06/09//2025
da Lettera 43
ll governo di Netanyahu nega l'emergenza nella Striscia. Ma indicatori come la grave carenza di cibo, la malnutrizione acuta tra i bambini e la mortalità, confermati da Who/Fao/Wfp/Unicef, certificano la catastrofe in atto. E il diritto internazionale umanitario vieta l’uso della fame dei civili come metodo di guerra. La macchina negazionista di Tel Aviv è sbugiardata.
La carestia a Gaza non è un’opinione. Il 22 agosto 2025 la rete Ipc (Integrated Food Security Phase Classification) ha confermato la sua esistenza a Gaza City, attestando il superamento delle tre soglie tecniche: consumi alimentari estremamente insufficienti (almeno una famiglia su cinque si trova ad affrontare una grave carenza di cibo), malnutrizione acuta del 30 per cento o più tra i bambini e mortalità che è arrivata a toccare e superare la soglia delle due vittime ogni 10 mila persone al giorno. L’Organizzazione mondiale della sanità (Who), l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), il World Food Programme (Wfp) e l’Unicef hanno sostenuto l’analisi e ne hanno chiesto la conseguenza più semplice e più difficile: accesso umanitario reale. Mentre i numeri salgono, l’apparato politico-diplomatico israeliano nega. È il paradosso di queste settimane: la scienza dei dati contro l’ingegneria del dubbio.
Tre soglie ben definite: catastrofe, emergenza, crisi
La parola “carestia” è una soglia giuridico-operativa, non un aggettivo. L’Ipc decide su base multi-fonte e con la revisione di un comitato indipendente, il Famine Review Committee. Le tre soglie sono note, pubbliche, ripetibili. Il 22 agosto la fotografia è stata netta: centinaia di migliaia di persone in Fase 5 (Catastrophic) nell’area di Gaza City, oltre un milione in Fase 4 (Emergency) e un’ulteriore fascia in Fase 3 (Crisis), con previsione di estensione verso Sud nelle settimane successive.
Collasso dei servizi essenziali e distruzione del tessuto agricolo
«Le condizioni per dichiarare una carestia sono state soddisfatte», recita la nota tecnica congiunta Who/Fao/Wfp/Unicef, che collega l’esplosione della fame a tre fattori concatenati: ostacoli all’accesso umanitario, collasso dei servizi essenziali, distruzione o inaccessibilità del tessuto agricolo. Nel dossier sanitario diffuso il giorno stesso, Who e Unicef segnalano un picco storico di malnutrizione acuta infantile: oltre 12 mila bambini identificati in un mese, incremento dei casi Sam (severe acute malnutrition), nascite premature e sotto-peso in aumento.
Camion bloccati, i lanci aerei non colmano il fabbisogno
La cronologia aiuta a capire la responsabilità: il 15 marzo 2024 l’Ipc annunciava il pericolo di carestia imminente al Nord «entro maggio» se non fosse migliorato l’accesso; il 29 luglio 2025 l’allerta si era fatta stringente («due soglie già superate»); il 22 agosto la carestia è stata infine confermata. Da allora la curva non è più scesa. Il cibo che non arriva si misura anche a ruote: Wfp e l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha) ricordano che servono 500-600 camion al giorno; nei mesi estivi gli ingressi effettivi sono stati molto inferiori, spesso poche decine o poco più di un centinaio al giorno, con periodi di sospensione, rifiuti per motivi burocratici, ritardi ai varchi e restrizioni di sicurezza. I lanci aerei non colmano il fabbisogno: costano, coprono poco, dipendono dal vento e dall’orografia urbana; sono l’eccezione, non la soluzione. È aritmetica, non propaganda.
Le agenzie Onu ribadiscono che la classificazione è «tecnica»
Alla conferma della carestia, la macchina della comunicazione israeliana ha risposto con un doppio binario. Primo: delegittimare il misuratore. Il ministero degli Esteri ha definito l’analisi Ipc «politica travestita da scienza», chiedendo una ritrattazione e mettendo in dubbio metodologia e integrità. L’Ipc ha replicato punto per punto: soglie immutate, procedure di verifica rispettate, fonti plurime e indipendenti. Lo hanno ribadito le agenzie Onu: la classificazione è «tecnica» e segue standard consolidati.
Clip di ristoranti montate ad arte dalla propaganda israeliana
Secondo binario: cambiare cornice visiva. In parallelo, canali istituzionali e media alleati hanno rilanciato clip di ristoranti, mercati, vetrine “piene” come prova che «a Gaza non c’è fame». Una parte della stampa israeliana ha documentato il piano di comunicazione che seleziona e amplifica immagini di “normalità”. Le redazioni di fact-checking internazionali hanno smontato la tesi: France24 Observers ha verificato video e post, ricostruendo aperture intermittenti, menù ridotti, prezzi proibitivi, clientele ristrettissime, spesso in quartieri meno colpiti o in giorni eccezionali. Niente, in quelle immagini, confuta gli indicatori quantitativi di carestia. Al contrario, li spiega: anche in una carestia esistono “isole di offerta” che non sono accessibili alla maggioranza.
Il dispositivo retorico è collaudato. Ma esistenza non è sinonimo di accessibilità. L’Ipc non misura se un bar ha alzato la serranda, ma quanti riescono a nutrirsi in rapporto a prezzi, redditi, sicurezza. La fame è strutturale quando il paniere minimo è fuori portata: monetaria, fisica, sanitaria. Qui si aggiunge un fattore ulteriore: il collasso dei servizi (acqua, energia, sanità) che rende inutile anche il poco cibo disponibile. «La misurazione della carestia è area-basata», spiegano i manuali Ipc: fotografie di eccezioni non falsificano la regola.
