Gli Usa cominciano, almeno nelle dichiarazioni, a prendere le distanze da certi atteggiamenti del governo israeliano. Gli analisti del Dipartimento di Stato attribuiscono alle provocazioni della sfera politica ebraica più estremista, le turbolenze di piazza che stanno mettendo in crisi i già precari equilibri sociali israeliani. A Washington sono convinti che qualcuno a Tel Aviv si diverta a soffiare sul fuoco. Forse, ai vertici del potere dello Stato ebraico, c’è chi ritiene che un allargamento del conflitto possa servire gli interessi di un gruppo e non quelli del Paese.
La disumanità aggressiva oltre il troppo
Dopo gli avvertimenti lanciati dal portavoce della Casa Bianca, John Kirby, sulla necessità assoluta di mettere termine ai combattimenti di Gaza, ieri nuovo scontro (indiretto) tra americani e israeliani. Dall’ambasciatore Usa, Jack Lew, un comunicato di fuoco per condannare un violento attacco portato da un’armata di coloni (pare più di cento) a Jit, un tranquillo villaggio palestinese della Cisgiordania. Secondo quanto scrive Haaretz, “i coloni hanno aperto il fuoco sui residenti palestinesi, incendiando veicoli e case e lanciando pietre”. Ci sono stati un morto e un paio di feriti. L’esercito israeliano, che avrebbe dovuto fermare gli estremisti, è arrivato dopo un’ora e come scrive Haaretz, citando dei testimoni, “ha lasciato fare”. Insomma, i soldati complici con gli assalitori, tanto è vero che c’è stato un solo arresto. Una persona, tra l’altro, subito rilasciata dopo la mattanza. Questa volta, però, i coloni hanno veramente esagerato. E l’ambasciatore Lew, che evidentemente deve aver ricevuto dal Dipartimento di Stato il segnale per reagire, si è detto “inorridito per l’attacco” e ha chiesto “che i criminali siano chiamati a rispondere delle loro azioni”.
Indignazione Usa e il ministro criminale
Per fortuna, Lew non aveva ancora sentito il commento, sui fatti di Jit, espresso dal Ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir. Il bellicoso esponente politico di “Potere ebraico”, semplicemente si è scagliato contro l’esercito israeliano, colpevole, a suo dire, di non avere il coraggio di sparare “ai palestinesi che tirano le pietre”. Per questo, sostiene cotanto delirante personaggio, i coloni poi vanno a farsi giustizia da soli. Messo alle strette dalla reazione americana, anche Netanyahu ha condannato l’accaduto e ha promesso severe punizioni. La stessa cosa ha fatto Benny Gantz, leader del Partito di Unità Nazionale, che ha parlato di gente “che mina i principi dell’ebraismo”. A sorpresa, forse fiutando il clima sfavorevole, pure il “duro” Bezalel Smotrich, il Ministro delle Finanze supporter di tutti gli estremismi, ha criticato la violenza dei coloni. Nel frattempo, i rapporti tra la Casa Bianca e il governo israeliano vanno avanti a scossoni, influenzati dalle vicende di politica interna nei rispettivi Paesi.
L’America che arma ora almeno critica. Europa?
In questi ultimi giorni poi, dopo le polemiche seguite alle continue provocazioni fatte dai ministri dell’area messianico-nazionalista, gli americani sono diventati, almeno a parole, pesantemente critici verso Netanyahu. Certo, le chiacchiere non cambiano nulla, visto che la strategia di riarmare fino ai denti gli israeliani continua imperterrita. Ma i toni, almeno nel clima delle relazioni internazionali, qualcosa contano. E di questi tempi Washington comincia ad alzare la voce. Dunque, anche questa volta, come abbiamo visto proprio nella fase più delicata dei colloqui di Doha per il cessate il fuoco, i coloni della Cisgiordania sono partiti all’attacco dei residenti palestinesi. È una storia vecchia, ignobile e fin qui abbondantemente digerita dall’Amministrazione Biden (e dall’Unione Europea) che a parte qualche flebile lamento d’ordinanza, e pochi spiccioli di sanzioni (a un paio di malandati estremisti) non ha fatto registrare nessuna “incrollabile” presa di posizione. Ma adesso tira un vento diverso. Vento di elezioni presidenziali americane e il galateo del “buon candidato” esige un minimo di reazioni equanimi. Se no, che mediatori si sarebbe?
Estremismi messianico nazionalisti fin’ora nascosti
Così, detto fatto, gli ordini partiti dalla Casa Bianca e dal Dipartimento di Stato sono quelli di censurare, col pugno di ferro, le “prodezze” dei bellicosi coloni contro i palestinesi dei Territori occupati. Diventati gli agnelli sacrificali di un confronto impari, dove estremisti assatanati da un suprematismo ottuso vanno a caccia di agricoltori, pastori e operai, che hanno il solo torto di essere arabi, per farli scappare. Dalle loro terre. E, mano a mano che si guastano i rapporti tra Biden e Netanyahu, cominciano a venire a galla storie truculente sull’occupazione israeliana, che prima (chissà perché) difficilmente arrivavano sulla stampa internazionale.
È di qualche giorno fa un report sconvolgente, pubblicato dal prestigioso giornale The NewYorket, che si occupa del trattamento dei prigionieri palestinesi nelle galere israeliane. Isaac Chotiner spiega con crudezza fatti e circostanze che lasciano sconcertati, ma che soprattutto inducono pesanti e dolorose riflessioni sulla compatibilità di un sistema democratico con le proclamate necessità di “sicurezza dello Stato”.
Certo, è un dilemma lacerante da risolvere in determinati “turning point” della storia, ma comunque sempre da affrontare e mai da narcotizzare. Perché una grande democrazia rimane tale anche e soprattutto nel momento del pericolo.
17/08/2024
da Remocontro