Per l’ex segretario Fiom, Giorgio Cremaschi, non basta il taglio del cuneo fiscale. I lavoratori stanno finanziando i profitti delle aziende.
Ieri i nuovi dati Istat hanno certificato un nuovo calo del potere d’acquisto per le famiglie. In Italia c’è un’enorme questione salariale. Il governo Meloni rilancia sul taglio del cuneo fiscale. Giorgio Cremaschi, ex segretario Fiom, sindacalista di lungo corso e ora attivista di Potere al Popolo e Unione Popolare, è sufficiente secondo lei?
“Partiamo dai dati Istat: un calo del potere d’acquisto delle famiglie su base mensile dello 0,2% vuol dire quasi 4 punti su base annua. Sono 30 anni che i salari in Italia perdono potere d’acquisto e siamo un’eccezione tra i grandi Paesi sviluppati. Il potere d’acquisto è il combinato tra salario lordo e sconti fiscali. Questa sua caduta ci dice che il taglio del cuneo fiscale è acqua fresca. Un autentico imbroglio perché riduce le tasse non solo al lavoratore ma anche all’imprenditore. Sono i lavoratori che finanziano il proprio salario e anche i profitti delle imprese. La linea è invece: più salari e meno profitti”.
Come si affronta allora l’emergenza salariale?
“Bisogna aumentare i salari lordi e netti. Ma ci sono diverse questioni per affrontare questo tema. Almeno tre: una economica, una politica e una sindacale. Economica: abbiamo un sistema che si è adagiato sui bassi salari. Da noi è facile fare l’imprenditore: basta pagare due lire. E questa è la ragione di fondo della bassa produttività media del nostro Paese. Seconda questione: abbiamo una classe politica, salvo poche eccezioni, che si è adagiata a sostegno dell’impresa. La frase standard è ‘l’impresa crea il lavoro’. Falso: è ‘il lavoro che crea l’impresa’. Biden e Trump, di cui certo non sono un fan, sono andati a sostenere le rivendicazioni degli operai dell’auto americana contro le grandi multinazionali con una piattaforma radicale. Noi invece abbiamo una classe politica servile verso le imprese e i padroni. In ultimo c’è una questione sindacale. In tutti i Paesi più sviluppati negli ultimi 30 anni c’è stata una compressione dei salari a favore dei profitti. Ma solo in Italia c’è stato il calo del salario reale e questo segna il fallimento del sistema sindacale italiano. Noi abbiamo il paradosso di una condizione salariale uguale a quella del ventennio fascista. Ma allora i sindacalisti erano in prigione. Qui invece la caduta dei salari è avvenuta con un enorme ruolo istituzionale dei sindacati. Cgil, Cisl e Uil sono parte delle élite, non sono fuori dal palazzo ma dentro. Vanno messi in discussione i gruppi dirigenti sindacali e bisogna inaugurare una fase diversa in cui si deve chiedere alle controparti direttamente e non fare lettere di doglianze verso il governo come fa ogni tanto Maurizio Landini (leader della Cgil, ndr). Non ha senso dire ‘se il governo non ci convoca faremo sciopero’. Questo è un modo vecchio e ridicolo di fare sindacato, per non parlare della Cisl che è diventata meloniana. Bisogna rivendicare forti aumenti salariali e diritti. Invece il cuneo fiscale è la fotografia di una stagione fallimentare nella quale i lavoratori hanno finanziato i profitti delle imprese con il consenso dei grandi sindacati”.
La Cassazione, a differenza del governo, ha riconosciuto la necessità di un salario minimo.
“Che questo governo abbia problemi con la Costituzione è evidente. La Cassazione ha riconosciuto la prevalenza dell’art 36 anche sui contratti. La firma di un contratto, anche quello siglato da Cgil Cisl e Uil, non è la panacea. La Cassazione stabilisce che il lavoratore debba avere un salario dignitoso per vivere. Se firmi un contratto come hanno fatto i confederali per 5, 6 euro l’ora non metti il lavoratore nelle condizioni di avere un salario dignitoso. Ci vuole una legge che diventi la piattaforma da cui le organizzazioni sindacali potrebbero partire per chiedere forti aumenti salariali. Noi stiamo raccogliendo le firme con i sindacati di base e Unione popolare per un salario minimo di 10 euro l’ora”.
05/10/2023
da La Notizia