25/08/2025
da Remocontro
Ennio Remondino
Due anni di minacce e sanzioni: ‘Indagine Palestina’ per la magistratura internazionale peric0losa quasi come a Gaza. «Terrorizzati, a ogni livello, per l’istituzione e per se stessi. E ora, più dei mandati d’arresto, a Tel Aviv danno fastidio le indagini di Karim Khan sulle colonie, con un effetto a catena su tutta l’impresa israeliana»
Come sul fronte antimafia
«Nei corridoi della Corte penale internazionale, negli uffici, in aula, l’aria è pesante», rivela Chiara Cruciati. «Una cappa invisibile opprime il presente e l’immediato futuro: è la paura. Il timore di finire schiacciati, come singoli e come istituzione, per mano dei due più potenti nemici del tribunale che ha osato fare da argine all’impunità israeliana: l’amministrazione statunitense e il governo di Tel Aviv».
Israele&Usa
La pressione dei due paesi che non sono neppure membri della Corte, è di vecchia data ed è una escalation. A partire dalle sanzioni politiche di plateale prevaricazione di potere, per tentare bloccare nuovi ordini di cattura. La nuova ondata di misure imposte dalla Casa bianca a febbraio sul procuratore capo Karim Khan e decine di funzionari della Corte e quelle più recenti, di tre giorni fa, contro i suoi vice procuratori.
- Evidenti nello stallo, ingiustificabile dal punto di vista tecnico e legale, nell’emissione dei mandati d’arresto contro i ministri israeliani Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich per il crimine di apartheid, fermi da maggio.
Bloccare la giustizia contro i peggiori
Perché questa accelerazione di interferenze violente e sempre meno mimetizzabili? «L’accelerazione sul fascicolo Palestina e la decisione di agire per porre fine ai crimini che stanno lasciando Gaza e Cisgiordania in brandelli hanno innescato un’escalation di pressioni e minacce», denuncia Cruciati. ‘Antimafia’ il pericolo che citavamo come paragone per i magistrati, per comportamenti politici mafiosi. «Alla Corte sono terrorizzati. Hanno tutti paura, a ogni livello. Per l’istituzione, che rischia di essere distrutta, e per se stessi. Gli avvocati che collaborano con noi dagli Stati uniti sono scomparsi. Altri partecipano agli incontri a patto che non si discuta della Corte. Associazioni per i diritti umani pubblicano rapporti sulla base di materiali e prove raccolte in Palestina ma non li consegnano: nel momento in cui diventi un interlocutore della Cpi, rischi».
- «Israele non è spaventato da nessun rapporto, ma dalla Corte sì, la teme: è consapevole che, se cambiano le regole del gioco che finora gli sono state garantite, gli si toglie da sotto i piedi il terreno dell’impunità».
Sotto tiro dal gennaio 2024
Tutto è iniziato nel gennaio 2024. Ad appena tre mesi dall’inizio dell’offensiva a Gaza, la Corte internazionale di Giustizia (Cig) ha accolto la denuncia del Sudafrica contro Israele per il crimine di genocidio. Che ha poi ribadito a maggio. A novembre 2024, la seconda scossa: su richiesta del procuratore capo della Cpi, Karim Khan, la Camera preliminare ha emesso mandati d’arresto per crimini di guerra e contro l’umanità per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, l’allora ministro della difesa Yoav Gallant e per tre leader di Hamas, Yahya Sinwar, Mohammed Deif e Ismail Haniyeh (poi decaduti: Israele con tre omicidi extragiudiziali li ha eliminati tutti).
Prove di crimini impossibili da ignorare
Il merito dell’accelerazione di Khan sulla Palestina, dopo anni di stallo, l’ha avuto la società civile palestinese, gli ha messo le prove sotto il naso. «Nel momento in cui ha iniziato a lavorare, non si è più fermato. Nell’inchiesta, ed è questo che fa paura a Israele, non c’è solo Gaza: ci sono le colonie e c’è l’apartheid. Paradossalmente quello che più dà fastidio a Tel Aviv, più dei mandati d’arresto, sono le indagini sulle colonie: possono avere un effetto a catena su tutta l’impresa israeliana».
- Qualche settimana dopo, Khan sarebbe stato travolto da accuse di molestie sessuali, mosse da una collaboratrice, fino alla decisione – lo scorso maggio – di mettersi in ferie forzate in attesa delle indagini.
