08/12/2025
da Il Fatto Quotidiano
Il dossier sulle tangenti di Libera conta almeno 8 indagini al mese, con 1.028 persone indagate, quasi un raddoppio rispetto ai 588 dello scorso anno. I politici sotto inchiesta sono 53
The Italian job. È con il titolo preso in prestito da un film che investigatori e giornalisti in Belgio cominciano a rifersi alle inchieste per corruzione. Negli ultimi tempi, in effetti, quando in Unione europea si indaga per tangente a finire sotto inchiesta sono spesso cittadini italiani. Quasi che le mazzette siano diventate una prodotto tipico del Belpaese. Una tendenza confermata dal dossier Italia sotto mazzetta, preparato in vista della giornata della lotta alla corruzione del 9 dicembre. L’associazione fondata da don Luigi Ciotti ha censito le inchieste sulla corruzione dal primo gennaio al primo dicembre 2025, basandosi sulle notizie di stampa: ne ha contate ben 96 (erano 48 nel 2024), alla media di otto al mese, con il coinvolgimento di 49 procure in 15 regioni e 1.028 persone indagate, quasi un raddoppio rispetto ai 588 dello scorso anno.
Campania maglia nera
Le regioni meridionali con le isole primeggiano con 48 indagini, seguite da quelle del Centro (25) e del Nord (23). La Campania è “maglia nera” con 219 persone indagate, segue la Calabria con 141 e la Puglia con 110. La Liguria con 82 persone indagate è la prima regione del Nord Italia, seguita dal Piemonte con 80. I reati ipotizzato spaziano dalla corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio al voto di scambio politico-mafioso, dalla turbativa d’asta all’estorsione aggravata dal metodo mafioso. Ci sono mazzette in cambio di un’attestazione falsa di residenza per avere la cittadinanza italiana o per ottenere falsi certificati di morte. In altri casi le dazioni hanno facilitato l’aggiudicazione di appalti nella sanità, per la gestione dei rifiuti o per la realizzazione di opere pubbliche, la concessione di licenze edilizie, l’affidamento dei servizi di refezione scolastica. Ci sono scambi di favori per concorsi truccati in ambito universitario. E ancora, le inchieste per scambio politico elettorale e quelle relative alle grandi opere con la presenza di clan mafiosi.
53 politici sotto inchiesta
Da Torino a Milano, da Bari a Palermo, da Genova a Roma, passando per le città di provincia come Latina, Prato, Avellino, nel corso del 2025 risuona un allarme mazzette con il coinvolgimento di un migliaio di amministratori, politici (53), funzionari, manager, imprenditori, professionisti e mafiosi. Dall’analisi delle inchieste, ancora in corso e dunque senza un accertamento definitivo di responsabilità individuali, emerge una corruzione “solidamente” regolata, spesso ancora sistemica e organizzata, dove a seconda dei contesti il ruolo di garante del rispetto delle “regole del gioco” è ricoperto da attori diversi. Tra i 53 politici indagati (sindaci, consiglieri regionali, comunali, assessori) pari al 5,5% del totale degli indagati, 24 sono sindaci, quasi la metà. Il maggior numero di politici indagati sono in Campania e Puglia (13), seguite da Sicilia con 8, e Lombardia con 6. “Si tratta di un quadro sicuramente parziale, per quanto significativo, di una realtà più ampia sfuggente”, spiega Libera.
“Non è un’anomalia, ma un sistema”
“I dati che presentiamo ci parlano con chiarezza: la corruzione in Italia non è affatto un’anomalia, bensì un sistema che si manifesta in mille forme diverse, adattandosi ai contesti, riflettendo l’impiego di tecniche sempre più sofisticate. Da quelle più classiche (la mazzetta, l’appalto truccato, il concorso pilotato) fino a quelle ormai pressoché legalizzate, frutto di una vera e propria cattura dello Stato da parte di un’élite impunita: leggi e regole scritte su misura per i potenti di turno, conflitti di interesse tollerati, relazioni opache tra decisori pubblici e portatori di soverchianti interessi privati”, dice Francesca Rispoli, copresidente nazionale di Libera. “La questione – aggiunge – va molto al di là delle singole responsabilità individuali. Sono all’opera meccanismi che, se non svelati e contrastati, rischiano di consolidare un sistema di potere sempre più irresponsabile. Non basta invocare pene più severe, o attendere l’ennesima inchiesta giudiziaria, spesso destinata ad arenarsi in un nulla di fatto: occorre rinnovare un patto forte e lungimirante tra istituzioni responsabili e cittadinanza attiva. Da un lato, le istituzioni pubbliche consolidino i presidi di prevenzione e si dotino di strumenti efficaci di contrasto della corruzione, anziché delegittimarli e indebolirli come si è fatto negli ultimi anni. Dall’altro, la cittadinanza deve potenziare la capacità di far sentire la propria voce, investendo in una crescita della cultura della segnalazione, del monitoraggio civico, dell’impegno condiviso nel difendere i beni comuni e l’interesse pubblico”.

