far scendere i 177 migranti per cinque giorni sebbene la nave fosse già ormeggiata nel porto di Catania, costituisca una chiara violazione della predetta normativa internazionale».
Un paragrafo dell’ordinanza delle Sezioni Unite è anche dedicato alla negazione dell’autorizzazione a procedere contro il Ministro Salvini votata dal Senato della Repubblica il 20 marzo 2019. Sul punto la Corte suprema spiega che il procedimento di cui all’art. 96 Cost. ha un carattere assolutamente eccezionale e quindi di interpretazione restrittiva. E poiché tale norma tratta solo della responsabilità penale del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri, anche se cessati dalla carica, l’esito della votazione parlamentare non influisce sulle vicende risarcitorie civilistiche.
L’ammontare del risarcimento del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 cod. civ., in concreto, è deferito alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione che stabilirà, in via equitativa, la somma dovuta per ogni giorno di illecita privazione della libertà personale di M.G.K. (unico ricorrente per cassazione) a bordo della nave Diciotti.
L’itinerario logico giuridico esposto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione appare ancorato a precise norme giuridiche e principi derivanti anche da convenzioni internazionali ben noti (li aveva già richiamati il Tribunale dei ministri di Catania quando aveva chiesto al Senato l’autorizzazione a procedere contro Salvini con l’Ordinanza del 23.01.2019) sicché le reazioni delle parti politiche di destra sono del tutto ingiustificate. Tanto più che non scendono nella critica delle specifiche motivazioni, ma si diffondono in tutti quei paradossi che dall’esito del giudizio si possono immaginare.
In particolare, la Corte di legittimità non ha affatto detto che ad ogni migrante irregolare spetterà una somma a titolo di risarcimento del danno per la permanenza a bordo, bensì ha chiarito quale sia l’interpretazione più corretta da dare a quelle convenzioni internazionali (alle quali l’Italia ha aderito) che disciplinano il recupero dei naufraghi nonché il luogo ed i tempi di assegnazione di un POS (luogo sicuro). È quindi solo dalla violazione dei trattati internazionali che scatta l’obbligo di risarcire le vittime.
E viene qui in mente che il governo italiano forse si espone eccessivamente a possibili richieste risarcitorie quando recupera naufraghi nel mezzo del Mediterraneo ma poi assegna loro, quale porto sicuro, quello di Ravenna o di Genova, in quanto dovrebbe poi spiegare perché, in quel caso specifico, costringe i migranti a ulteriori giornate di mare invece di sbarcarli nel più vicino “luogo sicuro”.
E che dire del portare i naufraghi in Albania? Ma qui il capitolo giurisdizionale è ancora in corso.
Per adesso il Caso Diciotti risponde ad un principio: “Risarcirne uno per educare giuridicamente un intero governo”. E sarebbe bene imparare la lezione perché un risarcimento sarà pena modesta, ma quando i ricorrenti fossero di più, si aprirebbero le porte anche dell’azione della Corte dei Conti per il relativo danno all’erario. In tal caso il risarcimento pagato dalla PA ai migranti danneggiati dovrebbe poi essere recuperato dalle tasche stesse del responsabile governativo.
In definitiva: non sarebbe bene che questo governo imparasse a rispettare le leggi e le convenzioni internazionali? Ne guadagnerebbe soprattutto la dignità dello Stato.
11/03/2025
da Left
Shukri Said Giornalista. Coautrice e co conduttrice di “Africa Oggi” per Radio Radicale, firma il blog “Primavera Africana” su Repubblica.it; è inoltre corrispondente dall’Italia per la Bbc e per Voice of America