Il segretario socialista assassinato dai sicari di Mussolini, di fronte al profilarsi della prima guerra mondiale, aveva scritto testi che sono attualissimi in un momento storico come questo in cui l'Europa non riesce a proporre una via diplomatica che risolva la guerra in Ucraina
Nel centenario dell’assassinio, si sono sviluppate in tutt’Italia diverse iniziative per commemorare la figura di Giacomo Matteotti, culminate nella celebrazione ufficiale alla Camera alla presenza del presidente del Consiglio e del capo dello Stato. Il rischio sempre imminente nelle celebrazioni è quello di imbalsamare la memoria e relegare la testimonianza di Matteotti nell’archivio delle cose passate. Dei vari profili che hanno intersecato l’avventura umana e politica di Giacomo Matteotti, ce n’è uno che non può essere archiviato e disturba ancora oggi la nostra navigazione politica, il ripudio della guerra, la battaglia intransigente condotta contro la Grande guerra, considerata un male ingiustificabile, e contro il militarismo e il nazionalismo che l’avevano prodotta. Ripudio testimoniato energicamente con i suoi scritti e i suoi discorsi appassionati.
Il liberale Piero Gobetti così lo ricordava: «Matteotti parlò contro la guerra. Ripeté il suo discorso, anche quando non c’era più pacifista che parlasse. Conviene mettere a confronto l’esempio di Matteotti pacifista con la condotta degli uomini tipici del pacifismo italiano, pavidi e servili per non essere presi di mira. Matteotti non disertava, non si nascondeva, accettava la logica del suo sovversivismo, le conseguenze dell’eresia e dell’impopolarità: era, contro la guerra, un combattente generoso».
Su Critica sociale nel febbraio 1915 Matteotti scriveva: «Il Partito socialista ha il dovere di opporsi continuamente alla guerra, e al suo strumento e creatore, il militarismo, e vota contro le spese militari». Sul giornale La nostra lotta: «Quando a paladini della patria si ergono i clerico moderati, i nazionalisti, i militaristi, cioè tutti coloro che necessariamente si contrappongono all’idealità socialista, e si servono anzi a tale scopo dello straccetto patriottico – allora noi insorgiamo anche contro la patria».
Fra il 1914 è il 1915 oltre alle pubbliche prese di posizione in seno al consiglio provinciale in cui sostiene con determinazione la neutralità assoluta, Matteotti chiarisce da subito la sua concezione di patriottismo secondo la quale è la pace il vero bene della nazione e sostiene la sua radicale contrarietà alla guerra come strada per l’affermazione brutale di una patria sulle altre. Nello scritto Guerra di difesa ottobre 1914 afferma: «Quando la classe borghese parla di invasioni e minacce della patria noi gridiamo abbasso la vostra patria poiché la storia dimostra nulla esservi più facile che la finzione di assaliti quando si è assalitori, di invasi quando si vuole invadere e ogni esercito è un organo che richiede necessariamente la funzione di distruggere attaccare uccidere».
L’esplosione dei nazionalismi che aprì la strada all’abisso della grande guerra, investì il movimento socialista internazionale che ne fu travolto. I partiti socialisti europei si piegarono al nazionalismo e aprirono la strada alla discesa agli inferi della guerra.
Matteotti non si piegò, non ripudiò il principio della fratellanza fra i popoli, fulcro degli ideali socialisti, per abbracciare la febbre nazionalista che agitava tutte le piazze europee e spingeva i partiti socialisti a conformarsi e ad abiurare la propria fede. Nel socialismo italiano fu sempre un intransigente oppositore alla guerra, da lui percepita nella sua dimensione reale come evento disumano.
Scriveva nel 1915: «Una neutralità assoluta che fosse imposta al governo dal partito socialista avrebbe in questo momento un effetto immediato sull’internazionale di tutto il mondo, ne segnerebbe la rinascenza più florida. Ogni proletariato degli altri Stati saprebbe finalmente di avere nel proletariato italiano il fratello pronto a impedire la strage. Il gesto di Liebknecht diventerebbe l’azione potente di una massa e una nuova coscienza utile di forza pervaderebbe gli animi di tutto il mondo».
Il 2 dicembre 1914 Karl Liebknecht era stato l’unico parlamentare socialista tedesco a votare contro i crediti di guerra. Matteotti esaltò la scelta di Liebknecht e condivise in pieno la stessa visione manifestata da Rosa Luxemburg nelle sue lettere dal carcere.
Scriveva Rosa Luxemburg in una lettera alla redazione del Labour Leader a Londra nel dicembre 1914:
«Ciò che sarebbe più terribile per il futuro del socialismo, sarebbe vedere i partiti operai dei diversi Paesi decidersi ad adottare la teoria e la pratica borghesi, secondo le quali sarebbe del tutto normale ed inevitabile che i proletari delle differenti nazioni si scannino a vicenda durante la guerra, per ordine delle loro classi dominanti, per poi dopo la guerra di nuovo scambiarsi come se niente fosse abbracci fraterni. (..) Questo spaventoso massacro reciproco di milioni di proletari al quale assistiamo attualmente con orrore, queste orge dell’imperialismo assassino che accadono sotto le insegne ipocrite di “Patria” di “civiltà”, “libertà”, “diritto dei popoli” e che devastano città e campagne, calpestano la civiltà, minano alle basi la libertà e il diritto dei popoli rappresentano un tradimento clamoroso del socialismo».
