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Da Bressanone a Catania in difesa del diritto alla salute

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Le piazze scelte per la mobilitazione unitaria sono trentanove e coprono tutto il territorio nazionale, da Bressanone a Catania. Per la manifestazione romana, quella più centrale e significativa, i medici hanno scelto via XX settembre, dove ha sede il ministero dell’economia. Perché non quello della salute? «Schillaci ha un ruolo marginale: il vero ministro della salute oggi è Giorgetti», ironizza Pierino Di Silverio, segretario nazionale dell’Anaao che è la prima sigla sindacale tra i medici ospedalieri. «Dovrebbe capire che disinvestire nel Servizio sanitario nazionale, mantenere i tetti di spesa per il personale e tagliare i posti letto è un errore anche dal punto di vista economico: la salute produce ricchezza».

LE MANIFESTAZIONI di ieri rappresentano un inedito, o quasi. Sono state convocate da tutte le sigle sindacali della sanità pubblica, da quelle più settoriali, come i medici di terapia intensiva, ai confederali che però nel settore sanitario hanno un peso relativo. Ricomporre in piazza una categoria così frammentata sembra utopico: al ministero si ritrova qualche centinaio di persone, poche per una manifestazione che ha l’ambizione di «salvare la sanità pubblica». L’invito a partecipare era esteso alla cittadinanza. «La nostra non è una lotta di casta ma una battaglia sociale» prova a allargare Di Silverio. Però in piazza la cittadinanza non c’era, benché alla manifestazione avessero aderito anche una ventina di associazioni di pazienti, come quella dei malati di Sla, e della società civile, Cittadinanzattiva in testa. «Finché il cittadino vedrà che le medicine sono gratuite e in pronto soccorso non si paga, non si lamenterà» spiega il medico. «Il problema è che non si può più dare per scontata la gratuità del servizio sanitario. Quello della sanità a pagamento è un rischio insito nel disegno di legge sull’autonomia differenziata».

GLI FA ECO Alessandro Vergallo, segretario dell’Aaroi-Emac che rappresenta i medici rianimatori, gli «eroi» delle fasi più critiche della pandemia. «Il crescente ricorso agli appalti ai medici a gettone reclutati attraverso le cooperative permette di tenere aperti i reparti e fa funzionare gli ospedali. Ma i cittadini devono rendersi conto che un medico a gettone non garantisce lo stesso standard di qualità del servizio perché passa da un ospedale all’altro e non ha un’équipe di riferimento».

«OGGI IL SERVIZIO sanitario tiene ancora ma si sono costruite le basi del suo fallimento» è il ragionamento più politico di Andrea Filippi, responsabile dei medici della Cgil. «Le criticità sono tre. La prima è l’autonomia differenziata, che in ambito sanitario è già realtà dalla riforma del titolo quinto. Poi, il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione, perché costringe a risparmiare sulla prevenzione: e così diventa impossibile spendere di più oggi in modo da risparmiare domani. Infine, la sostanziale assenza della sanità territoriale: si sarebbe dovuto ricongiungere il mondo dell’ospedale e quello del territorio. Ma per una riforma integrata serve una volontà politica».

FILIPPI SEGNALA un punto dolentissimo: la spaccatura tra medici ospedalieri e medici di base. Che infatti non sono in piazza, se non in sparute presenze individuali. Sarebbero la categoria più agguerrita ed esprimono anche il vertice degli ordini dei medici. Ma la loro sigla più rappresentativa, la Fimmg, non partecipa alla campagna. Per salvare la sanità pubblica hanno altri progetti, innanzitutto salvare lo status di liberi professionisti. È il contrario di quel che chiedono i medici in piazza, che puntano invece sull’assunzione del personale.

«I MEDICI di medicina generale più giovani in realtà sono in gran parte favorevoli a confluire nel servizio sanitario nazionale» sostiene Filippi. «Come categoria devono però rendersi conto che la sanità non funziona per silos separati. Medicina territoriale e ospedali devono fare sistema. Ma la spaccatura è reale e rispecchia l’assetto generale della nostra sanità. Il fatto che ospedale e territorio siano regolati da due norme diverse (i cosiddetti «dm 70» e «dm 77», Ndr) è una contraddizione: occorre un quadro unico che metta in collegamento i due mondi. E anche la formazione dei medici di base non può essere lasciata ai corsi regionali, ma deve diventare una specializzazione al pari delle altre».

SE NON SARETE ascoltati, chiediamo, si arriverà allo sciopero dei medici? «Tutto è possibile, se non ci saranno risposte». Il tema è delicato perché si parla di interrompere un servizio davvero essenziale. «L’alternativa sono le dimissioni di massa» aggiunge Di Silverio. «In un mese riceviamo circa cinquemila richieste di informazione sulle modalità di dimissione da parte dei medici». Quella delle «grandi dimissioni» non è una minaccia ma un trend in atto da tempo. Ogni anno circa tremila medici lasciano volontariamente il proprio posto di lavoro, preferendo trasferirsi all’estero o nel privato. Con l’organico in fuga, lo sciopero di fatto è già iniziato.

18/06/2023

Abbiamo ripreso l'articolo

da il Manifesto

Andrea Capocci