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Cosa rischiano le Ong che non comunicheranno più i soccorsi alla Libia

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Attualità

06/11/2025

da Avvenire

Andrea Ceredani

In Italia il "decreto Piantedosi" prevede multe e trattenimenti, ma le organizzazioni sono decise: «Non collaboreremo con chi ci spara e tortura i migranti»

Lo scorso 24 agosto vari proiettili sono stati sparati da una motovedetta della cosiddetta Guardia costiera libica (si tratta, in realtà, di milizie che rispondono a diversi poteri locali) verso la nave Ocean Viking della ong Sos Méditerranée. A bordo si trovavano 87 persone migranti, tratte in salvo prima dell’ingresso dell’imbarcazione nella zona Sar (Search and rescue, ovvero “Ricerca e soccorso”) libica, che non sono state raggiunte dai colpi esplosi «ad altezza testa» per venti minuti. È anche per aggressioni come questa – oltre 60 atti di «brutale violenza» contati dalle ong negli ultimi dieci anni – che 13 organizzazioni impegnate nel Mediterraneo hanno deciso di sospendere le comunicazioni dei loro soccorsi in mare con il Centro di coordinamento congiunto dei soccorsi di Tripoli, in Libia (Jrcc). La decisione – annunciata ieri a Bruxelles – coinvolge Sea-Watch, Mediterranea saving humans e altre undici ong riunite nella neonata formazione Justice Fleet, che «respinge la crescente pressione dell’Ue – come si legge in una nota delle organizzazioni – e, in particolare dell’Italia, a comunicare con gli autori di violenza in mare».

Il Jrcc è, di fatto, l’organo che coordina l’azione delle milizie libiche nella zona Sar. Ma il Centro di coordinamento di Tripoli – contestano le ong – «non soddisfa gli standard internazionali»: non sarebbe raggiungibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e non avrebbe nessuna capacità di mediazione linguistica. «Non sappiamo se è solo un indirizzo email o se ha una struttura alle spalle», sintetizza Giulia Messmer, portavoce di Sea-Watch. Eppure, la sua azione sarebbe decisiva per ogni operazione della cosiddetta Guardia costiera libica: «Quando comunichiamo il nostro ingresso nella zona Sar libica – spiega Messmer – e la posizione operativa delle nostre navi, il Jrcc è a conoscenza di tutto e può inviare la milizia libica a sparare o a portare a termine respingimenti illegali delle persone migranti in Libia, che non è un luogo sicuro per i rifugiati». Da anni, le organizzazioni testimoniano le violenze della cosiddetta Guardia costiera libica contro le navi di soccorso umanitario e contro le persone migranti: «I rifugiati vengono intercettati – si legge nella nota di Justice Fleet – con la violenza in mare, rapiti e condotti in campi dove tortura, stupri e lavori forzati sono una pratica sistematica».

Le milizie libiche intercettano una imbarcazione nel Mediterraneo, trasbordano 80 persone e danno fuoco alla nave (17 giugno 2025) / Sea-Watch (Joseph Oertel)

Le autorità italiane, secondo la denuncia delle ong, sono le più coinvolte nel «supporto alla violenza della cosiddetta Guardia costiera libica»: «L’Italia ci ha forzate a comunicare con le milizie libiche che commettono crimini contro l’umanità, come riconosciuto dai tribunali europei e dalle istituzioni dell’Onu», contesta la portavoce di Sea-Watch. In particolare, nel mirino delle organizzazioni attive nel Mediterraneo è il “decreto Piantedosi”, che impone sanzioni e trattenimenti per le navi di soccorso umanitario che non rispettano le istruzioni ricevute dalle milizie libiche. L’interruzione delle comunicazioni con il Centro di coordinamento di Tripoli, perciò, non sarà senza conseguenze per le imbarcazioni delle ong che attraccheranno nei porti italiani: «Potrebbe comportare multe – spiega Messmer –, detenzioni o persino la confisca dei mezzi di soccorso delle ong da parte dello Stato italiano».

I trattenimenti imposti dal “decreto Piantedosi”, in realtà, sono già cominciati (l’ultimo, a settembre, ha coinvolto il veliero Trotamar III) ma sono stati considerati «illegittimi» da alcune sentenze dei tribunali italiani: sei, solo da giugno a ottobre, le decisioni dei magistrati delle corti di Agrigento e Trapani che hanno interrotto il fermo amministrativo di quattro diverse navi di soccorso umanitario. «Noi continueremo a rischiare le sanzioni italiane perché non comunicheremo la nostra posizione alle milizie libiche – conclude Janna Sauerteig, portavoce di Sos Humanity –, pur di evitare che le persone migranti subiscano le violenze delle milizie libiche, che sono finanziate dall’Unione europea». Sovvenzioni comunitarie che, secondo un calcolo di Justice Fleet «basato su documenti ufficiali dell’Ue», ammonterebbero a 84 milioni di euro tra il 2015 e il 2027.

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