Nel maggio del 1915 Matteotti scrisse: «Noi non auguriamo e non desideriamo la vittoria di nessuno, chiunque dei due grandi aggruppamenti dovesse vincere, vi sarà un popolo vinto che preparerà la rivincita per domani, e quindi nuove guerre e vi saranno vincitori che domineranno su città su campagne di nazionalità differente con la scusa della civiltà superiore, con la scusa del confine da arrotondare, eccetera. Noi desideriamo piuttosto che tutti e due gli avversari si esauriscano, non vincano; allora soltanto forse questa potrebbe essere l’ultima guerra, per i suoi stessi errori, per la sua stessa inutilità. Quindi non abbiamo scrupoli sulla coscienza, essi servirebbero soltanto a ungere le ruote del militarismo, del nazionalismo, del clericalismo; noi siamo partigiani e ora più che mai nella grande crisi sentiamo il dovere di irrigidirsi nei nostri principi» (“Scrupoli di coscienza”, in La Lotta).
Sono parole profetiche, Matteotti comprendeva che il miraggio della vittoria, che alimentava entrambi gli schieramenti era un mito ingannevole e pernicioso. La vittoria di uno schieramento su un altro non avrebbe portato beneficio a nessuno. L’umiliazione dei vinti avrebbe aperto la strada al desiderio di rivincita e a nuovi conflitti, come poi avvenne. Anche i Paesi usciti vincitori dal conflitto come l’Italia non riuscirono a superare il trauma generato dai lutti e dalle sofferenze enormi provocate dalla Grande guerra. La “vittoria” si rivelò come un bidone vuoto, per cui il fascismo ebbe facile gioco a cavalcare il malessere collettivo inventando il mito della “vittoria tradita”. Questa concezione di Matteotti che apre gli occhi sugli effetti nefasti della vittoria conseguita con le armi a danno dei popoli vinti, è diventata di estrema attualità, se pensiamo a quello che sta succedendo in Europa in questo momento, dove l’obiettivo consacrato nei vertici europei e nei proclami del Parlamento europeo è quello di perseguire la vittoria, costi quel che costi. In particolare nell’ultima Risoluzione del Parlamento europeo del 29 febbraio 2024 si argomenta che: «l’obiettivo principale è che l’Ucraina vinca la guerra contro la Russia, il che comporta l’allontanamento di tutte le forze russe e i loro associati e alleati dal territorio ucraino riconosciuto a livello internazionale; ritiene che tale obiettivo possa essere conseguito solo attraverso la fornitura continua, sostenuta e in costante aumento di tutti i tipi di armi convenzionali all’Ucraina».
Di fronte ad una “guerra di attrito” come fu la Prima guerra mondiale, la preoccupazione dei leader europei non è quella di arrestare la carneficina, far cessare lo spargimento di sangue spingendo le parti ad un negoziato, al contrario la parola negoziato è bandita, l’unica soluzione prevista è quella che si deve ottenere per via militare, attraverso l’incremento della fornitura delle armi, cioè l’escalation.
Stolti, direbbe Matteotti, la Storia non vi ha insegnato niente!
Il 5 giugno 1916 Matteotti partecipava come consigliere alla pubblica adunanza del consiglio provinciale di Rovigo ed avendo un altro consigliere proposto che una determinata somma stanziata dall’amministrazione provinciale a favore dei comitati di assistenza civile fosse erogata a favore degli abitanti dell’alto vicentino rifugiati anche in provincia di Rovigo causa offensiva austriaca, Matteotti intervenne con irruenza pronunziando queste frasi, che diedero luogo ad un tumulto: «Abbasso la guerra; questa è una guerra nefasta da noi socialisti ufficiali non voluta; siete degli assassini e dei barbari».
Fu denunziato e condannato dal Pretore di Rovigo il 5 luglio 1916 alla pena di 30 giorni di arresto per grida sediziose (contravvenzione all’articolo 3 della legge sulla pubblica sicurezza 30 giugno 1889 numero 6141). Il tribunale di Rovigo confermò la condanna con sentenza del 18 Aprile 1917. La Cassazione annullò la condanna senza rinvio con sentenza del 31 luglio 1917.
Nella sua autodifesa Matteotti ribadì le motivazioni dell’avversione alla guerra mondiale giudicandola contraria ai principi di cooperazione e collaborazione fra i popoli nei quali credeva affermando di essere favorevole a un’insurrezione popolare pur di fermare la partecipazione italiana al conflitto.
Dopo la guerra Matteotti, in coerenza con la sua fede internazionalista, si oppose all’umiliazione dei vinti e condannò Mussolini per l’appoggio dato alla Francia riguardo all’occupazione della Rhur. In un articolo su La Giustizia del 1923, così si esprime:
«[L’internazionale socialista dovrà] tentare o favorire ogni iniziativa che dirima i conflitti tra i popoli, li associ con vincoli pacifici, eviti o faccia cessare le opposte violenze e minacce. Dovrà favorire il formarsi di una vera Lega delle Nazioni, e più immediatamente degli Stati Uniti d’Europa, che si sostituiscano alla frammentazione nazionalista in infiniti piccoli Stati turbolenti e rivali».
Si è detto che i principi fondamentali della Costituzione sono stati scritti sotto dettatura della Storia. Non v’è dubbio che nel principio pacifista-internazionalista risuoni l’eco della coraggiosa battaglia di Matteotti contro la barbarie della Prima guerra mondiale e contro i nazionalismi che oggi hanno rialzato la testa e portano le Patrie di nuovo a combattersi, l’un contro l’altra armata.
L’autore: Domenico Gallo è magistrato, presidente di sezione emerito della Corte di Cassazione
01/08/2024
da Left