03/11/2025
da Pressenza
È in corso, contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela, un’escalation militare da parte degli Stati Uniti che non solo rischia di accendere un nuovo, l’ennesimo, focolaio di tensione armata ma soprattutto minaccia di determinare una vera e propria aggressione militare, con conseguenze prevedibilmente devastanti, con il rischio cioè di deflagrare in una guerra su più ampia scala e di precipitare l’intero subcontinente latino-americano, dichiarato “Zona di pace”, in una vera e propria spirale di tensione e di guerra. Le cronache delle ultime settimane ci restituiscono infatti l’immagine di un’escalation nella regione con ben pochi precedenti, passando rapidamente, da parte dell’amministrazione Trump, dalle parole alle minacce di guerra aperta.
Dapprima, le minacce, sempre meno velate, di “sistemare” ora il Venezuela per poi “fare i conti” con Cuba, peraltro proprio a ridosso delle giornate della votazione in Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla risoluzione promossa da Cuba contro il criminale blocco economico, commerciale e finanziario arbitrariamente imposto all’isola dagli Stati Uniti, una votazione nella quale Cuba ha ottenuto la sua ennesima vittoria politica e diplomatica contro Washington, con 165 Paesi del mondo, la quasi totalità della comunità internazionale nel suo complesso, espressisi contro il “bloqueo”, e appena sette contrari (Stati Uniti, Israele, l’Ucraina di Zelensky, l’Ungheria di Orban, l’Argentina di Milei, la Macedonia del Nord e il Paraguay di Peña, tanto per avere un’idea del “profilo politico” di chi ha inteso votare per la prosecuzione del “bloqueo”).
E poi, l’avvio di un vero e proprio dispiegamento militare, in postura chiaramente aggressiva, da parte degli Stati Uniti nel Mar dei Caraibi, con l’invio della portaerei Uss Gerald Ford, la più grande della flotta americana, accompagnata da altre tre navi da guerra con a bordo circa quattromila militari, e un vero e proprio ridislocamento militare nella regione, con navi lanciamissili dotate di Tomahawk, caccia F-18 e aerei da guerra elettronica E-18 Growler, nonché ancora bombardieri B-52 e B-1 in missione di ricognizione a ridosso delle coste venezuelane. Già si sono, peraltro, registrati attacchi, tanto è vero che, ad oggi (3 novembre 2025) già si contano 64 vittime e ben quindici attacchi in mare contro imbarcazioni da pesca venezuelane.
A queste si aggiungono, peraltro, le notizie di un nuovo mandato alla Cia per sviluppare azioni sotto copertura e piani di guerra per rovesciare le autorità liberamente elette dal popolo venezuelano, di un tentativo di corruzione da parte degli Usa del pilota di Nicolas Maduro per fare intercettare l’aereo del presidente venezuelano, tentativo fallito, e di un’ipotesi di attentato false flag (un incidente creato ad arte per fornire un pretesto per un’aggressione, in pieno stile Golfo del Tonchino), contro la presenza statunitense nella regione, per creare i presupposti, appunto, per un intervento armato diretto contro il Venezuela.
Il piano di aggressione contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela è dunque in moto e si compone di tutti gli elementi propri del caso: minacce, azioni armate, e deliberate menzogne, sistematicamente ribadite e, nell’epoca della disinformazione dilagante e della “scomparsa dei fatti”, fatte passare come “verità”. La “menzogna di guerra”, per intendersi, non è stavolta una provetta di presunte armi di distruzione di massa da agitare alle Nazioni Unite, come contro l’Iraq, né la presunta difesa dei diritti umani violati dal nemico di turno, come tante volte è successo alla vigilia di “rivoluzioni colorate” in giro per il mondo.
La “menzogna di guerra”, il pretesto per l’aggressione, in questo caso è il presunto narcotraffico attraverso il Venezuela, una storia letteralmente campata in aria. Secondo i dati delle Nazioni Unite, ad esempio, l’87% della droga prodotta in Colombia prende il mare dai porti del Pacifico; l’8% dalla Guajira settentrionale della Colombia e dal Caribe; e solo il 5% viene trasportato attraverso il Venezuela, dove tutta la droga sequestrata viene intercettata e distrutta lungo i 2200 km di confine con la Colombia. Come ha ribadito in un suo intervento più recente, inoltre, lo stesso Pino Arlacchi, dal 1997 al 2002 sottosegretario generale delle Nazioni Unite e direttore dell’Undccp (l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo delle droghe e la prevenzione del crimine), “le analisi che emergono dal Rapporto mondiale sulle droghe 2025 dell’organismo che ho avuto l’onore di dirigere, raccontano una storia opposta a quella spacciata dall’amministrazione Trump, che smonta la montatura costruita attorno al “Cartel de los soles” venezuelano, una supermafia madurista leggendaria quanto il mostro di Loch Ness, ma adatta a giustificare sanzioni, embarghi e minacce d’intervento militare contro un Paese che, guarda caso, siede su una delle più grandi riserve petrolifere del pianeta […]”.
Il documento “menziona appena il Venezuela, affermando che una frazione marginale della produzione di droga colombiana passa attraverso il Paese nel suo cammino verso Usa ed Europa […] Il Venezuela, secondo l’Onu, ha consolidato la sua posizione storica di territorio libero dalla coltivazione di coca, marijuana e simili, nonché dalla presenza di cartelli criminali internazionali”. Da un lato, dunque, le Nazioni Unite in prima persona confermano che il Venezuela non ha nulla a che fare con il narcotraffico, che questo non avviene lungo le coste del Venezuela, e che anzi le autorità venezuelane sono attivamente impegnate per contrastarlo. Dall’altro, la montatura costruita dagli Stati Uniti rimanda alle vere intenzioni del loro piano di aggressione. Intanto, mettere le mani sul petrolio, che è sempre più una risorsa fondamentale nella crisi energetica internazionale e del quale il Venezuela dispone in quantità copiose, con le maggiori riserve accertate di petrolio, oltre 300 miliardi di barili.
E poi porre fine alla rivoluzione bolivariana, un vasto processo di trasformazione politica e sociale a ispirazione bolivariana, socialista e umanista, che, inaugurato da Hugo Chavez nel 1999, prosegue oggi con Nicolas Maduro, e che ha portato alla nazionalizzazione delle risorse di petrolio e di energia, reinvestito gli introiti in politiche sociali, migliorato la condizione sociale (istruzione, salute, welfare) della popolazione e mantenuto una politica estera indipendente, autonoma, sovrana e antimperialista. Oggi, dunque, il tentativo di aggressione contro il Venezuela non è solo una minaccia gravissima alla libertà e all’autodeterminazione del popolo venezuelano, e quindi alla libertà e all’indipendenza di tutti i popoli del mondo, ma anche una minaccia diretta alla pace e alla sicurezza dell’intera regione, che può portare a un’escalation di guerra di vasta portata.
Non a caso, le stesse Nazioni Unite hanno condannato questa ennesima prova di guerra da parte degli Stati Uniti: secondo un recente comunicato di esperti indipendenti Onu, infatti, “le azioni segrete e le minacce di usare la forza armata contro il governo del Venezuela da parte degli Stati Uniti violano la sovranità del Venezuela e la Carta delle Nazioni Unite […]. L’uso della forza in acque internazionali senza un’adeguata base giuridica viola il diritto internazionale del mare e costituisce un’esecuzione extragiudiziale”. Una chiara minaccia, insomma, alla pace e all’autodeterminazione dei popoli, alla giustizia e al diritto internazionale.

