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Per cosa si vota nei referendum di domenica 8 e lunedì 9 giugno

Per cosa si vota nei referendum di domenica 8 e lunedì 9 giugno

Quattro quesiti del referendum chiedono il ripristino di tutele e sicurezze sul lavoro, il quinto riguarda la cittadinanza

Domenica 8 e lunedì 9 giugno 2025 i cittadini italiani sono chiamati a esprimersi su cinque referendum abrogativiquattro riguardano il lavoro e uno la cittadinanza. In buona sostanza, quelli sul lavoro chiedono di abrogare alcune norme del Jobs Act di Renzi del 2015. I primi due chiedono infatti di abrogare le norme che hanno reso più facili i licenziamenti senza giusta causa e più difficile il reintegro dei lavoratori.

Il terzo cerca di limitare l’abuso dei contratti a termine da parte delle aziende. E il quarto chiede maggiori tutele nella sicurezza sul lavoro. Il quinto invece chiede di ridurre da dieci a cinque gli anni in cui un cittadino straniero (extra Ue) deve risiedere in Italia prima di ottenere la cittadinanza. Pur non direttamente, quindi, questo quesito rende più facile l’ottenimento per la cittadinanza anche per i minori.

Si vota domenica 8 (dalle 7 alle 23) e lunedì 9 (dalle 7 alle 15) giugno

Chi si reca al seggio domenica 8 e lunedì 9 giugno riceverà una scheda di colore diverso per ogni quesito referendario. Ogni scheda contiene la descrizione della norma da cancellare, in tutto o in parte, e chiede a chi vota se è favorevole o meno alla sua cancellazione. Quindi per abrogare la norma in vigore bisogna votare sì. Mentre per mantenerla bisogna votare no. I risultati del referendum sono validi solo se si raggiunge il quorum. Ovvero la maggioranza (la metà più una) delle persone che hanno il diritto di votare.

Si vota domenica tutto il giorno (dalle 7 alle 23) e lunedì solo la mattina (dalle 7 alle 15). Gli italiani residenti all’estero possono partecipare attraverso il voto per corrispondenza. Mentre per la prima volta gli elettori fuori sede potranno votare senza dover tornare nella loro città.

Breve storia dei referendum

I referendum sono uno strumento di esercizio della sovranità popolare. Quelli abrogativi, disciplinati dall’art. 75 della Costituzione, sono i più noti e diffusi. Spesso si ricorda quello del 1974, in cui la vittoria del no permise di difendere la legge sul divorzio. Fu una tappa fondamentale per l’ingresso del Paese nella modernità, nonostante la campagna dell’allora maggioranza governativa per il sì. Il risultato referendario dovrebbe vincolare i legislatori al rispetto della volontà del popolo. Per questo i governi cercano di depotenziarli. A volte invitando la gente a non votare per non raggiungere il quorum, celebre la frase «andate al mare» di Bettino Craxi nel 1991.

Oppure facendo in modo che non siano pubblicizzati a dovere sui media, che pure avrebbero il dovere di farlo. E questo è il caso dei referendum del prossimo 8 e 9 giugno, sostengono i promotori, che hanno accusato le autorità di non avere informato abbastanza i cittadini sui temi toccati dai quesiti referendari. E di non avere dato sufficiente visibilità all’appuntamento per la consultazione.

A volte però succede anche che, nonostante l’obbligo sancito dalla Costituzione, i legislatori non rispettino l’esito referendario. Il caso più clamoroso sono i referendum del 2021 che chiedevano di abrogare le norme che permettono ai privati di trarre profitto dall’acqua. Vinse il sì, ma quel risultato non è mai stato rispettato.

Le domande del referendum sui licenziamenti

Licenziamenti illegittimi e contratto a tutele crescenti. (Scheda verde). Si propone l’abrogazione di uno dei decreti del Jobs act che riguarda il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti introdotto nel 2015. Cancellando il decreto si ristabilisce l’obbligo di reintegro del lavoratore nel suo posto di lavoro in tutti i casi di licenziamento illegittimo, come prevedeva fino al 2015 l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. La questione riguarda i lavoratori assunti dal 2015 in poi in aziende con più di quindici dipendenti. La legge numero 23 del 4 marzo del 2015 è stata oggetto di varie sentenze della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, che hanno stabilito l’incostituzionalità di alcune sue parti o hanno dato interpretazioni restrittive della sua applicazione.

Indennità in caso di licenziamento nelle piccole imprese. (Scheda arancione). Il quesito chiede se si vuole eliminare il tetto massimo all’indennità dovuta ai lavoratori per i licenziamenti illegittimi nelle aziende con meno di quindici dipendenti, consentendo al giudice di determinare l’importo senza limiti predefiniti.

Contratti a termine. (Scheda grigia). I cittadini devono decidere se abrogare alcune norme che stabiliscono quand’è che un’azienda può assumere lavoratori con contratti a tempo determinato e a quali condizioni può prolungare e rinnovare questi contratti. Cancellando le norme in vigore dal 2015 si ristabilisce l’obbligo di una “causale” per i contratti a tempo determinato più brevi di dodici mesi, cioè l’obbligo di indicare per quale motivo si usa questo tipo di contratto. Oggi l’obbligo c’è solo per i contratti a tempo determinato che durano dodici mesi o più.

E quelle sulla sicurezza sul lavoro e sulla cittadinanza

Responsabilità solidale negli appalti. (Scheda rosa). Il quesito chiede l’abrogazione della norma che esclude la responsabilità solidale del committente (cioè chi affida un lavoro in appalto), dell’appaltatore (chi riceve l’incarico di fare il lavoro) e del subappaltatore (chi, in alcuni casi, svolge il lavoro per conto dell’appaltatore) per gli infortuni sul lavoro legati al tipo di attività che svolgono le imprese appaltatrici o subappaltatrici. In termini tecnici si parla di “infortuni derivanti da rischi specifici dell’attività delle imprese”.

L’espressione “responsabilità solidale” indica che tutti i soggetti coinvolti (in questo caso committente, appaltatore e subappaltatore) hanno gli stessi obblighi, per esempio di risarcimento, verso chi subisce un danno di cui sono responsabili. Oggi la responsabilità solidale negli appalti non è prevista. Se invece dovesse vincere il sì, in caso di infortunio di un lavoratore dovrebbero risponderne anche il committente. Questo ha ovviamente delle ricadute soprattutto in settori come l’edilizia.

Cittadinanza. (Scheda gialla). Oggi per avere la cittadinanza italiana le persone maggiorenni nate in un paese esterno all’Unione europea devono risiedere legalmente in Italia per almeno dieci anni. Il quesito propone di cancellare questa norma per tornare a quella precedente, in cui si stabiliva che gli anni di residenza necessari erano cinque. Tutti gli altri requisiti per ottenere la cittadinanza previsti dalla legge del 1992 non sono modificati.

Ricordiamo ancora una volta che si voterà domenica 8 giugno, dalle 7 alle 23, e lunedì 9 giugno dalle 7 alle 15. E chi andrà a votare riceverà una scheda per ogni quesito referendario: cinque schede di colore diversoVedi qui i fac-simile delle schede. Ogni scheda contiene la descrizione della norma in essere e chiede a chi vota se è favorevole alla sua cancellazione. Quindi, nel caso le riteniate ingiuste, e vogliate cambiare le cose, bisogna votare cinque sì.

04/06/2025

da Valori

Luca Pisapia

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