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Crisi climatica: i più ricchi causano i danni maggiori

Crisi climatica: i più ricchi causano i danni maggiori

Dal 1990 in poi il 10% più ricco dell’umanità ha causato il 65% del riscaldamento globale, responsabile degli eventi meteo estremi

Numerosi studi lo confermano da tempo: le persone più ricche contribuiscono di più alla crisi climatica. Perché l’aumento delle emissioni in atmosfera è la logica conseguenza di consumi, comportamenti, investimenti. Pertanto c’è un divario tra l’impronta ecologica degli abitanti del Nord e quelli del Sud del mondo, ma anche all’interno di ogni Paese. Un recente articolo pubblicato da Nature climate change fa un passo in più, perché arriva a ricostruire una relazione diretta tra la ricchezza individuale ed eventi estremi come la siccità in Amazzonia e le temperature record. Mettendo in luce un livello di ingiustizia impossibile da ignorare.

L’impatto climatico dell’élite: se tutti inquinassero come l’1% più ricco

Esistevano già diverse stime sulla disuguaglianza nelle emissioni di gas serra, ma la novità sta nel fatto che il team di ricerca le ha inserite nei modelli climatici. In questo modo, ha potuto attribuire a ogni scaglione di reddito una determinata quota di responsabilità per l’innalzamento delle temperature e la maggiore frequenza degli eventi meteo estremi tra il 1990 e il 2019.

Nel 2020 la temperatura media globale superava di 0,61 gradi centigradi quella di trent’anni prima. Il 65% di quest’incremento è imputabile al 10% più ricco della popolazione globale. Una definizione nella quale rientra chiunque guadagni più di 42.980 euro l’anno, un reddito medio-alto in un Paese industrializzato.

Salendo in cima alla piramide il gruppo si restringe ma l’impatto, proporzionalmente, aumenta. L’1% più ricco – vale a dire chi ha un reddito medio annuo di almeno 147.200 euro – ha contribuito al 20% del riscaldamento globale. Il suo impatto sugli estremi di calore mensili che si verificano una volta ogni cent’anni è stato 26 volte superiore alla media globale. E 17 volte maggiore nel caso delle ondate di siccità che colpiscono l’Amazzonia.

Coloro che guadagnano almeno 537.770 euro l’anno, e fanno parte dunque dello 0,1% più ricco, da soli arrivano all’8%. Se tutta la popolazione globale avesse lo stesso impatto di questa élite, la temperatura media globale sarebbe già cresciuta di 12,2 gradi centigradi dal 1990 in poi. Uno scenario semplicemente incompatibile con la nostra vita su questo Pianeta.

Tassare i grandi patrimoni per una transizione più equa

«Il nostro studio mostra che gli impatti estremi del clima non sono soltanto il risultato delle astratte emissioni globali. Al contrario, possiamo collegarli direttamente al nostro stile di vita e alle nostre scelte di investimento che, a loro volta, sono collegati alla ricchezza», spiega la coautrice Sarah Schöngart del Politecnico federale di Zurigo. «Abbiamo riscontrato che gli emettitori più facoltosi giocano un ruolo centrale nel determinare gli estremi climatici, il che fornisce un forte sostegno alle politiche climatiche mirate a ridurre le loro emissioni».

La pubblicazione si spinge fino a citare alcune possibili soluzioni. Come una tassa globale sui grandi patrimoni – una misura già descritta nel dettaglio nel rapporto curato dall’economista Gabriel Zucman, direttore dell’Osservatorio fiscale europeo. Gli autori sottolineano anche la necessità di «reindirizzare i flussi finanziari», poiché i più ricchi hanno un impatto enorme a causa dei loro consumi, ma anche e soprattutto dei loro investimenti. Un precedente studio di Oxfam ha evidenziato come l’élite dell’1% dei più ricchi controlli il 43% degli asset finanziari. Ognuno dei 50 miliardari più ricchi del mondo, proprio attraverso i propri investimenti, genera circa 2,6 milioni di tonnellate di CO2 equivalente.

Quando ai negoziati sul clima si parla di finanza climatica e loss and damage, ci si riferisce proprio a questo: alla necessità di redistribuire le risorse a favore delle popolazioni che subiscono la crisi climatica avendo fatto poco o nulla per innescarla. Il problema è che, si legge nello studio, le risorse promesse finora sono «irrisorie rispetto ai bisogni stimati. Il nostro lavoro sostiene l’adozione di strumenti politici innovativi, mirati agli individui più ricchi, per colmare questi gravi vuoti finanziari. Politiche di questo tipo possono anche migliorare la percezione di giustizia climatica, un fattore cruciale per rafforzare il consenso sociale intorno all’azione per il clima».

13/06/2025

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Valentina Neri

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