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Cinque Sì al referendum dell’8/9 giugno e poi subito una montagna di firme per bloccare l’autonomia

Cinque Sì al referendum dell’8/9 giugno e poi subito una montagna di firme per bloccare l’autonomia

Promuoviamo, insieme ai 5 quesiti su lavoro e cittadinanza, una petizione per chiedere ai presidenti delle regioni a statuto ordinario di NON accedere ad intese con il governo

Di lavoro si muore, è cosa purtroppo nota. Si muore anche di scuola, o per la scuola. Nel giro di poche ore se ne sono andate la scorsa settimana Domenica Russo, maestra della scuola primaria, morta davanti ai suoi bimbi, che accompagnava in uno di quei viaggi di istruzione – le “gite” – che anno dopo anno noi docenti continuiamo a fare, accompagnatori di classi numerose o numerosissime, senza alcun tipo di incentivo economico e con una responsabilità 24 ore su 24. Una morte a costo zero, si direbbe cinicamente. Ed è morta Anna Chiti, di 17 anni, al suo primo giorno di stage, priva di contratto. Un destino non dissimile da quello di Lorenzo Parrelli, Giuseppe Lenoci, Giuliano De Seta, morti di scuola, alternanza o PCTO che dir si voglia, che li ha consegnati a un lavoro precoce e deregolamentato.

Il cammino per arrivare a questo abominio, a questa barbarie è stato lungo e articolato. E certamente non saranno i 4 quesiti referendari sul lavoro a ristabilire dignità e umanità, in un mondo sempre più dominato dalla logica del profitto. Ma si tratta di un inizio.

Crederci fino alle 14,55 del 9 giugno e impegnare da ora tutte le nostre forze è nostra responsabilità. La nostra non deve essere una speranza, ma un pezzo concreto del cammino verso il futuro della Repubblica italiana: più solida e più solidale, perché fondata un po’ più sul lavoro dignitoso, sicuro e non precario e su una cittadinanza più rapida per chi ne ha diritto.

Quando, quasi un anno fa, abbiamo trascorso l’estate più calda di sempre a raccogliere firme per il referendum contro la legge Calderoli sull’autonomia differenziata, la convinzione dei Comitati per il Ritiro di ogni autonomia differenziata, di cui sono portavoce nazionale, era che si stava finalmente realizzando la saldatura di 3 elementi coerenti: lavoro, diritti sociali, – solidarietà e uguaglianza -, diritti di cittadinanza. La coerenza di una simile trama sta nel comune denominatore, la partecipazione.

Vogliamo contare, dire la nostra, essere partigiani. Lo facciamo con l’impegno quotidiano (la nostra lotta fu inaugurata 7 anni fa, quando vennero siglate le pre-intese tra governo Gentiloni e regioni Emilia Romagna, Veneto, Lombardia); ma possiamo farlo – e soprattutto sperare che altri/e lo facciano – solo se questi tre elementi si abbracciano, camminano insieme. Precarizzazione, diminuzione delle tutele e della sicurezza del e sul lavoro, mancanza di certezze sui diritti di cittadinanza, condizioni di vita minate dalla diseguaglianza, dalla logica predatoria delle privatizzazioni e della legge del più forte producono, tra gli altri, un risultato comune: allontanare le persone dalla forma più concreta della democrazia, la partecipazione.

L’8 e il 9 luglio abbiamo la straordinaria possibilità di cominciare a ricomporre questo mosaico andando a votare per 5 sì, attraverso l’espressione democratica per eccellenza: il referendum, che non a caso tanti/e stanno cercando di delegittimare. Noi dobbiamo essere più forti e caparbi. Esserci, a qualunque costo e invitare ad esserci. Non farci scoraggiare da chi sulla Costituzione ha giurato, ma la viola arrogantemente, invitando al non voto; da un sistema di informazione pubblica che disinforma, trascurando il proprio obbligo di collettore della democrazia attraverso il pluralismo. Non dobbiamo farci disorientare dall’imbarazzante spettacolo che stanno offrendo irresponsabilmente parti dell’opposizione, correnti di partiti di opposizione e persino alcune forze sindacali. Per quanto ci riguarda, è vero, la Corte Costituzionale ha bocciato il quesito contro l’autonomia differenziata. Ma ciò che consideravamo eversivo prima della sentenza, lo è ancor di più oggi, mentre il Governo va avanti silenzioso e indisturbato, con il ddl Calderoli approvato in Consiglio dei ministri proprio lunedì scorso.

Non demordiamo, dunque. La nostra partecipazione convinta alla campagna referendaria è stata all’insegna dello slogan 4+1 uguale 6. Perché – per ricomporre la coerenza di cui parlavo – promuoviamo, insieme ai 4 quesiti sul lavoro e quello sulla cittadinanza, una petizione regionale per chiedere ai presidenti delle regioni a statuto ordinario di NON accedere ad alcuna intesa con il governo. In Emilia Romagna i comitati hanno avuto una responsabilità estremamente positiva nella decisione del presidente De Pascale di sfilarsi dal trio che nel 2018 siglò le preintese: la presentazione di una petizione prima, di una legge di iniziativa popolare ha contribuito a quel risultato che ha coinvolto migliaia di cittadine/i di quella regione. Calderoli va avanti, nonostante la sentenza 192/24 della Consulta. Noi continueremo intransigentemente ad opporci, invitando i presidenti di regione a non fare un solo passo avanti nella stipula delle intese.

Al momento Lazio, Lombardia e Campania hanno iniziato la raccolta firme; sono in procinto di farlo Piemonte, Toscana, Marche, Puglia, Calabria. I progetti immediati sono 5 sì ai referendum e una montagna di firme da consegnare entro l’inizio dell’autunno. Rimettere al centro la dignità del lavoro, diritti sociali e civili estesi il più rapidamente possibile a chi contribuisce allo sviluppo del paese; combattere l’attacco che questo governo sta portando avanti ai diritti fondamentali attraverso formule bugiarde e ammiccanti – come la “sicurezza”; rispettare la memoria dei caduti della silenziosa guerra delle morti sul lavoro; pretendere che i Sud del Paese non continuino a sprofondare grazie all’ingordigia dei Nord: questi i precisi doveri di chi non consente e non consentirà alcuna restrizione degli spazi di partecipazione. Con Gaza nel cuore.

28/05/2025

da Il Fatto Quotidiano

Marina Boscaino

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