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Confische di terre, incendi e raid aerei: è il fronte Cisgiordania

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Israele/Palestina L’ultradestra di governo accelera l’annessione totale, i coloni assaltano i villaggi palestinesi dopo l’attacco armato di lunedì. A Gaza l’aviazione non dà tregua. L’Onu: «Punto di rottura» nella distribuzione degli aiuti umanitari

Se si dovesse scegliere un’immagine per spiegare cosa significa occupazione militare basterebbe guardare alle saracinesche di quel tratto di Shuhada Street, a Hebron, che guarda alla Moschea di Abramo. Dietro quelle saracinesche ci sono negozietti di souvenir e di artigianato locale: kefieh della locale fabbrica Hirbawi, ceramiche colorate, borse di pelle, bicchieri di vetro soffiato. Dal 7 ottobre 2023 di saracinesche se ne alza soltanto una: è quella di proprietà di una famiglia di coloni israeliani, parte del «contingente» di 1.200 settler che da decenni occupano intere palazzine nella città vecchia di Hebron.

LE ALTRE SONO tutte chiuse con un lucchetto dell’esercito israeliano: dopo i primi mesi di coprifuoco imposto dopo il 7 ottobre ai soli palestinesi, senza nessun ordine ufficiale da 15 mesi gli è vietato aprire i propri negozi e lavorare. Mohammed ne ha ereditato uno dal papà Abed, morto di infarto due anni fa. «Ora faccio la guardia in ospedale – ci dice Mohammed – Il negozio è morto. L’unico autorizzato a restare aperto è quello dei coloni».

Mohammed vive al piano di sopra con la sua famiglia. Qualcuno di loro rimane sempre a presidiarla: hanno paura di ritrovarsela occupata. «Con Ben Gvir (il ministro della sicurezza nazionale, ndr), è aumentato ancora il livello di violenza: i coloni girano tutti armati, ci aggrediscono per strada».

Itamar Ben Gvir risiede a poche centinaia di metri da Shuhada Street, nella più antica colonia israeliana, nata un anno dopo la guerra dei sei giorni del 1967: Kiryat Arba. «A Hebron lo conosciamo da anni, dal Protocollo di Hebron del 1995 – ci racconta l’analista e attivista per i diritti umani Hisham Sharabati – Rilasciava interviste davanti ai poster celebrativi di Baruch Goldstein». L’autore del massacro di 29 palestinesi in preghiera nella Moschea di Abramo (25 febbraio 1994) era un membro del movimento suprematista e razzista di Meir Kahane, come del resto lo stesso Ben Gvir.

In trent’anni un’ideologia che l’Israele dell’epoca aveva messo al bando oggi è maggioranza di governo. L’annessione della Cisgiordania e la supremazia ebraica non sono più sottesi, sono il discorso ufficiale. Lo si è visto di nuovo in questi giorni, con strumenti diversi che agiscono in parallelo.

Lunedì Tel Aviv ha ordinato la confisca di 262 dunam di terre palestinese a est di Gerusalemme (nei villaggi di Jaba’, Al-Ram, Kafr Aqab e Mikhmas) per poterci costruire un’altra bypass road, una strada a uso esclusivo dei coloni. Quei 262 dunam di terra (26 ettari) si aggiungono agli oltre 24mila già confiscati ai proprietari palestinesi nel 2024, un record: è di più di quanto confiscato da Israele nei 25 anni precedenti.

UNA SOTTRAZIONE costante di terre e case (12mila le strutture demolite in Cisgiordania dal 2009, con un nuovo record toccato nel 2024 con 1.763 distruzioni, secondo i dati Onu) che trova la sua ragion d’essere negli obiettivi politici dell’ultradestra: ieri il ministro delle finanze Smotrich è tornato a chiedere «un’operazione di ampia scala» in Cisgiordania, in stile Gaza.

L’identico desiderio del movimento dei coloni, che pensano e operano in simbiosi con il governo: Ozal Vatik, capo del consiglio comunale dell’outpost illegale di Kedum, in risposta all’uccisione di tre israeliani nel villaggio palestinese di Funduq, ha fatto appello a «un cambiamento di approccio: Israele è il sovrano e come tale deve comportarsi. Deve trattare Tulkarem e Funduq come Jabaliya».

Anche usando i jet da guerra, come ieri a Tammun, sud di Tubas, dove l’esercito israeliano ha ucciso due palestinesi, di cui un adolescente, mentre a Nablus forze speciali sotto copertura hanno ucciso fuori dalla sua casa Jaafar Ahmed Dababshe, ex prigioniero e membro di Hamas. Nella notte sono stati i coloni a replicare i loro ormai brutali assalti terroristici, dando fuoco ad auto e case e distruggendo campi agricoli (protetti dai militari) a Funduq, Hajja, Farata e Immatin.

Le bombe sono cadute, come ogni giorno da 15 mesi, con una ferocia decisamente maggiore su Gaza, dal capoluogo ai campi di Nuseirat e Shati fino alle tende di Khan Younis. Tra le vittime anche un operatore umanitario: era stato colpito il giorno prima in un raid israeliano su un centro di distribuzione degli aiuti, gestito dal World Food Programme che domenica si era già visto bombardare tre camion.

UNO SCHEMA palese e senza soluzione di continuità che ieri ha costretto le Nazioni unite a una nuova disperata denuncia: la consegna di cibo e medicine a Gaza è giunta a un «punto di rottura», stretta tra i raid mirati israeliani e i saccheggi da parte di gang organizzate, aiutate nel loro «compito» dall’assenza di corpi di polizia (decimati) e dalla permissività interessata dell’esercito israeliano.

«Jabaliya, Beit Hanoun e Beit Lahiya (nel nord di Gaza, ndr) sono sotto totale assedio israeliano – scriveva ieri la giornalista Hind Khoudary da Deir al-Balah – Nessuno può raggiungere l’area, sappiamo che ci sono palestinesi in trappola e impossibilitati ad andarsene, senza cibo, acqua, medicine».

A Doha intanto prosegue il negoziato indiretto tra Hamas e Israele. I team dei presidenti Usa, l’uscente Biden e l’entrante Trump, ieri si dicevano piuttosto ottimisti, vicini a un accordo. «Speranze» che non trovano conferma nelle delegazioni del governo israeliano e del movimento islamico.

08/01/2025

da il Manifesto

Chiara Cruciati

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