Vietato l’uso della fame dei civili come metodo di guerra
L’Ocha descrive un quadro di accessi a singhiozzo: varchi Kerem Shalom e Zikim soggetti a coordinamento discrezionale, lunghe attese, convogli respinti per presunte non conformità, cambi di itinerario all’ultimo. Il Wfp segnala che anche nei giorni “buoni” il flusso non si avvicina ai 500-600 camion richiesti. Intanto i prezzi esplodono: in economia di guerra e di blocco il mercato diventa una lotteria di sopravvivenza. È qui che la carestia si fa giuridica: il diritto internazionale umanitario vieta espressamente l’uso della fame dei civili come metodo di guerra (Protocollo aggiuntivo I, art. 54; consuetudine Icrc).
Lo Statuto di Roma qualifica come crimine di guerra «l’uso intenzionale della fame… anche impedendo i soccorsi» (art. 8(2)(b)(xxv)). Nelle sue comunicazioni più recenti, l’Ufficio del procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) ha richiamato proprio questa fattispecie tra i possibili capi d’accusa. Anche il Consiglio di sicurezza dell’Onu, riunito a fine agosto, ha definito la carestia a Gaza «una crisi provocata dall’uomo», richiamando gli obblighi di facilitazione degli aiuti.
Mortalità evitabile per malattia e mancanza di cure
Il capitolo più sporco è quello della mortalità evitabile. La carestia non uccide solo per assenza di calorie: uccide attraverso la malattia e la mancanza di cure. Who e Unicef hanno registrato un incremento di infezioni, disidratazione, nascite pretermine, complicanze ostetriche e neonatali che diventano letali in ospedali senza farmaci, senza incubatrici, senza elettricità. La morte, in carestia, è sistemica. È questo che i video di un locale aperto non mostrano: il resto della città.
Il contro-esempio aneddotico per annullare la serie statistica
La propaganda lavora sull’intuizione più semplice: se vedo piatti serviti, allora la fame è una menzogna. È un sofisma. Anche nelle crisi peggiori restano poche nicchie di disponibilità, spesso alimentate da aiuti privati, rimesse, speculazione o scorte. Ma il parametro dell’emergenza alimentare non è il piatto di qualcuno: è la possibilità per la maggioranza di accedere a cibo sufficiente e sicuro. France24 Observers documenta che i locali citati come “prova” sono inaccessibili alla quasi totalità della popolazione: prezzi fuori scala, materie prime sostituite, aperture saltuarie. Il giornale israeliano progressista Haaretz ha ricostruito la selezione e il rilancio istituzionale di queste immagini: servono a spostare la cornice dal numero al frame. L’effetto è cinico: si pretende che un contro-esempio aneddotico annulli una serie statistica certificata.
Ribadita la robustezza metodologica delle stime
Nel frattempo la macchina del dubbio attacca le fonti. Alla richiesta israeliana di ritirare il report, l’Ipc ha risposto che non ha abbassato alcuno standard e che le valutazioni sono state validate dal Famine Review Committee. Le agenzie Onu hanno ribadito la robustezza metodologica delle stime. Non è un derby di opinioni: è un processo tecnico che attribuisce responsabilità operative. L’alternativa è semplice e scomoda: o si rimuovono gli ostacoli all’accesso, o si accetta l’aumento della mortalità.
Servono corridori sicuri e volumi giornalieri adeguati
C’è una frase che conviene incidere nell’incipit e nel finale: «L’uso della fame dei civili come metodo di guerra è vietato». Non è un hashtag; è diritto positivo. Il combinato disposto tra Protocollo I e Statuto di Roma rende giudicabile ciò che oggi viene negato nelle conferenze stampa. La carestia confermata dall’Ipc trasforma la discussione: non è più un dibattito sull’esagerazione o il montaggio di clip, ma un tema di responsabilità e adempimenti. Il Consiglio di sicurezza Onu, a fine agosto, ha parlato chiaro; l’Ufficio del procuratore della Cpi ha indicato la rotta; le agenzie umanitarie hanno elencato ciò che serve: corridori sicuri, volumi giornalieri adeguati, stop alle restrizioni arbitrarie, ripristino dei servizi minimi. Tutto il resto è cornice.
Le immagini selezionate dagli israeliani non cambiano la realtà
Per chi scrive, l’obbligo è blindare il racconto. Le date: 15 marzo 2024 (allerta), 29 luglio 2025 (due soglie superate), 22 agosto 2025 (carestia confermata). I criteri: consumi, malnutrizione, mortalità. I volumi: 500-600 camion al giorno necessari, ingressi molto inferiori. Le fonti: Ipc/Who/Fao/Wfp/Unicef, Ocha/Wfp, Who/Unicef per la salute, Haaretz e France24 Observers per la propaganda dei ristoranti, Statuto di Roma e Icrc per il diritto. E una regola di igiene mentale: davanti a una carestia certificata, un locale aperto non è una confutazione, è una scena dentro un disastro. «La carestia a Gaza è una crisi provocata dall’uomo», hanno detto 14 Paesi su 15 al Consiglio di sicurezza Onu. Le immagini selezionate non cambiano quella frase. Gli aiuti che passano e quelli che non passano, sì.