26/10/2025
da Il Fatto Quotidiano
L'Ambiente è il più penalizzato in proporzione ai fondi a disposizione. Per le Infrastrutture 520 milioni in meno. Colpiti soprattutto gli stanziamenti per investimenti rimasti fermi. Il governo conta di "rimodularli" e usare le risorse più avanti, molti ministri temono l’impatto immediato
Tagli per 2,1 miliardi l’anno prossimo e più di 7 nel triennio. Che colpiscono soprattutto fondi per investimenti rimasti inutilizzati e destinati, negli auspici del governo, ad essere riprogrammati per spenderli più avanti: nel triennio 2029-2031. La prossima legislatura, un altro mondo. Nel frattempo tutto può cambiare. E infatti i primi a non sperarci sembrano essere i ministri, concentrati sull’impatto di breve periodo. Grande è la confusione sotto il cielo della revisione della spesa, ricomparsa come ogni anno in legge di Bilancio. L’appuntamento stavolta è complicato dall’incrocio con l’ultima rimodulazione del Pnrr, mirata a non perdere i soldi destinati a progetti lontani dal completamento.
Si è detto che il più danneggiato dalla “scure del Mef” è Matteo Salvini, il cui ministero vede ridursi le dotazioni finanziarie di oltre 520 milioni di euro nel 2026 e 1,3 miliardi nel prossimo triennio. Secondo solo alla sforbiciata in arrivo per lo stesso ministero dell’Economia, che deve garantire risparmi per quasi 2,2 miliardi complessivi di cui 456 milioni l’anno prossimo. I definanziamenti da 164 milioni agli investimenti nel diritto alla mobilità hanno aperto un caso politico: lì dentro ci sono anche i tagli alle metropolitane di Roma (50 milioni), Milano (15) e Napoli (15). Dopo le proteste di Forza Italia e delle opposizioni, la Lega ha precisato che si tratta di somme non spese che vengono “rimodulate” per riuscire a utilizzarle. In sostanza i tagli ci sono ma, spiegano dal via XX Settembre, quelle somme potranno essere reiscritte a bilancio negli anni successivi sulla base degli effettivi cronoprogrammi di spesa, cioè quando i lavori saranno pronti a partire. Le tabelle allegate alla manovra prevedono infatti nel triennio 2029-2031 incrementi pari ai tagli stabiliti per il periodo 2026-2028, ma quella rimodulazione temporale è pesante da digerire sia per il leader del Carroccio sia per i cittadini che di quelle opere hanno bisogno.
Idem per il capitolo delle Infrastrutture pubbliche e logistica, che il prossimo anno viene alleggerito di 328 milioni: 100 milioni del fondo per le infrastrutture ad alto rendimento, 80 milioni di contributo all’autostrada Tirrenica, 2 milioni destinati allo sviluppo delle ciclovie urbane e 50 milioni ciascuna (in questo caso il definanziamento è per il 2027) per la statale 106 Jonica e la Salaria.
Passando agli altri ministeri, per capire la reale portata delle riduzioni è utile rapportarle alle dotazioni di competenza previste a bocce ferme. Un esercizio che riscrive la classifica dei più penalizzati. E in più mostra dove si concentrano le difficoltà di spesa, che siano dovute a lentezze burocratiche o rallentamenti imposti dallo stesso Tesoro, come lamenta qualcuno.
Prendiamo il ministero dell’Ambiente, che per grandezze assolute è il terzo più colpito con 376 milioni di taglio nel 2026. Se si tiene conto che per tutto l’anno Gilberto Pichetto Fratin può contare su 3,4 miliardi complessivi, l’intervento si rivela il più doloroso di tutti: si parla dell’11% del totale. Spulciando le tabelle si scopre che un capitolo delicatissimo come la Tutela e gestione delle risorse idriche e del territorio e prevenzione del rischio idrogeologico perderà, in conto capitale, il 27% delle risorse. Perché i progetti previsti dal Pnrr sono in ritardo e (se tutto va bene) verranno completati oltre la scadenza del piano.
Anche nel caso dell’Istruzione, che deve rinunciare a 141 milioni complessivi, il grosso della riduzione – o riprogrammazione se si spera nel recupero successivo – riguarda un investimento del Pnrr: il miglioramento della sicurezza degli edifici scolastici. Al programma vengono sottratti 98 milioni, il 6,6% di quel che c’era a disposizione. Allargando lo sguardo al triennio, a mancare è il 12% dei soldi su cui contava Giuseppe Valditara.
Il Viminale, le cui dotazioni in conto capitale calano di 170 milioni, subisce a prima vista uno scippo non da poco sul contrasto al crimine e tutela dell’ordine e sicurezza pubblica: 47 milioni in meno. Ma è poca cosa sui 7,7 miliardi disponibili a legislazione vigente. Gli interventi a favore degli stranieri, richiedenti asilo e profughi perdono invece 50 milioni, il 2,7%.
Il Mef dal canto suo rinuncia invece a una cifra ridottissima se rapportata a una dotazione complessiva monstre di 862 miliardi. Qualche intervento non mancherà però di suscitare proteste. Per esempio, i 186 milioni sottratti all‘accertamento e riscossione delle entrate e gestione dei beni immobiliari dello Stato comprendono una riduzione di 21,6 milioni (su 195 a bilancio) dei fondi girati ai centri di assistenza fiscale. Per la Guardia di Finanza arriva poi un taglio da 44 milioni (su 227) per gli investimenti finalizzati al miglioramento e ammodernamento di strutture, mezzi e dotazioni, uno dei capitoli del programma Prevenzione e repressione delle violazioni di natura economico-finanziaria. Per le Entrate riduzione da 48 milioni delle risorse per l’Accertamento e contenzioso in materia di entrate tributarie, catasto e mercato immobiliare, che però cubano in tutto 3,3 miliardi.
Sul fronte della cultura sta facendo discutere il colpo al fondo per l’audiovisivo, cioè il cinema, la cui dotazione scende da 700 a 550 milioni, ma ad essere penalizzata è anche la Programmazione e attribuzione di risorse per la tutela del patrimonio culturale: 68 milioni in meno su 763, il 9%. È la fetta più grossa di un taglio complessivo da 78 milioni.
Il ministero della Salute perde 89 milioni, il 3,7% della dotazione prevista, ma si tratta – è un’eccezione – per lo più di tagli alle spese correnti, con l’ampia voce Prevenzione e promozione della salute umana ed assistenza sanitaria al personale navigante ed aeronavigante e sicurezza delle cure che lascia per strada il 7% degli stanziamenti.
Viste le proteste da parte dei ministri più penalizzati, in base all’articolo 129 del ddl di Bilancio resta comunque salva per ognuno la possibilità, a patto che l’operazione sia a saldo zero, di distribuire diversamente i tagli anche tra programmi diversi. O meglio: possono proporlo. La decisione finale va comunque adottata con un decreto a firma di Giancarlo Giorgetti.

