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Cattedre a pagamento. Gli affari dei privati sulle spalle dei docenti

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Scuola. L’abilitazione può costare 4mila euro e le università pubbliche non garantiscono i corsi

Pagare per restare precari. Ottenere la cattedra di ruolo per i docenti italiani è da molti anni difficile, sacrifici e spostamenti in attesa di un contratto a tempo indeterminato che rimane in buona parte legato alla fortuna. Ora anche alla capacità di spesa del precario. Le regole, è noto, possono cambiare da un anno all’altro: concorsi, aggiornamenti, scuole di specializzazione come le vecchie Sis, tirocini, corsi abilitanti, crediti. Quest’anno oltre al danno si aggiungono la beffa per i lavoratori e il guadagno per i privati.

LA RIFORMA dell’ex ministro all’Istruzione del governo Draghi, Patrizio Bianchi, prevede il conseguimento di 60 crediti formativi per poter accedere ai prossimi concorsi per l’immissione in ruolo e alle graduatorie. I corsi abilitanti, anche quelli gestiti dalle università pubbliche, sono a pagamento. Una sostanziale mercificazione delle competenze che era stata, a suo tempo, molto criticata anche perché scarica la spesa della formazione sul lavoratore e non sull’azienda (in questo caso lo Stato). E che, da quando al ministero c’è il leghista Giuseppe Valditara, è esplosa. Per ottenere questi crediti i circa 250 mila precari, tra cui quelli che hanno già conseguito 3 anni di insegnamento e quelli che hanno già superato una prova concorsuale, devono, entro novembre o dicembre di quest’anno, seguire dei corsi a frequenza obbligatoria (on line, in presenza o mista).

A causa di un ritardo del ministero, le università pubbliche che offrono questo servizio non sono molte. E la tassa di iscrizione non è bassa: tra i 1.660 e i 2.500 euro. In questo ritardo ci hanno guadagnato gli atenei telematici e privati italiani, come Pegaso che è tra i più frequentati, e stranieri. «La cosa scandalosa è che si paga per rimanere precari – spiega Luigi, insegnante di italiano, storia e geografia alle medie e alle superiori a Pisa – anche chi vincerà il concorso in via di svolgimento, dovrà in ogni caso conseguire altri 30 Cfu ma non ci saranno graduatorie a scorrimento, per cui dovremo ricominciare d’accapo e partecipare ad altri futuri concorsi. È una tassa sull’intenzione di fare il professore».

PER LA FLC CGIL si tratta del «trionfo del mercato»: «L’insieme delle norme sul reclutamento unito al definanziamento delle università statali hanno avuto come conseguenza che la maggior parte dei corsi abilitanti siano in mano alle università telematiche – nota Manuela Pascarella, segretaria nazionale del sindacato della scuola della Cgil -, la qualità del percorso formativo è più scadente e i precari se la devono anche pagare. Noi avevamo chiesto invece il superamento del sistema dei crediti con la formazione di ingresso».

MARIO, CHE INSEGNA materie giuridiche, è stato indeciso se rinunciare all’insegnamento per non pagare «il balzello»: «Sono un bravo insegnante, ho anche superato l’esame per diventare avvocato, ma sono stato sorpassato in graduatoria da chi ha comprato titoli all’estero con 6 mila euro. È un eclatante compravendita». Anche perché il docente precario è un target straordinario per i motori di ricerca. Non appena accede a internet viene inondato di banner e annunci pubblicitari sui corsi da parte di università telematiche o straniere. «Come migliaia di colleghi precari lavoro da anni senza i crediti, adesso mi dicono che non basta la mia preparazione e che devo fare dei corsi. Obbligheranno anche chi è di ruolo?» si chiede Marta, docente a Bologna. I precari si dicono esasperati. «Insegno da 10 anni – dice Assunta, calabrese – ho fatto tutto quello che mi hanno chiesto: mi sono specializzata, mi sono formata e non è bastato. A settembre dovrò scegliere se frequentare il corso senza guadagnare o accettare una supplenza».

OLTRE AI COSTI per l’iscrizione occorre considerare le spese per sostenere l’esame finale (altri 150 euro circa) e quelli necessari alla frequenza. Non è detto che i corsi relativi alla classe di concorso del precario siano attivi nella città di residenza. A volte è necessario anche cambiare regione e i calendari delle lezioni sono spesso improvvisati. «Non ci si può ammalare perché senza la frequenza si perdono soldi e posto. Più che un percorso abilitante sembra una prova di Hunger Games», commenta un utente su una pagina Facebook dedicata al concorso 2024. «Impiego 40 minuti all’andata e 40 al ritorno per seguire i corsi: sono 300 euro di benzina al mese e ne pago 550 affitto; c’è un conflitto tra la dimensione del lavoro e quella della sopravvivenza – dice ancora Luigi – si richiedono ulteriori sforzi a chi già sta portando avanti l’anno scolastico, è una follia».

«QUI NON SI TRATTA di rinunciare a una pizza ma di sacrificare il corrispettivo di due o tre stipendi», aggiunge Marta. «L’accesso all’insegnamento è un business: dietro la facciata di un processo selettivo c’è l’interesse ad alimentare l’indotto economico che ruota intorno ai concorsi», continua l’insegnante di Pisa. Il processo selettivo adesso è in base al censo. Le cattedre hanno un prezzo. Si minacciano manifestazioni ma una risposta di lotta collettiva ancora non si è avuta. «Le politiche per la scuola hanno messo in atto un meccanismo quasi scientifico per separare i precari, ognuno ha maturato torti e esigenze diverse – ragiona Luigi – unire i precari su una sola richiesta sembra impossibile, è una guerra tra poveri».

14/08/2024

da Il Manifesto

Luciana Cimino

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