Tutto per fermare ogni intervento
Inchieste fondate su interlocuzioni private tra il procuratore e la donna, usate per frenare il fascicolo Palestina. L’effetto si è visto subito: il concomitante stop ai mandati d’arresto per Ben Gvir e Smotrich. Le indagini sono affidate ai due vice procuratori che si stanno prendendo tempo ‘per leggere l’incartamento’, per cui basterebbe una settimana. »La realtà è un’altra: sanzioni Usa e intimidazioni israeliane hanno effetti sulla Corte e sui suoi organi, compreso l’ufficio della Procura. La domanda a questo punto è una: se queste pressioni funzioneranno, chi e quando staccherà la spina alle indagini?».
Richieste di dimissioni e colpi sul privato
Molto dipenderà dal destino di Khan, a cui la presidente della Cpi avrebbe chiesto di dimettersi ma lui non lo ha fatto. Ma l’intimidazione più plateale, resa nota a metà luglio da un Khan totalmente isolato (anche dalla comunità degli avvocati di Londra di cui era uno dei membri più accreditati): Nicholas Kaufman, avvocato britannico-israeliano, ha approcciato Khan in un hotel dell’Aja il primo maggio per fermare i mandati contro Ben Gvir e Smotrich e ritirare quelli contro Netanyahu e Gallant. «Distruggeranno te e distruggeranno la Corte», si legge nella registrazione del meeting, visionata da Middle East Eye.
Braccio giudiziario di Israele
«Non nego di aver detto al signor Khan che avrebbe dovuto cercare una via per districarsi dai suoi errori», riconosce lo stesso avvocato. E Kaufman non è una figura qualsiasi: ha presentato alla Corte memorie a difesa di Israele, rappresenta imputati all’Aja (oggi è il legale dell’ex presidente filippino Duterte): «Ai sensi dello statuto della Cpi, quello che ha fatto Kaufman è ostruzione alla giustizia. La Corte avrebbe dovuto aprire indagini interne, è una persona che ogni mattina va a difendere qualcuno di fronte ai giudici. Non lo ha fatto, di nuovo, per paura», la protesta interna.
Se salta Khan saltano le indagini
Far fuori definitivamente Khan l’obiettivo politico-giudiziario di Israele&Usa. Come accadrà non è ancora chiaro, forse non ancora deciso quanto sporco dovrà essere: «se si aprirà subito la procedura per la nomina di un nuovo procuratore, Usa e Israele metteranno in campo la diplomazia più pesante per eleggere una figura a loro vicina; se si nominerà nel frattempo un procuratore ad interim, condurrà il lavoro su un binario morto. Perché il punto resta lo stesso: nessuno, lì dentro, vuole prendersi in carico il file Palestina».
Supporto esterno assente
A New York, l’8 luglio, all’Assemblea dei 125 Stati membri della Cpi il consigliere legale del Dipartimento di Stato Usa, Reed Rubinstein, ha platealmente minacciato la Corte: «Ci aspettiamo che tutte le azioni della Cpi contro gli Stati uniti e il nostro alleato Israele, le indagini e i mandati d’arresto, siano terminati… Useremo tutti gli strumenti diplomatici, politici e legali appropriati ed efficaci per bloccare l’eccesso di potere della Cpi». Davanti a una simile aggressione, nessuno degli Stati presenti ha reagito. Italia compresa. Clima mafioso, dicevamo.
Tutta la ‘potenza di fuoco’ Israele&Usa
Gli attacchi alla Corte di giustizia internazionale si moltiplicano a livello planetario. «Le pressioni degli Stati uniti sul Sudafrica avrebbero privato Pretoria dell’unanimità del governo sulla denuncia presentata all’Aja», ricorda il manifesto. Il modus operandi è sempre lo stesso, che si tratti di giudici, legali, attivisti o Stati: costringerli sulla difensiva. «Israele e Stati uniti impegnano il tuo tempo e le tue energie a difenderti, invece di lavorare e costruire. Per questo serve sostegno, da sola la Corte non può farcela».
Il ‘non colpevole’ Smotrich
«Sarebbe giustificato e morale far morire di fame due milioni di civili» ha dichiarato il ministro israeliano delle finanze, Bezalel Smotrich, lamentando che però il mondo non lo permetterebbe.