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Contro lo sfruttamento nei campi, un numero minimo di lavoratori

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CAPORALATO. L’esperienza fatta in questi anni nel settore dell’edilizia potrebbe venire in soccorso ed essere, con i necessari aggiustamenti, riproposta per il settore agricolo

La drammatica vicenda di Satnam Singh, il bracciante morto qualche giorno fa a Latina, ci ha sbattuto in faccia una semplice verità: nell’epoca dell’intelligenza artificiale vi sono ancora vaste aree dell’economia italiana che generano profitti sfruttando in modo barbaro lavoratrici e lavoratori. Le parole del presidente Mattarella esprimono meglio di altre lo sdegno e la rabbia di molti, ma purtroppo, temo, non di tutti.

Ma lo sdegno non basta e se giustamente è stato da molti invocato il pieno rispetto e applicazione della legge 199/2016 contro il caporalato (che ha inasprito pene e individuato strumenti contro chi beneficia dello sfruttamento), agire esclusivamente la repressione, come è evidente, non è sufficiente. Serve una radicale e al contempo semplice scelta, normativa e di modello economico, volta a prevenire tutto ciò, distinguendo alla radice le imprese serie che rispettano leggi e contratti, e i malfattori.

L’esperienza fatta in questi anni nel settore dell’edilizia potrebbe venire in soccorso ed essere, con i necessari aggiustamenti, riproposta per il settore agricolo.

Mi riferisco al Durc di Congruità, introdotto con Decreto 143 dal Ministro del Lavoro, Andrea Orlando, nel 2021 recependo l’accordo tra tutte le associazioni datoriali del settore (Ance, Cooperative, Artigiani, Confapi) e sindacati edili.

In meno di tre anni, il Durc di Congruità (che altro non è che una certificazione – obbligatoria per tutti i lavori edili pubblici indipendentemente dall’importo e per tutti i lavori privati di valore superiore ai 70mila euro – che indica, per i diversi tipi di lavori da fare e per i vari importi, un numero minino, «congruo» appunto, di lavoratori da denunciare) ha certificato (dati Cnce) oltre 40,6 miliardi di euro di lavori e oltre 270mila cantieri, individuando circa duemila imprese irregolari (a fronte di decine di migliaia regolari).

Risultato: l’emersione indotta di 100mila lavoratori prima totalmente o parzialmente sconosciuti a Inps, Inail e fisco (con vantaggi per tutti anche per le ristrette disponibilità finanziarie dello Stato).

E allora perché, come chiesto anche dalla Cgil proprio il giorno della manifestazione a Latina, sabato scorso, non replicarlo nel settore agricolo? Soprattutto perché non farlo di fronte al fatto che già, in tutte le regioni, vengono periodicamente redatte delle tabelle (dette «ettaro colturali») che, per ogni tipo di coltivazione (grano, fragole, pomodori…), per ogni tipo di terreno (pianeggiante, collinare, montuoso), valutando anche i diversi macchinari, individuano un numero minimo di ore/lavoro per ettaro?

Si, perché questi dati ci sono, simulazioni ed indicatori anche, ma questi sono oggi usati per accedere ad alcuni sgravi (come il gasolio) o per distinguere un agriturismo da un B&B, ma non per certificare la regolarità (o se vogliamo la congruità) di un’impresa agricola.

Basterebbe, con tutti gli accorgimenti del caso e coinvolgendo i sindacati dei lavoratori agricoli, adattare questi indicatori e porre l’obbligo (come è in edilizia) che per vendere i prodotti della terra, così come sono o trasformati, essi devono provenire da imprese agricole in regola con «il Durc di congruità agricolo».

Trattando i venditori (mercati o grandi supermercati che siano) o i trasformatori (Barilla, Ferrero, Cirio, per esempio) come in edilizia si trattano i committenti, ovvero sia imponendo loro di acquistare prodotti agricoli solo da aziende con il Durc di congruità agricolo, pena il sequestro della merce e la loro responsabilità in solido con multe e sanzioni.

Sarebbe una cosa facile ed immediata da fare che spezzerebbe ogni convenienza e che darebbe qualità (e prezzi più giusti) all’intera filiera, con un effetto di legalità e di emersione indiretta potentissimo. E sono certo, come è stato in edilizia, che tante imprese serie non avrebbero nulla da obiettare, anzi avrebbero tutta la convenienza a contrastare così forme di concorrenza sleale che spingono l’intero settore verso il basso.

Ecco una proposta concreta, cari ministri Calderone e Lollobrigida, che potreste fare vostra, coinvolgendo da subito i tanti bravi rappresentanti dei braccianti organizzati da Cgil, Cisl e Uil. Ecco un’iniziativa politica e parlamentare anche per le tante forze politiche in piazza sabato scorso, per dare continuità ad una battaglia in nome dei tanti, troppi sfruttati delle nostre campagne, stranieri e italiani, spesso anche donne. Certo non sarebbe la soluzione a tutti i problemi (a partire da quella trappola che incentiva illegalità e clandestinità – e quindi ricatto – chiamata legge Bossi-Fini) ma sicuramente un segnale nella direzione giusta. Quella di affrontare i problemi per quello che sono, senza voltarsi, per opportunismo o connivenza poco interessa, dall’altra parte.

*L’autore è il segretario generale della Fillea Cgil

26/06/2024

da Il Manifesto

Alessandro Genovesi*

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