Si stava meglio quando si stava peggio, con i dittatori? Ovviamente no, ma bisogna intendersi sul meglio e il peggio, precisa Alberto Negri su InsideOver. Specialmente se sei donna. Tra le tante possibili analisi nel caos del momento, la scelta controcorrente ma particolarmente significativa, sulla condizione femminile che i diversi regimi autoritario religiosi impongono alle donne. E i radicalismi islamici esecrati o ignorati a convenienza.
20 anni dopo Saddam
Più di vent’anni dopo la caduta di Saddam Hussein, il parlamento iracheno, dominato da uomini e partiti sciiti ispirati alla religione e al conservatorismo patriarcale, vuole rimettere le questioni familiari ai tribunali religiosi che potrebbero costringere bambine di appena 9 anni a sposarsi. C’è un barlume di speranza: già due volte in passato proteste importanti hanno bloccato lo smantellamento delle tutele per le donne e le ragazze irachene.
Iran oltre l’hijab
Allo stesso tempo nel confinante Iran i timori delle proteste femminili, sempre presenti, hanno indotto il governo del presidente Pezeshkian a sospendere l’approvazione di una legge che prevede pene più dure per le donne che non indossano l’hijab. Una buona notizia, ma solo per il momento, dettata probabilmente dall’attuale debolezza della repubblica islamica che ha visto liquefarsi l’asse della resistenza in Siria e Libano.
Nuova Siria di facciata e volti coperti
Dalla Siria, caduto il dittatore Bashar Assad, non arrivano buone notizie nonostante si cerchi di presentare Al Jolani come un “islamista moderato”. Gli inviati occidentali ma anche i residui giornalisti siriani che sono andati a Idlib, governata in questi anni dall’HTS, ci descrivono una città dove le donne vanno in giro per strada con il volto completamente coperto come si usa in Afghanistan o come le costringeva a fare il Califfato nelle aree controllate dall’Isis in Siria e in Iraq. Non c’è una vera e propria polizia della morale come in Iran per rafforzare l’obbligo dell’hijab, ma se una donna si azzarda ad andare in giro a capo e volto scoperto subisce immediate angherie.
Diritto di voto solo maschile
Le istituzioni di Idlib, prima governata dal braccio destro di Jolani Muhammad al Bashir, ora nominato primo ministro della transizione, non lasciano scampo. A Idlib, il governo di Salvezza nazionale ha una struttura piuttosto ramificata: è formato da un Consiglio della Shura (Consiglio consultivo) che rappresenta i vari segmenti della popolazione della regione, e che elegge il primo ministro. I membri del consiglio sono tutti preselezionati dall’HTS e le donne non possono votare né avere posizioni nell’amministrazione: non ha dunque alcun elemento democratico.
Damasco repressiva di Assad, ma laica
A Damasco alcuni gruppi sono già scesi in piazza per protestare e chiedere di mantenere lo stato laico, una conquista che nel mondo arabo in realtà non è mai stata pienamente acquisita e accettata. In Siria nel 1973 l’alauita Hafez Assad, esponente di una minoranza ritenuta di miscredenti, varò una costituzione dove, a differenza delle precedenti, non si affermava che l’Islam era religione di stato. Un’omissione voluta che fece esplodere la protesta della maggioranza sunnita. E allora anche l’autocrate Assad fu costretto a fare un passo indietro con un emendamento in cui si affermava che il presidente doveva essere un musulmano.
Al Jolani è davvero cambiato?
Ma veniamo al punto: Al Jolani è davvero cambiato? E’ legittimo avere qualche dubbio su un uomo che è stato membro dell’Isis, in buoni rapporti con il suo fondatore Al Baghdadi, e poi un capo anche di Al Qaida, con la quale poi ha tagliato i ponti. Ma non lo ha fatto per un dissidio ideologico o religioso, la decisione è stata soprattutto politica dovuta al fatto che Al Qaida e l’Isis avevano fallito la loro presa del potere. Il suo è stato un cambiamento tattico dettato dalla necessità di evitare lo scontro con l’Occidente e le potenze regionali: il suo sponsor Erdogan -che per altro da anni sostiene i jihadisti in Siria e altrove- gli ha suggerito che una islamizzazione brutale è un cattivo affare.
‘Islamismo moderato’, modello Erdogan
Oggi Jolani governa dando l’impressione di essere un “islamista moderato” perché ha bisogno di consenso: da Bashar Assad ha ereditato una ex Siria, una scatola vuota, un Paese senza soldi e con forze armate ridotte a un moncherino dai bombardamenti di Israele che dal Golan occupato lo tiene sotto tiro. Non gli conviene neppure tentare di nascondersi: come ha dimostrato l’ultima guerra è già un bersaglio. Per questo incontra tranquillamente delegazioni americane, occidentali e dell’Onu: deve portare a casa aiuti finanziari e concreti, ma soprattutto farsi togliere le sanzioni Usa, uscendo al più presto dalla black list del terrorismo, altrimenti non può aprire neppure un conto in banca. Deve essere credibile, quindi moderato per forza. Ma non troppo.
Cos’è oggi il radicalismo in Medio Oriente?
Il punto interessante è questo, come scrive il libanese Anthony Samrani sull’Orient-Le Jour: cos’è oggi il radicalismo in Medio Oriente? Con quali criteri dovremmo classificarlo? La repressione del dissenso, il divieto dell’alcol, le libertà negate alle donne e alle minoranze?
Radicalismi e disumanità condannati a convenienza
L’Arabia Saudita è un paese fondamentalista, che ha il record delle condanne a morte, ma siccome non è una minaccia all’ordine internazionale è un Paese amico dell’occidente. A parte che la monarchia wahabita paga tutti gli occidentali, tra un pò se entra nel Patto di Abramo con Israele diventerà intoccabile. L’Iran, invece, è una potenza fondamentalista repressiva che non vuole cedere a Israele e all’Occidente: rimane in lista nera. L’Iraq e la Siria, teoricamente dominati per decenni da un partito laico, il partito Bath, sono stati modelli di brutalità e di strumentalizzazione delle divisioni etniche e settarie. Ma in Iraq e in Siria sono presenti le truppe Usa, al Jolani è sponsorizzato da un Paese Nato come la Turchia quindi la repressione dei diritti viene tollerata.
Islamismo, cancro per le società arabe
L’islamismo -scrive Samrani – è un cancro per le società arabe ma il panarabismo e il baathismo hanno fatto almeno altrettanto male in Medio Oriente. Non bisogna insistere che l’islamismo fa più paura delle dittature solo perché indossa le vesti dell’Islam. Può essere: le fosse comuni siriane ci raccontano tutto l’orrore e la brutalità di un regime. Ma quello che colpisce di più è la rapidità con cui ci adattiamo noi, qui in occidente, ai nuovi regimi perché – fallita miseramente, l’esportazione della democrazia – siamo assai veloci nel sacrificare i diritti degli altri a un nuovo ordine sia pure di stampo jihadista. Basta che stia al gioco del “nostro ordine”, con il marchio americano, israeliano e della Nato.
21/12/2024
da Remocontro