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Celebrato il pacificatore solo silenzio mentre a Gaza si continua a morire

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Politica estera

19 Rafahhhhhhhhhhhhhhh/10/2025

da Remocontro

Remocontro

Arma infame: peggiorano fame e malattie. I coloni bloccano i camion e il valico di Rafah resta chiuso. Un padre spinge il passeggino fino al centro della strada, bloccando la colonna di camion diretti a Gaza. Dentro ci sono aiuti umanitari, cibo per adulti e bambini. Il canali social del gruppo ‘Tzav 9’, l’organizzazione israeliana di estrema destra sottoposta a sanzioni internazionali diffonde come esempio (e suggerimento).

Coloni e destra armata

‘Tzav 9’: i suoi membri sono coloni e riservisti dell’esercito che si oppongono a qualsiasi ingresso di aiuti umanitari a Gaza. Hanno attaccato numerosi convogli, saccheggiato i carichi, distrutto e calpestato sacchi di farina, appiccato il fuoco ai mezzi. Ritengono che Hamas abbia violato l’accordo di cessate il fuoco e che si rifiuti di rilasciare i corpi degli ostaggi rimasti a Gaza. Washington e il presidente Trump hanno assicurato, al contrario, che il gruppo palestinese li sta cercando, spiegando che l’intesa prevedeva la consegna dei resti di cui si conosceva l’ubicazione.

Il ricatto persino sui cadaveri

Ma anche i morti palestinesi sono merce di scambio. Con l’inizio della tregua Israele ha restituito i resti di decine di palestinesi, ma altre centinaia sono sparsi nei ‘cimiteri dei numeri’ e negli obitori, segnala Michele Giorgio. Un tormento in più per i familiari che non sanno ancora se i loro figli sono morti, dispersi o prigionieri dove. «Nessun aiuto passerà – dichiara il gruppo israeliano – fino a quando l’ultimo dei defunti non sarà restituito». I camion erano diretti al valico di Kerem Shalom, l’unico attraversamento, insieme a quello di Kissufim, da cui sta passando qualcosa. Non abbastanza e comunque meno di ciò che era stato concordato, denuncia Eliana Riva.

  • Circa 560 tonnellate di cibo per ogni giorno di cessate il fuoco, secondo il Programma alimentare mondiale (Wfp), «ancora sotto il necessario» precisa da Ginevra la portavoce Abeer Etefa.

Programma alimentare mondiale

Il piano del Wfp è di aumentare gradualmente gli aiuti fino a raggiungere 1,6 milioni di persone nei prossimi tre mesi. Ma si deve agire in fretta, «perché questi bambini, le madri incinte, quelle che allattano sono in grave stato di insicurezza alimentare da molti mesi». E si deve lavorare anche sulle condizioni sanitarie, che rimangono disastrose. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha fatto sapere che le malattie infettive a Gaza stanno «sfuggendo al controllo». Per debellare meningite, diarrea, malattie respiratorie ci vorrà un lavoro «gigantesco».

Hamas, il valico di Rafah e il disarmo

In una dichiarazione pubblicata sui propri canali social, Hamas ha chiesto alla comunità internazionale di fare pressione su Israele affinché apra il valico di Rafah, secondo gli accordi stipulati per il cessate il fuoco. Ringraziando lo sforzo dei mediatori per il raggiungimento dell’intesa, il gruppo palestinese ha chiesto a Egitto, Qatar e Turchia di garantire l’ingresso degli aiuti umanitari e proseguire nell’attuazione delle fasi successive del piano. Oltre alla ricostruzione e all’insediamento di un comitato di tecnocrati palestinesi (a cui Usa e Paesi arabi starebbero lavorando), si dovrà parlare di disarmo. E i toni del governo degli Stati uniti si stanno facendo più accesi, avverte il Manifesto.

Hamas e il suo futuro

Ieri l’inviato Usa per il Medioriente, Steve Witkoff, ha detto che «Hamas deve disarmarsi in modo inequivocabile e non può avere alcun futuro a Gaza; nessun futuro come quello che ha avuto finora». Dopo l’apparente via libera alla gestione armata della sicurezza da parte del gruppo islamico, il presidente Trump (nel suo tipico tira e molla politico), ha dichiarato giovedì che se Hamas non smetterà di uccidere milizie e oppositori di Gaza, «Non avremo altra scelta che entrare e ucciderli». Secondo le fonti del Times of Israel, Washington sta lavorando insieme a Tel Aviv per creare una «zona sicura», sotto il controllo dell’esercito, in cui possano rifugiarsi coloro che temono ritorsioni da parte di Hamas. Le milizia musulmane armare e finanziate da Israele.

Aiuti turchi bloccati

Come promesso, la Turchia ha inviato 81 specialisti nel recupero dei corpi. Non si sa, non è chiaro se aiuteranno la Protezione civile di Gaza a raggiungere le migliaia di dispersi palestinesi o si occuperanno esclusivamente dei 19 ostaggi israeliani. Fatto sta che anche i turchi sono fermi a Rafah, bloccati in Egitto in attesa che Tel Aviv apra il valico. Il ministro degli esteri israeliano Gideon Sàar da Napoli ha dichiarato che il passaggio sarà «probabilmente aperto domenica». Intanto, i droni israeliani hanno ferito diverse persone ieri nella Striscia e la difesa civile ha denunciato il bombardamento di un piccolo autobus che trasportava dieci palestinesi. I soccorritori sarebbero riusciti a recuperare solamente un ferito.

Ancora sugli scomparsi

La restituzione dei prigionieri morti delle due parti: quella dei palestinesi scomparsi nel nulla in questi ultimi due anni, una vicenda che non trova spazio nei media internazionali, impegnati invece a riferire della tensione che rischia di far saltare la tregua a Gaza, causata dai 19 corpi di ostaggi israeliani che Hamas non ha ancora consegnato (il movimento islamico afferma di non conoscere con certezza il luogo della sepoltura). In base all’accordo di cessate il fuoco, Israele deve restituire i corpi di 15 palestinesi per ogni israeliano deceduto e rimpatriato. I medici palestinesi continuano a esaminare i resti restituiti dopo la tregua: 32 corpi non sono stati identificati. «Qui non abbiamo le apparecchiature per effettuare l’esame del Dna, Israele non ha mai autorizzato il loro ingresso a Gaza»

Torture svelate e i cimiteri dei numeri

La maggior parte dei corpi indossa abiti civili. Altri, denunciano i palestinesi, sono bendati, ammanettati e ustionati. Ad altri ancora mancano arti o denti. «Segni di tortura ed esecuzioni sommarie» dice la commissione incaricata di ricevere i corpi. Poi i cosiddetti «cimiteri dei numeri», luoghi dove vengono sepolti cadaveri non identificati e contrassegnati da un numero. Questa pratica, ha raggiunto il suo apice durante la Seconda Intifada (2000-2005), quando Israele iniziò a trattenere i corpi di coloro che avevano compiuto attacchi suicidi. «Cessò nel 2008, per poi riprendere nel 2015 con la cosiddetta Intifada di Gerusalemme, quando furono attuate misure punitive che includevano demolizioni di case, il sequestro dei corpi e restrizioni ai funerali».

Macabra sintesi dell’orrore da parte del coordinatore della Campagna per il Recupero dei Corpi dei Martiri Palestinesi. «Le nostre ricerche ci hanno permesso di determinare che almeno 735 corpi sono sparsi tra i cimiteri dei numeri e gli obitori. Tra questi, dieci donne e 67 minori».

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